“Oggi il pericolo più brutto è l’ideologia del gender, che annulla le differenze”. Il 1° marzo, in occasione di un convegno in Vaticano, Papa Francesco è tornato a condannare “questa brutta ideologia del nostro tempo che cancella le differenze e rende tutto uguale. Cancellare la differenza è cancellare l’umanità. Uomo e donna, invece, stanno in una feconda ‘tensione’”, ha sottolineato il Pontefice a braccio. Ma Francesco non è nuovo a queste critiche: nel discorso di inizio anno al Corpo diplomatico aveva definito l’ideologia gender “nefasta” e “pericolosissima”, e prima ancora, in diverse occasioni, ne aveva parlato in termini di “colonizzazione ideologica”.
La questione gender è delicata e insidiosa: le teorie più radicali, allontanandosi dal dato biologico, sostengono il principio di un individuo “neutro” con un’identità sessuale “fluida” (gender fluidity), basata sul desiderio o sul modo di “sentirsi” del momento. E non mancano tentativi di introdurre questa ideologia nelle scuole, basti pensare alla “carriera alias”. Famiglie e educatori si trovano impreparati. Come affrontare la questione? Che cosa può fare la Chiesa? Ne parliamo con don Alberto Frigerio, medico e professore di bioetica presso l’Issr di Milano.
Don Alberto, che cosa è e quale consistenza scientifica ha la teoria gender?
L’istanza di fondo della teoria gender è
la de-naturalizzazione della sessualità a favore di una sua comprensione meramente culturale,
secondo le parole di Gayle Rubin: “Il sogno che trovo più stimolante è quello di una società androgina e senza genere (ma non senza sesso), in cui l’anatomia individuale sia irrilevante ai fini di chi si è, cosa si fa e con chi si fa l’amore”. La gender theory ha il pregio di cogliere la complessità della sessualità umana, rilevando che non tutto è determinato biologicamente, ma ha il limite di esprimere un’antropologia dualista, spiritualista e logocentrica, che subordina il vivente al linguaggio anziché intenderlo come essere dotato di linguaggio. Il soggetto si relaziona invece con la realtà tramite il corpo, che si dà e si vive nella differenza, motivo per cui maschi e femmine sono connotati da posture specifiche. Lo schema corporeo maschile e femminile che traspare nella conformazione esterna e interna dei genitali, consente di qualificare la postura di lui e di lei come trascendente e accogliente, come prova l’evento della generazione.
La comprensione della posizione maschile e femminile come intrusiva e recettiva, in passato erroneamente interpretata e tradotta socialmente nei termini di attività e passività, superiorità e inferiorità, documenta l’esistenza di due modi d’essere e d’esistere che si attuano nella relazione.
Si può parlare di ideologia gender?
Ne “Le origini del totalitarismo” Hannah Arendt rinviene il nucleo di ogni pensiero ideologico nella volontà d’imporre coercitivamente una lettura parziale della realtà. È quanto accade col gender, che
assolutizza il dato culturale a detrimento di quello naturale, così da negare la reciprocità naturale uomo-donna e svuotare la base antropologica della famiglia,
e opera una “scomunica sociale” nei confronti di chi, pure in modo ragionato e rispettoso, dissente. Si pensi poi all’annosa questione del blocco della pubertà per chi sperimenta un disagio affettivo e/o cognitivo relativo al genere assegnato alla nascita in base al sesso fenotipico. Secondo studi autorevoli e aggiornati,
nell’85% dei casi la disforia di genere si risolve con la crescita,
mentre il blocco della pubertà apporta miglioramenti minimi su salute mentale, immagine corporea e adattamento psicosociale. Per questo motivo alcuni paesi pionieristici in tema di blocco della pubertà (Regno Unito, Svezia, Finlandia) hanno rivisto le linee guida, prevedendo il trattamento in casi singolari e comunque all’interno di protocolli di ricerca. Al “gender affirmative model”, promosso dalla visione gender, che invita a identificarsi col genere percepito e prevede d’intervenire sulla corporeità per coordinarla allo psichico, va dunque preferito un approccio prudenziale, che aiuti il soggetto ad accogliere, interiorizzare e integrare le trasformazioni fisiche in una nuova immagine di sé, come segnala Susanna Tamaro in un recente articolo sul Corriere della Sera, dal titolo assai eloquente “Io, bambina in un corpo sbagliato, mi sono scoperta donna”.
Però i casi di disforia di genere, in particolare tra i giovanissimi, sono in aumento. Come se lo spiega?
Secondo The William Institute, quanti si discostano dal binarismo maschio-femmina eterosessuale sono passati dal 2,2-5,6% nel 2014 al 9% nel 2022. Una fluidificazione identitaria ascrivibile a diverse cause tra cui si annoverano: crisi familiare, che mette a rischio i meccanismi di identificazione primari; visione moderna di libertà, intesa come assoluta, che potrebbe disporre illimitatamente di tutto, inclusa la corporeità;
modelli di sessualità fluidi che hanno effetto disorientante, in particolare sulle fasce giovanili;
diffondersi della mentalità capitalista che riduce il soggetto a merce di scambio; disincarnazione correlata all’avvento dell’infosfera che accentua la dimensione psichica del soggetto “silenziandone” la corporeità.
Quali percorsi educativi promuovere in tema di educazione all’amore?
Come già rilevato, maschile e femminile costituiscono due aspetti differenti della comune natura umana, che si declina in termini duali. Si dischiude così l’etica della differenza, che spinge ad assumere un atteggiamento di riconoscimento grato con e per l’altro. In tal senso,
è auspicabile che i modelli culturali e l’azione educativa, anche in sede scolastica, promuovano la relazione uomo/donna in vista di un cammino di accrescimento reciproco,
secondo quanto prospettato nel 2019 dal documento della Congregazione per l’Educazione cattolica “Maschio e femmina li creò. Per una via di dialogo sulla questione del gender nell’educazione”.
Qual è il compito della Chiesa, il cui insegnamento in materia è giudicato da molti superato?
Compito precipuo della Chiesa è accogliere le persone e dischiudere percorsi di vita buona, come raccomanda la pedagogia dell’amore predicata da Papa Francesco. A tal fine, è chiamata a promuovere quella che Papa Giovanni Paolo II chiamava “antropologia adeguata”, in grado di chiarire chi è la persona umana e cosa deve operare per esserlo in modo giusto. Nel far questo, è decisivo assumere i contributi delle singole discipline (biologia, psicologia, ecc.), disponendoli in un orizzonte di senso unitario. È quanto si preoccupa di fare la teologia, che non costituisce un sapere enciclopedico ma, avvalendosi del metodo filosofico, offre uno sguardo “orientante”, che dispone i dati particolari in riferimento al tutto rivelato da “Cristo, che svela pienamente l’uomo a sé stesso”, come afferma Gaudium et spes al n.22.