I disturbi dell’alimentazione e della nutrizione (Dan: anoressia, bulimia, binge eating) colpiscono nel nostro Paese 3,5 milioni di persone, il 5% della popolazione. Dal 2019 c’è stato un aumento dei casi del 149%, complice la pandemia di Covid-19. Diminuisce l’età dell’esordio; due pazienti su dieci hanno meno di 14 anni; due pazienti su dieci tra i 12 ed i 17 anni sono di sesso maschile. Il 15 marzo ricorre la Giornata del fiocchetto lilla, dedicata ai disturbi del comportamento alimentare (Dca). Per tutto il mese Food for mind, rete nazionale per la cura di questi disturbi diffusa su tutto il territorio, apre le porte dei suoi centri presenti in 20 città: Bari, Bergamo, Cagliari, Campobasso, Catania, Foggia, Genova, Jesi-Ancona, Livorno, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Reggio Calabria, Sassari, Savona, Torino, Trieste, Varese, Mestre (Venezia). Obiettivo, consentire ai cittadini accesso gratuito per avere una diagnosi corretta e favorire una presa in carico rapida ed efficace. Abbiamo incontrato Leonardo Mendolicchio, psichiatra e psicoanalista, direttore del Reparto di Riabilitazione Dca dell’Ospedale “San Giuseppe” – Piancavallo dell’Istituto Auxologico Italiano, nonché direttore scientifico e founder di Food for mind.
Dottor Mendolicchio, che cosa c’è dietro l’anoressia, la bulimia e, in generale, i disturbi del comportamento alimentare?
Si tratta di patologie trasversali a tutti i ceti sociali, che colpiscono soprattutto preadolescenti e adolescenti, svelando un malessere psicologico precedente al disturbo alimentare che assume quest’ultimo come forma di espressione.
Ci si ammala di anoressia o di dipendenza da cibo (bulimia) perché qualcosa nell’equilibrio psichico si spezza,
producendo il bisogno di comunicare agli altri questa sofferenza. Gli adolescenti fanno fatica a verbalizzare i propri disagi: l’estrema magrezza, il grave sovrappeso o comportamenti alimentari bizzarri diventano allora il modo con cui manifestare il cortocircuito avvenuto nella loro psiche.
La pandemia ha causato un’impennata dei casi…
Sì, un aumento del 149%. Con il lockdown questi ragazzi sono stati sottratti alle loro abitudini sociali e costretti a casa, per molti di loro un ambiente non confortevole, spesso vivendo giornate intere in 40-50 m quadri, magari con fratelli che facevano la Dad e genitori che non andavano d’accordo. Per molti è stato un inferno. Per altri invece, più fragili, il confinamento è stato “protettivo” e il rientro a scuola e nel mondo, senza alcuna preparazione e/o attenzione, è stato traumatico.
Due pazienti su dieci hanno meno di 14 anni, ma si ammalano anche bambine di 8-9 anni. Come mai l’età dell’esordio si abbassa sempre più?
Anzitutto perché
la pubertà è sempre più precoce.
Uno dei movimenti psichici che spesso slatentizza l’anoressia, è lo stress derivante da un corpo che cambia su una fragilità psichica che non riesce a leggere e a capire questi cambiamenti. Oltre a questo, entrano in gioco le pressioni sociali anche sui corpi delle bambine.
Che cosa intende dire?
Le pressioni della società – amplificate dai social – su che tipo di immagine mostrare e quale identità fisica costruire. Le bambole stesse non sono più le bambole di vent’anni fa: l’estetica, la cosmetica e la moda delle preadolescenti – a partire anche dai 10 anni – sono sempre più spinte sul femminile. Un corpo che diventa femminile prima del tempo, producendo un crash dal punto di vista dell’identità corporea e favorendo un esordio precoce dei disturbi alimentari.
Due adolescenti malati su dieci sono maschi…
Sì, questa pressione riguarda anche i ragazzini creando lo stesso cortocircuito che determina nelle ragazze.
