Salute mentale. Rizzi: “Garantire attraverso il Ssn il supporto psicologico a tutti”

“Con 2,38 psicologi ogni 100mila abitanti nei consultori e 2,2 psicologi ogni 100mila abitanti negli ospedali pubblici, siamo molto lontani dall’avere 1 psicologo ogni 1.500 abitanti, rapporto che numerosi studi di settore indicano come necessario”, spiega al Sir il presidente di Soleterre, per il quale la soluzione è lo “psicologo di base”

(Foto Fabio Bucciarelli per Soleterre)

È in corso una vera e propria emergenza psicologica, che riguarda soprattutto il disagio emotivo dei giovani. In Italia 6 bambini su 10 sotto i sei anni e 7 su 10 sopra i sei anni mostrano problemi psico-comportamentali, con il rischio di sviluppare disturbi più severi tre volte maggiore rispetto al pre-pandemia; il 50% delle patologie psichiatriche esordisce prima dei 14 anni e il suicidio è la seconda causa di morte in Italia nei giovani tra i 15 e i 24 anni, preceduta solo da incidenti stradali. Più di 1 italiano su 4 afferma che il suo benessere psichico è peggiorato negli ultimi 3 anni e il 49% di chi ha fatto ricorso alla psicoterapia ha dovuto interrompere o ridurre le sedute per insostenibilità economica. In caso di malattia oncologica, solo 1 adulto su 5 riceve aiuto psicologico. Eppure, il numero di psicologi attivi nel Sistema sanitario nazionale è molto inferiore rispetto alle necessità espresse dalla popolazione italiana. Partendo da questa situazione di difficoltà la Fondazione Soleterre, nei giorni scorsi a Roma, ha lanciato una campagna affinché sia inserito uno psicologo in ogni reparto ospedaliero italiano, con borsa di studio o specializzazione annuale, finalizzata nel lungo termine alla strutturazione a tempo indeterminato da parte del Sistema sanitario nazionale. Questo tipo di ingaggio permette una presa in carico dei pazienti nel tempo, stabile e continuativa, condizione necessaria per una vera cura del paziente. Grazie al supporto informativo da Rai per la Sostenibilità – Esg, dal 15 al 21 aprile è stata trasmessa, attraverso i canali editoriali Rai, la nuova campagna sms di Fondazione Soleterre al numero 45520, “Una rete nazionale di supporto psicologico alle famiglie con bambini malati di cancro. Nessun bambino malato di cancro deve essere lasciato solo” per finanziare borse di studio/specializzazione per giovani psicologi all’interno dei reparti di oncologia pediatrica, con l’obiettivo di arrivare nel lungo periodo, appunto, alla loro strutturazione a tempo indeterminato da parte del Ssn. Anche dopo questa settimana è possibile fare una donazione a Soleterre per questa finalità, consultando il sito ww.soleterre.org. Dell’importanza dello “psicologo di base” e della presenza dello psicologo nella cura del cancro infantile parliamo con il fondatore e presidente di Soleterre, Damiano Rizzi.

(Foto: Soleterre)

In Italia il disagio mentale aumenta, ma qual è la situazione dal punto di vista del supporto?

Con 2,38 psicologi ogni 100mila abitanti nei consultori e 2,2 psicologi ogni 100mila abitanti negli ospedali pubblici, siamo molto lontani dall’avere 1 psicologo ogni 1.500 abitanti, rapporto che numerosi studi di settore indicano come necessario. Quindi, il nostro Sistema sanitario nazionale, per quanto continui ad essere uno dei migliori al mondo, purtroppo non ha la possibilità di “esserci” quando c’è un problema di salute mentale e sappiamo che oggi la salute mentale non significa soltanto persone che hanno dei gravi disturbi come possono essere i problemi di dipendenza piuttosto che gravi depressioni, problemi di ansia. Praticamente non c’è mai uno psicologo, quando c’è da fare una diagnosi per i disturbi specifici dell’apprendimento, dislessia, disgrafia, per temi legati alla genitorialità, per la depressione post partum. Insomma, manca completamente, all’interno del Ssn pagato dallo Stato e quindi dai cittadini, una figura che potremmo chiamare psicologo di base, simile al pediatra e al medico di base. Il senso della nostra iniziativa è arrivare a questa figura. Crediamo, infatti, che non possa esserci salute senza salute mentale e non è più accettabile che nelle diverse situazioni di bisogno occorra pagare per accedere al supporto psicologico, è una chiara e gravissima violazione dell’articolo 32 della nostra Costituzione.

