“Creare un’Agenzia per la natalità” per cambiare il trend che sembra condannare l’Italia all’inverno demografico e per ridare speranza alle nuove generazioni.
“Una struttura governativa come quella del Giappone, dotata di strumenti e fondi necessari per avviare politiche concrete. Un’Agenzia neutra che metta al centro politiche familiari impattanti condivise da tutte le forze politiche”. È questa la strada da intraprendere per contrastare il calo delle nascite che sempre di più affligge l’Italia, secondo Gigi De Palo, presidente della Fondazione per la natalità. Proposta che, ricorda al Sir, ha lanciato in occasione della recente IV edizione degli Stati generali della natalità. Nel 2023, sono state solo 379mila le nuove nascite in Italia, un dato addirittura inferiore rispetto alle previsioni. Di qui la proposta della Fondazione presieduta da De Palo, di un’Agenzia che “possa aiutare il sistema-Paese a invertire il trend negativo di nuove nascite e che crei un dialogo tra tutti i ministeri, in primis quelli dell’Economia, della Famiglia e del Lavoro, indispensabili per immaginare quei provvedimenti che il Paese necessita”.
Presidente, come nasce la proposta di un’Agenzia per la natalità?
Visto che la politica non riesce a dare risposte alla denatalità malgrado le sollecitazioni, l’Agenzia vuol essere un modo attraverso il quale vogliamo cambiare prospettiva. Non è il Governo che deve dare risposte sul tema della natalità, ma è il Paese. L’Agenzia, in un clima in cui tutto è bloccato, è una proposta che noi facciamo per andare oltre i Governi. La sensazione è che ci sia una grande paura a investire: noi diciamo che la natalità non è una battaglia del Governo attuale, né riguarda il prossimo Governo, la natalità riguarda l’Italia, allora facciamo un’Agenzia che abbia l’obiettivo di far ripartire le nascite. Non si tratta di governare l’esistente e l’ordinario, ma di “esserci” o “non esserci”. L’Agenzia potrebbe riunire le forze migliori. Chiarisco che noi come Fondazione non vogliamo far parte dell’Agenzia, vogliamo continuare a essere il pungolo, non vogliamo occupare uno spazio, vogliamo generare un processo. Nostro interessare è provare a cambiare la storia, cosa che oggi non si riesce a fare.
Quali gli obiettivi dell’Agenzia?
L’Agenzia ha come unico obiettivo di far ripartire le nascite in Italia, in Giappone l’hanno fatta, hanno investito 23 miliardi di euro per 5 anni, all’angosciosa ricerca della soluzione per far ripartire le nascite. Le risposte per cambiare il trend negativo sono facili e le conosciamo da 30/40 anni: il Quoziente familiare, una fiscalità più equa, il lavoro per i giovani, accesso alla prima casa, asili nido, congedi parentali. Il problema è che tutto ciò è noto ma non si riesce a trasformarlo in concretezza. L’Agenzia potrebbe essere uno strumento dove si mettono da parte gli interessi particolari, la visione parziale dei Governi e c’è un tema che va al di là, cioè la prosecuzione dell’Italia.
Da anni si batte per far ripartire le nascite: cosa la preoccupa di più?
Oggi viviamo in Italia in media 83,1 anni, una buona notizia, abbiamo 5 anni in più dell’aspettativa di vita negli Stati Uniti. Grosso modo questi anni in più sono rapportabili al fatto che abbiamo il Ssn, che è gratuito. Invece di gioire di questo, alla luce dei dati Istat, la mia grande preoccupazione è che con il crollo della natalità crollerà anche tutto il sistema di welfare e con esso il Ssn, dobbiamo quindi accettare che i nostri figli moriranno a 78 anni, ma questa è una tragedia a cui non ci possiamo rassegnare. Non solo vivranno una vita più difficile, con meno servizi, con meno prospettiva, ma anche più breve.
Il venir meno del Sistema sanitario e previdenziale in soldoni vuol dire che l’aspettativa di vita dei nostri figli sarà più breve della nostra.
Perciò, non mi rassegno. Chi ci chiede se dietro la Fondazione ci siano i poteri forti, rispondo che c’è la forza del potere delle mamme, dei papà, delle famiglie che non si rassegnano, il potere forte dei genitori che si stanno facendo in quattro per dare una vita bella ai loro figli, che hanno donato loro la vita e ora non possono accettare passivamente che ci sia questo crollo. Questa situazione riguarderà anche i ragazzi che sono venuti a contestarci agli Stati generali della natalità. Oggi non è il tempo della divisione, ma dell’alleanza, non è il tempo di andare a ripescare slogan degli anni Sessanta o visioni ideologiche contrapposte, questo è il tempo dell’unità, del fare squadra. Noi che siamo sempre stati quelli che hanno portato questo stile rimaniamo male davanti a tanta superficialità, senza considerare che cosa c’è veramente in ballo.
