Inverno demografico. Caltabiano: “Più figli, più futuro, ma servono politiche familiari incisive”

Un’inchiesta pubblicata dal Wall Street Journal evidenzia che ad ogni latitudine “il tasso di fertilità femminile sta diminuendo”. Il problema del crollo delle nascite non sarà più solo del mondo occidentale, ma anche dei Paesi un tempo caratterizzati da alti tassi di fertilità. “Oggi far famiglia costituisce un problema”, commenta il presidente di Anfn

(Foto Siciliani - Cristian Gennari/SIR)

L’inverno demografico? L’emergenza si fa sentire in Italia e in Europa, ma presto sarà avvertita in tutto il mondo. È quanto riporta una inchiesta uscita recentemente sul Wall Street Journal, secondo il quale ad ogni latitudine “il tasso di fertilità femminile sta diminuendo”. Infatti, come spiega l’inchiesta, il problema del crollo delle nascite non sarà più solo del mondo occidentale, ma anche dei Paesi un tempo caratterizzati da alti tassi di fertilità. Questo porterà, prima del previsto o forse, secondo alcuni studiosi, è già successo, il tasso di fertilità globale a scendere al di sotto del livello necessario per mantenere la popolazione costante. Di questi nuovi scenari parliamo con Alfredo Caltabiano, 61 anni, parmigiano, papà di sei figli (tra naturali e in affido), bancario in pensione, dal 2022 presidente di Anfn-Associazione nazionale famiglie numerose.

(Foto: Anfn)

Il calo di natalità ha avuto una rapida accelerazione ovunque…

Vero. Sette anni fa le Nazioni Unite avevano stimato che la popolazione mondiale sarebbe salita dai 7,6 miliardi di abitanti di allora agli 11,2 miliardi del 2100. Una previsione che oggi appare, probabilmente, già obsoleta, come rivela l’inchiesta del Wall Street Journal: l’Institute for healt metrics and evaluation dell’Università di Washington ritiene che la popolazione mondiale raggiungerà il suo picco nel 2061 – quando gli abitanti della terra potrebbero essere 9,5 miliardi (e non oltre 11) – per poi iniziare a diminuire. Sarebbe la quarta volta nella storia… Il quotidiano economico-finanziario statunitense riporta un commento di Jesus Fernandez-Villaverde, economista specializzato in demografia all’Università della Pennsylvania:

“L’inverno demografico sta arrivando ormai ovunque”.

Infatti, i demografi prevedono che il numero medio di bebè messi al mondo da ogni donna in età fertile presto scenderà al di sotto del tasso di sostituzione globale.

Quali sono stati, secondo lei, i fattori che hanno portato, a livello mondiale, oltre che occidentale e in particolare italiano, dagli anni Sessanta del baby boom ai nostri del baby bust?

Negli anni Sessanta del secolo scorso la nascita di un figlio era salutata come un lieto evento per tutta la famiglia allargata – papà, mamma, nonni, zii, cugini – che avrebbe potuto, così, contare su due braccia in più per il lavoro dei campi. Oggi non è più così. Far famiglia fa problema, infatti il numero dei single ha raggiunto livelli fino a poco tempo fa inimmaginabili. Chi opta per la convivenza o il matrimonio – civile o religioso – non sempre poi decide di generare un figlio. E anche quando lo fa, arriva a questa decisione, in genere, ad un’età già matura, ma, allora, è difficile generare un secondo o un terzo figlio. Figuriamoci un quarto o un quinto. Ginecologi ed andrologi, poi, ci dicono, che negli ultimi decenni si è registrato un calo della fertilità, maschile o femminile: non sempre le coppie non fanno figli perché non li vogliono, a volte non li fanno perché non riescono ad averli.

Ci sono anche ragioni culturali per il calo delle nascite?

Si è fatta strada l’idea che generare o non generare un figlio sia una decisione che appartiene esclusivamente alla coppia. Certo, appartiene alla libertà della coppia. Ma, nei fatti, chi decide di aprirsi alla vita, consapevolmente o meno, concorre al bene comune.

Quali conseguenze ci saranno legate al calo delle nascite?

Oggi si pensa meno ai campi da coltivare e alle braccia che servirebbero. Ma il calo della natalità si riproduce in un rapido invecchiamento della popolazione (in Italia l’età media dei residenti è di 47 anni).

Se presto diventeremo un Paese di vecchi, chi potrà più occuparsi di noi?

È a rischio il welfare del nostro Paese, dell’Europa, del mondo, visto che il fenomeno è globale.

Insomma, senza figli non c’è futuro…

“+ figli, + futuro”

è uno slogan su cui Anfn ha un copyright, già dal 2004: è l’anno della nostra fondazione, che la nostra associazione festeggerà in tre eventi. Siamo stati noi i primi a parlare degli effetti dell’inverno demografico, ospitando nei nostri convegni demografi, sociologi ed economisti di fama internazionale. Solo da poco i politici si sono svegliati. Speriamo non sia troppo tardi. Il Wall Street Journal ricorda: più di recente, “diversi governi hanno varato programmi per fermare il declino. Ma finora sono riusciti ad incidere ben poco”. Diciamo la verità: i nostri giovani escono dall’università e trovano un lavoro stabile ormai da adulti. Cercano casa, ma affitti e mutui hanno costi esorbitanti. Se poi nasce un figlio, spesso uno dei due deve scegliere se restare a casa con il bambino o continuare a lavorare (affidandosi a servizi o soluzioni private onerose) perché le politiche di conciliazione lavoro/famiglia non sono incisive. La possibilità che una coppia cada sotto la soglia di povertà relativa o assoluta cresce al crescere del numero dei figli. Parliamoci chiaro: chi, oggi, ha una famiglia numerosa, ha gettato il cuore oltre l’ostacolo. Eppure, siamo quelli che stiamo dando di più al nostro Paese… Cominciano a rendersene conto anche alcune piccole comunità, senza i nostri figli alcune scuole sarebbero già chiuse.

Cosa serve per invertire il trend?

Un cambio di passo culturale.

Noi possiamo testimoniare che un figlio niente toglie e molto dà. Non solo a noi, ma – nel lungo periodo – all’intera comunità.

E poi politiche familiari incisive, capaci di accompagnare la formazione della famiglia, di sostenerla nel momento della nascita del primo figlio, di rispondere alle esigenze di chi decide di averne di più: perché quando si è in tanti il trilocale diventa stretto e per viaggiare serve un’auto sette posti.

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