E qual è la strada da intraprendere?

In Italia le attività psicologiche e psicoterapeutiche, soprattutto quelle dedicate all’infanzia e all’adolescenza, sono trattate come un bene di lusso e non sono ritenute essenziali. Ma sappiamo anche che abbiamo 3 psicologi privati ogni 1.500 abitanti, basterebbe, come è stato fatto per il medico di base, convenzionare gli psicologi privati e avremmo lo psicologo di base. Il problema sono sicuramente le risorse: oggi l’Italia finanzia per circa il 3% la salute mentale contro un 10% medio dei Paesi europei, quindi siamo grandemente al di sotto la media. Il primo passo sarebbe capire dove intervenire prioritariamente. Oggi servirebbe una mappatura delle regioni dove c’è più carenza di psicologi per iniziare ad intervenire laddove c’è più bisogno e quindi strutturare lo psicologo di base. Ma anche il numero di psicologi ospedalieri è scarso e la maggioranza dei servizi psiconcologici in ambito ospedaliero risulta affidata a professionisti precari, con contratti rinnovati di anno in anno o con borse di studio supportate dal Terzo Settore. Più precisamente, in Italia sono una cinquantina le oncologie pediatriche: su 82 psicologi presenti in tali reparti, solo il 28% ha un contratto di lavoro indeterminato, mentre il 72% ha un contratto pagato dalle Associazioni come Soleterre e da organizzazioni umanitarie o è precario. Inserire uno psicologo costa circa 30mila euro. Poi bisogna convincere lo Stato a strutturarlo.

(Foto Ugo Panella per Soleterre)

Sono in tanti a essere preoccupati per il peso che l’autonomia differenziata potrebbe avere sulla sanità: rispetto al discorso della mancanza del supporto psicologico così carente in Italia cosa si aspetta?

La competenza sanitaria in Italia spetta alle regioni, però è anche vero che esiste un livello più alto nazionale ed è proprio la carenza di una legislazione nazionale che ha fatto sì che alcune regioni più virtuose siano partite con l’inserimento per esempio dello psicologo per le cure primarie, penso ad esempio la Regione Lombardia che ha fatto proprio una legge e ha dotato un fondo di milioni di euro per farlo. Però il virtuosismo regionale non può essere visto come negativo, il problema è che manca un quadro nazionale legislativo, che vada a regolare lo psicologo delle cure primarie.

Cos’è lo psicologo delle cure primarie?

Effettivamente si fa una grande confusione tra lo psicologo delle cure primarie, lo psicologo di base e lo psicologo scolastico, tre figure distinte su cui attualmente ci sono 3 disegni di legge in Parlamento. Lo psicologo per le cure primarie andrà a lavorare con fondi Pnrr nelle case di salute ma che spesso sono vuote. Lo psicologo delle cure primarie ha un ruolo di primo contatto e poi dovrebbe riferire al territorio del paziente e lavorare nelle case di comunità. Gli ospedali sono l’unica realtà che sta funzionando, il problema dell’Italia a livello sanitario sono proprio i territori dove si registrano problemi. Lo psicologo di base servirebbe una platea più ampia perché gli arriverebbero pazienti con la prescrizione medica, ai quali offrirebbe una consulenza, una diagnosi o la presa in carico, nei casi di bisogno. Lo psicologo di base starebbe sia in ospedale, sia sul territorio, come il medico di base, e dovrebbe essere un diritto per tutti, come lo è il medico di base. Eviterebbe tante conseguenze negative dovute al mancato supporto psicologico, dal femminicidio ai problemi di sviluppo e cognitivi. Si parte dall’ospedale, perché almeno lì ci sia dove si riscontrano i casi più gravi, e per le patologie croniche, almeno per i bambini. Gli psicologi scolastici stanno nelle scuole ma fanno degli interventi di ascolto molto generico o di psicoeducazione. Sono tre figure diverse che andrebbero ovviamente strutturate tutte bene ma le risorse mancano.