A quali campanelli d’allarme dovrebbero prestare attenzione i genitori?
Nelle fasce di età più fragili – preadolescenza e adolescenza – occorre stare vicino ai propri figli, notare quando le loro abitudini alimentari cambiano insieme alle abitudini socio-relazionali. Se diventano più taciturni, arrabbiati, isolati, e iniziano a mangiare di più o di meno, questo è un segnale da non trascurare. Così come quando diventano più perfezionisti a scuola e cominciano a studiare 12 ore al giorno; campanelli d’allarme perché significa che
stanno iniziando a gestire le proprie insicurezze sul versante della perfezione, e questo è l’anticamera dell’anoressia.
Di fronte a questi segnali che cosa dovrebbero fare?
Anzitutto non sottovalutarli e parlarne con i propri figli. Se emerge qualcosa che turba i ragazzi, è bene rivolgersi a centri specializzati anche senza malattia in corso. Nella migliore delle ipotesi verrà detto ai genitori di non preoccuparsi, che si tratta verosimilmente di una fase transitoria; nella peggiore, prima si iniziano le cure meglio è.
Quali danni può causare l’anoressia sulla salute di bambini e ragazzi?
Nell’età preadolescenziale
si bloccano i processi di crescita e maturazione cerebrali, psicologici, fisici, organici.
Questo può creare problemi di sviluppo anche successivamente. E poi vi è tutta una serie di danni d’organo che possono portare a situazioni irreversibili, penso all’osteoporosi. Una ragazzina che non avrà mai il ciclo mestruale o che lo avrà bloccato potrà riportare danni al tessuto osseo. In casi estremi può perfino provocare la morte:
in Italia i disturbi alimentari causano ogni anno più di 3mila decessi.
Quanto è importante una diagnosi precoce?
E’ fondamentale, ma in Italia passa mediamente un anno e mezzo tra l’esordio dei sintomi ed una prima diagnosi. Si perde del tempo preziosissimo, che può fare la differenza tra una guarigione chiara e netta e il rischio che la patologia si cronicizzi.
Come mai?
Anzitutto perché sono pochi i professionisti realmente preparati in materia; spesso i genitori si rivolgono a figure – nutrizionista, psicologo, pediatra, medico di base – che non avendo studiato abbastanza questa malattia non la riconoscono. Poi perché i genitori si illudono si tratti di un capriccio transitorio, senza comprendere che è un disturbo complesso da trattare ai primi sintomi.
In che cosa consiste il trattamento’
E’ un trattamento multidisciplinare integrato nel quale diverse figure professionali devono ruotare intorno al paziente prendendosi cura della psiche, del cervello, del corpo e delle funzioni sociali.
Qual è la percentuale di guarigione?
Il 75% delle ragazze con diagnosi precoce (entro 12 mesi dall’esordio), curate per cinque anni guarisce.
Si tratta di arrivare in tempo e con le cure giuste. A volte è necessario – ma non sempre – il ricovero in strutture residenziali, ma i setting per la cura dei disturbi alimentari sono diversificati: dall’ambulatorio al ricovero riabilitativo.
Che cosa è la rete Food for mind?
E’ un polo nazionale specialistico per la cura dei Dca di cui fa parte anzitutto l’Istituto Auxologico, che garantisce sulle realtà ospedaliere di Milano e del Piemonte la possibilità di ricoveri semi residenziali o riabilitativi intensivi per acuti. Però, siccome questi pazienti hanno poi bisogno di un supporto ambulatoriale, la rete, diffusa in quasi tutte le regioni italiane, garantisce la presenza di presidi multidisciplinari sul territorio in grado di offrire una risposta in continuità lì dove è necessario, oppure di prendere in carico i pazienti direttamente sul territorio anche senza ricovero. Il progetto prevede la diffusione capillare di cure ambulatoriali con figure specializzate. Inoltre, la rete è impegnata sul territorio in attività gratuite di informazione e prevenzione nelle scuole o nelle società sportive. In Sardegna abbiamo una comunità terapeutica residenziale, