Penny Wirton. A scuola di umanità camminando insieme verso un domani migliore

Alla settima assemblea annuale della scuola di italiano gratuita per migranti a Roma tanta allegria, voglia di stare insieme, condividere esperienze e progettare il futuro. Parole d'ordine: persona, empatia, accoglienza, inclusione. "Sentiamoci parte di una famiglia”, esordiscono i due fondatori Eraldo Affinati e Anna Luce Lenzi. Intense le testimonianze di alcuni alunni mentre gli insegnanti, tutti volontari, raccontano di avere imparato molto. Diversi i "sogni" da realizzare. "L'umanità non è morta", dice qualcuno

Foto Pasqualin/SIR

L’aria gioiosa che si respira è quella di una grande e coloratissima famiglia: studenti immigrati e insegnanti da Bari, Bologna, Brescia, Castel Volturno, Faenza, Fara Sabina, Fidenza, Forlì, Frascati, Lanciano, Latina, Manziana, Milano, Monterotondo, Napoli, Padova, Parma, Pinerolo, Sassari, Settimo Torinese, Siena, Torino, Trento, Viterbo, Trieste. Circa 200 i partecipanti alla settima assemblea annuale della Penny Wirton, scuola di italiano gratuita per migranti, che si è svolta lo scorso 15 giugno nella sede romana di Casal Bertone: 130 in presenza e oltre una cinquantina collegati da remoto. Una grande famiglia che si riunisce festosa nell’ampio locale adibito a scuola dove ogni particolare – dai libri ai materiali didattici, dai giochi linguistici ai pelouche per i bambini che accompagnano le mamme a lezione – parla di cura e attenzione per l’altro.

“Sentiamoci parte di una famiglia”, esordiscono Eraldo Affinati e Anna Luce Lenzi, marito e moglie che 16 anni fa hanno fondato la prima Penny Wirton in un locale della parrocchia di San Saba, partendo con tre insegnanti. Da allora le scuole si sono moltiplicate in tutta Italia; ad oggi sono oltre 60 “ed ogni volontario che viene ci arricchisce.

Noi puntiamo tutto sulla qualità della relazione umana”,

sottolinea Eraldo, prima di dare la parola ad alcuni alunni che si presentano mostrando la velocità con la quale apprendono la nostra lingua.

Quindi prendono il via quattro tavoli tematici. “Stile didattico alla Penny Wirton” – perché qui non si parla di metodo, ma di stile – il primo. Senza nascondersi le difficoltà di insegnare anche a chi non è scolarizzato nella propria lingua madre, i docenti – tutti volontari – parlano di insegnamento destrutturato e assenza di voti e si soffermano su quattro parole d’ordine:

persona, empatia, accoglienza, inclusione.

Testimonianze migranti” il secondo tavolo, molto partecipato e che ha dato voce agli studenti: tra loro Baili, 35 anni, della Guinea; la nigeriana Vivian che ha lasciato i suoi bambini nel villaggio ma sogna di portarli un giorno in Italia; Jessica, brasiliana; altri in fuga da guerre o situazioni difficili. “Che cosa sto imparando dalla Penny Wirton”, il terzo tavolo. Parola ancora agli insegnanti che ricordano come “momenti più belli” il sorriso degli alunni al momento della merenda, il ballo con gli allievi, l’emozione di spiegare capolavori della letteratura italiana come il Cantico delle creature a giovani pakistani o egiziani che devono affrontare l’esame di terza media, la “solita allegra confusione”, il saluto affettuoso tra ragazzi che si riconoscono. Unanime la “riconoscenza nei confronti di Anna Luce ed Eraldo che hanno messo in piedi questo miracolo: una scuola che accoglie tutti e permette ad ognuno di noi di resettarci come davanti ad uno specchio”. C’è chi dice di avere scoperto il vero senso dell’insegnamento, chi ha imparato ad entrare in contatto con l’alunno che ti sta di fronte.

“Vedere i ragazzi dei licei che si rapportano ai ragazzi africani, e viceversa, è bello e dà speranza”,

aggiunge un altro. Suor Loredana Corazza, salesiana di Milano, afferma che la Penny Wirton l’ha fortificata nella sua vocazione e le ha insegnato ad accogliere e valorizzare le persone: “Don Bosco voleva che le Figlie di Maria Ausiliatrice si prendessero cura dei ragazzi più poveri”. La gioia più grande? “Il sorriso, il grazie, l’abbraccio dell’alunno”. Padre Filippo, missionario comboniano dell’associazione Black & White di Castel Volturno e amico della Penny Wirton di Roma, spiega che l’incontro personale abbatte la paura e il pregiudizio: “Di fronte non ho un immigrato, ma un fratello o una sorella con un nome e una storia”. “Se vogliamo abbattere ancora di più le barriere la strategia è invitarci a casa a mangiare.

 

Se per te una persona è importante vai a trovarla a casa e ci mangi insieme”.

Eraldo sottolinea che è strategico “passare il testimone per proseguire la corsa”. E il riferimento è ad Emily, quindicenne liceale di Latina che, insieme ad altri, ha di recente fondato nella sua città la Penny Wirton, dopo aver visto il film “Io Capitano di Matteo Garrone. “Lì – spiega dopo avere partecipato al quarto tavolo, “Ho fatto un sogno che vorrei trasformare in progetto” – è nato il sogno di creare un progetto capace di rendere i miei coetanei più consapevoli riguardo alla migrazione, molti sono indottrinati dagli stereotipi.

Credo che l’educazione nelle scuole, a partire dalle elementari, sia fondamentale per creare una società più inclusiva”.

Ma c’è anche chi sogna di insegnare nelle carceri “creando collegamenti con educatori che già operano al loro interno”, oppure di “creare una mappa dei bisogni collegata con un centro di volontariato territoriale di riferimento per rispondere alle domande di logistica o di tipo burocratico poste dagli studenti”. “Siamo una potenza – dice Eraldo -; in tutta Italia coinvolgiamo migliaia di persone. Dipende da noi realizzare i sogni”.

“Ciao! Come ti chiami? Come stai? Bene grazie”.

Anna Luce suggerisce di “imparare dai nostri allievi queste semplici frasi di saluto” e di avviarne la trascrizione fonetica in più lingue del mondo per facilitare l’avvicinamento tra insegnanti e studenti. Numerosi i contributi dalle scuole di Modena, Milano, Torino, Ghilarza, Parma, Siena, Udine, Messina, Faenza, Bari e di molte altre. Tra le sfide “vinte”, essere riusciti ad insegnare a leggere e a scrivere in italiano ad un trentenne ucraino sordo, ma non muto, con l’aiuto di alcuni tirocinanti in Lis. “Siamo qui perché l’umanità non è morta”, conclude una volontaria a corollario della giornata.

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