Che aiuto offre lo psicologo a bambini malati di cancro e alle loro famiglie?

Ci sono bambini malati di tumore soprattutto in fase adolescenziale che smettono di avere voglia di vivere. Fanno le chemioterapie, dispongono di medici, infermieri, genitori, che fanno di tutto per curarli, ma non hanno più i capelli, hanno un corpo devastato dal dolore, dai farmaci, dalle terapie, non hanno più amici perché rimangono a volte per anni in ospedale, non possono andare a scuola e si chiedono qual è il senso di vivere in tali condizioni. Il lavoro dello psicologo è costruire questo senso. Fare da ponte fra loro e il mondo esterno, fare in modo che possano continuare ad avere contatti con gli amici, con la scuola e aiutare a elaborare il dolore psichico che consegue a una malattia. Noi psicologi curiamo i disturbi secondari al trauma della malattia. Anche per i genitori avere una diagnosi per un figlio di leucemia, neuroblastoma, un tumore delle ossa è devastante: anche quando il medico dice che il figlio ha l’80% di possibilità di guarire i papà e le mamme pensano al 20% di non guarigione. E anche se dicono al medico di aver capito tutto, appena questi esce dalla stanza, i genitori chiedono allo psicologo di rispiegare tutto perché sono talmente in una situazione di caos emotivo che fanno fatica. Il nostro lavoro è quello di vivere la diagnosi come un processo perché sappiamo che può cambiare la diagnosi e i tassi di sopravvivenza dati inizialmente, a seconda della risposta alle cure, ai trapianti. Sono condizioni di dolore inimmaginabili, terribili, lo psicologo è sempre lì a fianco di papà, mamme e bambini e li aiuta a lavorare su questo dolore psichico, altrimenti insopportabile, e aiuta soprattutto a costruire un senso rispetto alla domanda: perché a me? Perché proprio mio figlio? Quello che abbiamo capito in questi anni è che un conto è avere un dolore, un conto avere traumi: i traumi le persone ce li hanno quando davanti a degli eventi complicati della vita sono sole, una persona da sola elabora un trauma, non elabora il dolore, mentre invece dentro una relazione terapeutica si costruisce un senso facendo in modo che i pazienti e i loro familiari possano attivare le risorse che hanno, siano vivi, in una situazione dove la malattia potenzialmente mortale del bambino mette a dura prova ogni minuto del periodo di cura.

Il supporto psicologico aiuta anche nel processo di guarigione?

Nella lotta al cancro infantile il supporto psicologico è metà della cura.

È provato che a un maggior benessere mentale corrispondano tassi di guarigione più alti. Per questa ragione Soleterre ha creato una rete di supporto psicologico alle famiglie con bambini malati di cancro e con patologie croniche affinché nessun bambino malato debba essere lasciato solo. È fondamentale, tuttavia, un impegno pubblico perché all’interno degli ospedali sia garantito a pazienti e famiglie il supporto di professionisti della salute mentale per ridurre l’impatto del tumore e delle malattie croniche in età evolutiva. La rete sarà necessaria fino a che non verranno strutturati gli psicologici in tutti i reparti pediatrici italiani e non vi sarà accesso gratuito ai servizi di supporto psicologico territoriali. Per raggiungere questi obiettivi sono necessari importanti investimenti a livello nazionale poiché a oggi, come dicevamo prima, l’Italia si colloca agli ultimi posti in Europa per quota di spesa sanitaria dedicata alla salute mentale con risorse particolarmente carenti per i servizi ospedalieri e territoriali di neuropsichiatria infantile che in questi anni si trovano ad affrontare una vera emergenza. Nello specifico, Soleterre chiede quindi che sia realizzato un programma di investimenti per portare la spesa in servizi ospedalieri e territoriali di neuropsichiatria infantile dal 3,4% attuale al 10% della spesa sanitaria complessiva.

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