Sguardi e traiettorie di racconto al femminile. È la linea che unisce due titoli forti della settimana. Anzitutto al cinema con 01 Distribution c’è “Una storia nera”, noir-courtroom drama diretto da Leonardo D’Agostini, tratto dal romanzo omonimo di Antonella Lattanzi (Mondadori): il racconto di una donna che si difende e ribella alle violenze in casa, con protagonista Laetitia Casta. Un film che esplora un tema di stringente attualità ricorrendo alle regole del cinema di genere, e ponendo non pochi interrogativi morali. Ancora, su Netflix la terza stagione di “Bridgerton” (Parte I), popolare e fortunato period drama targato Shonda Rhimes, dai romanzi di Julia Quinn: una rilettura dell’epoca Regency a Londra in chiave pop, con dinamiche da rom-com, addizionata di sensualità. Protagonisti Nicola Coughlan e Luke Newton nei panni di Penelope Featherington e Colin Bridgerton. Infine, su Rai Uno e RaiPlay dal 20 maggio la miniserie “Marconi. L’uomo che ha connesso il mondo” di Lucio Pellegrini con Stefano Accorsi, Nicolas Maupas e Ludovica Martino. Un biopic che omaggia la vita e la ricerca scientifica del Premio Nobel Guglielmo Marconi in occasione del 150° dalla nascita e dei 100 anni della Radio. Il punto Cnvf-Sir.
“Una storia nera” (Cinema, 16.05)
L’opera seconda di Leonardo D’Agostini, “Una storia nera”, si muove sul terreno del racconto sociale, scandagliando il tema delle violenze domestiche sulle donne. L’autore sceglie come taglio stilistico il cinema di genere, mescolando thriller, noir e courtroom drama. Prodotto da Groenlandia e Rai Cinema, “Una storia nera” prende le mosse dal romanzo omonimo di Antonella Lattanzi (Mondadori) ed è sceneggiato da Ludovica Rampoldi insieme al regista e alla scrittrice. Protagonisti Laetitia Casta, Andrea Carpenzano, Cristiana Dell’Anna, Lea Gavino, Mario Sgueglia, Giordano De Plano e Licia Maglietta.
La storia. Roma oggi, Carla è una quarantenne francese che vive in Italia da più di vent’anni; ha scelto di trasferirsi nella Capitale per amore di Vito, con cui ha avuto tre figli: Nicola, Rosa e Mara. Si è separata da poco, perché non più disposta a sopportare le continue intimidazioni e violenze dell’uomo. Una sera, al termine della festa di compleanno della figlia più piccola, Carla e Vito hanno l’ennesimo litigio, così la donna disperata si difende e lo uccide. Da lì parte una serrata indagine e un processo per accertare la verità…
Leonardo D’Agostini – il suo esordio è con “Il Campione” nel 2019 – sottolinea come il film racconti “un rapporto d’amore malato in cui non esiste un netto confine tra giusto e sbagliato”. In particolare, rimarca: “Carla è un personaggio complesso, contraddittorio, ricco di sfumature. È una madre che ama sinceramente i suoi figli. È una vittima in trappola. È una donna sensuale, ammaliante”. Il regista ha voluto tratteggiare una storia dai colori lividi della cronaca, declinandola con le formule del noir e del legal drama. Ha richiamato come riferimenti del genere i film hollywoodiani “La fiamma del peccato” (1944) di Billy Wilder e il più recente “Gone Girl” (2014) di David Fincher. “Una storia nera” mantiene un andamento fumoso, ponendo questioni sul piano etico-morale, insistendo sulla linea di confine tra bene e male, seguendo la traiettoria del personaggio di Carla, approfondendone azioni e dinamiche introspettive. Interroga lo spettatore sulla scelta compiuta dalla donna, che si gioca sulla sottile linea di confine tra vittima e “carnefice”. La sceneggiatura tiene il passo della regia, anche se sui volteggi finali si percepisce una chiara forzatura per far quadrare il racconto. “Una storia nera” si rivela una proposta sfidante a livello tematico, che denuncia una piaga sociale e al contempo inquieta per la presenza di una giustizia tiepida e per la risposta del singolo che avverte l’urgenza di farsi da solo custode della propria sicurezza. Tema scivoloso, che apre a non pochi dilemmi morali. Complesso, problematico, per dibattiti.