Colpisce che un tema come quello della natalità, che dovrebbe essere sentito da tutti, ha dato luogo a contestazioni e polemiche negli ultimi Stati generali…
Organizziamo un evento che ha una grande visibilità: purtroppo nell’attuale mondo basta partecipare a un evento come il nostro e contestarlo e automaticamente si porta a casa la visibilità. È quello che è successo con le contestazioni agli Stati generali della natalità. Tutti mi hanno detto: “È il mondo dei media, bellezza”, ma il problema è che questo è molto diseducativo nei confronti delle nuove generazioni, perché così facendo abbiamo detto ai nostri ragazzi, che hanno collaborato alla riuscita dell’evento, agli studenti delle scuole che hanno partecipato, alle famiglie, che la loro partecipazione non ha contato nulla, mentre se si vuol far sentire la propria voce si deve contestare, alzare un polverone, discutere con la polizia, far tacere una ministra e un evento intero. Questo è triste. È palese quello che noi vogliamo fare dal punto di vista della narrazione della natalità: abbiamo cercato di parlare di natalità in tutti questi anni in maniera tale da unire tutti, ma ci sono persone che attraverso un uso strumentale e ideologico di ogni evento cercano di ottenere visibilità facendo polemiche anche con realtà che non sono affatto per lo scontro. Noi facciamo discorsi totalmente condivisibili da tutti, benché impegnativi. È un problema di democrazia che abbiamo in Italia. Ma è molto grave anche quello che è successo con le istituzioni, che invece di difendere una realtà come la nostra, assolutamente autonoma, che non ha legami con nessun partito, alla luce di quello che è capitato ci hanno abbandonato: i ministri, invece che dare segnali di solidarietà per il lavoro che stiamo facendo, non sono venuti: Mi chiedo: le istituzioni chi devono tutelare? Se stesse o la società civile che prova a fare dei ragionamenti? Tutelare il loro consenso o le persone libere che provano a partecipare, a dare il loro contributo per un problema, a lavorare insieme per il bene comune? Rispetto alla conflittualità che si è venuta a creare, dico anche che ci sono realtà associative che usano l’associazionismo per fare polemica, spaccare il Paese su tematiche che dovrebbero solo unire. Ma se alziamo il livello del dibattito si va allo scontro che non è produttivo. C’è il rischio che le brave persone vengano fagocitate da uno sistema in cui chi urla di più vince. Le brave persone si trovano a essere schiacciate in un meccanismo assolutamente esasperato.
A parte l’amarezza per quanto è successo, un dato positivo è che ormai, grazie alla Fondazione, si parli tanto di natalità…
Sì, si parla tanto di natalità, quindi il nostro obiettivo di mettere al centro dell’agenda del Paese, non solo della politica, il tema natalità è stato raggiunto. Il dibattito sulla natalità non è finito con gli Stati generali, c’è un’onda lunga che abbiamo creato non solo sulla stampa, ma anche in televisione il tema c’è e sta diventando sempre più pressante. Se ne parla non solo di più, ma anche con approfondimenti maggiori. In riferimento agli Stati generali, poi, è stata positiva la qualità degli interventi, abbiamo coinvolto centinaia di scuole, migliaia di studenti. Il nostro obiettivo di sensibilizzare è stato centrato. Inoltre è andata molto bene con le aziende che hanno mostrato una maturità superiore a quella delle istituzioni, perché non solo ci sono state, ma hanno portato un valore aggiunto, anche nel dialogo con i giovani. Dobbiamo ricordare che l’Italia non è solo lo Stato, il Governo regnante, la politica, l’Italia è il sistema imprenditoriale, le associazioni, le fondazioni, gli studenti, i giornalisti. La politica deve fare una riflessione più matura e capire che è un pezzetto del Paese ed è a servizio delle persone, delle famiglie, delle associazioni. Questo ragionamento vuole rilanciare quella sussidiarietà silenziosa, che spesso viene messa in secondo piano e che invece è determinante. Abbiamo avuto la consapevolezza della forza di un Paese che non è solo politica.
Adesso come continua il percorso della Fondazione?
Adesso continueremo il tour della natalità sui territori. Ad Ancona saremo il 12 ottobre e l’appuntamento sarà dedicato al tema della salute, a Roma il 15 novembre, altre tappe a Palermo e infine a Milano, evento dedicato all’aziende. Ci farebbe piacere non essere abbandonati dalle istituzioni in questo servizio al Paese: un servizio di approfondimento, di proposta, di coinvolgimento delle persone nel bene comune. Non è che chi fa proposte è un problema per lo Stato, chi fa proposte lo Stato dovrebbe tutelarlo ed esaltarlo perché è una forma di partecipazione che non sfocia nella violenza, che coinvolge le persone che si sentono parte di una nazione. Lo Stato dovrebbe non punire, ma applaudire, ringraziare, valorizzare. Noi facciamo da pungolo, ma anche diamo uno sfogo positivo e propositivo alle preoccupazioni e all’angoscia dei giovani.