“Bridgerton 3” (Netflix, 16.05)
Lanciata su Netflix durante il primo anno di pandemia, la serie “Bridgerton” si è posizionata da subito come uno dei titoli di punta della piattaforma. Ispirata ai romanzi sentimentali di Julia Quinn (Mondadori), la serie è frutto dell’accordo produttivo tra Netflix e Shondaland, con l’influente producer e showrunner Shonda Rhimes, creatrice di cult come “Grey’s Anatomy” (dal 2005), “Scandal” (2012-18) e “Le regole del delitto perfetto” (2014-20). Dopo le prime due stagioni di rumoroso successo e la parentesi nel 2023 con lo spin-off “La regina Carlotta”, finalmente viene rilasciata la terza stagione – parte I dal 16 maggio 2024, parte II dal 13 giugno –, e a firmare il copione è Jess Brownell.
La storia. Londra ‘800, quartiere Mayfair. Penelope Featherington (Nicola Coughlan) decide di uscire dal cono d’ombra in cui si è a lungo celata provando a trovare marito, per assicurarsi indipendenza e sicurezza in futuro. Innamorata da sempre del vicino Colin Bridgerton (Luke Newton), fa di tutto per scacciarlo via dalla sua mente, sicura di non avere speranze. Seppure schiva Penelope, con lo pseudonimo di Lady Whistledown (nella versione originale la voce narrante è di Julie Andrews), commenta e ridicolizza la società altolocata del tempo attraverso pubblicazioni che conquistando numerosi lettori ma anche altrettanti detrattori. L’unica che conosce il suo segreto è la sorella di Colin, Eloise (Claudia Jessie), che però la sfida a dire la verità…
Dalla visione in anteprima dei quattro episodi disponibili di “Bridgerton 3”, possiamo di certo confermare tutto l’appeal per la serie in costume, che evoca lo stile dei classici period drama britannici “profanandoli” però con inserti pop, colorati e sgargianti, mettendo in campo costumi sensazionali (in primis quelli della regina Carlotta, Golda Rosheuvel) e ambientazioni londinesi suggestive. A “stonare” rispetto all’impianto dei tradizionali period inglesi è la linea del racconto, che si sovraccarica di soluzioni attualizzanti, incursioni tematiche nel politicamente corretto e nella erotizzazione del mondo garbato alla Jane Austen (scrittrice citata dal personaggio di Eloise, intenta a leggere “Emma”). Chiarite queste differenti ascisse e ordinate, non si può che trovare piacevole e coinvolgente l’andamento del racconto, votato a una dolce e simpatica evasione, impreziosita da pennellate romance. Consigliabile, problematico.
“Marconi. L’uomo che ha connesso il mondo” (Rai, 20.05)
La Rai compone un omaggio celebrativo per il Premio Nobel Guglielmo Marconi in occasione dell’anniversario per il 150° dalla nascita e per il 100° della radio. È la miniserie “Marconi. L’uomo che ha connesso il mondo”, diretta da Lucio Pellegrini (“Tutto può succedere”, 2015-17) e prodotta da Rai Fiction e Stand By Me. Protagonisti Stefano Accorsi, Nicolas Maupas, Ludovica Martino, Alessio Vassallo e Cecilia Bertozzi.
La storia. Italia 1937, il senatore Guglielmo Marconi accetta di essere intervistato dalla giornalista Isabella Gordon. Durante le sessioni di registrazione, Marconi ripercorre gli anni della sua giovinezza a Bologna, dove condusse i primi esperimenti per la telegrafia senza fili, sino alle scoperte che lo hanno condotto al Nobel nel 1909. In tutto questo, la Gordon, su precisa richiesta del governo fascista, cerca di carpirgli informazioni per una possibile invenzione per scopi bellici: il raggio della morte…
Si tratta di un biopic che rimarca lo sguardo visionario dello scienziato, proteso a fornire un contributo al progresso collettivo, direzionando il proprio approccio alla ricerca verso gli usi civili della tecnologia, lontano da “contaminazioni” belliche. Il racconto, nella cornice dell’Italia fascista anni ’30, è teso a sgombrare il campo da ombre e legami dello scienziato con il regime. Evidente è lo sforzo produttivo nel rendere la miniserie suggestiva, puntuale e accurata. Il copione presenta un andamento accattivante e avvincente, puntellato da inserti da spy story. A funzionare sono le interpretazioni, in primis di Stefano Accorsi, che si fa capofila di un buon cast. Lo svolgimento si snoda in maniera lineare, elegante, con continui giochi di flashback. A ben vedere il racconto può apparire segnato da passaggi didascalici, che ne depotenziano intensità e originalità; ma al di là di ciò, non dobbiamo trascurarne le finalità divulgative e celebrative. Consigliabile, semplice, per dibattiti.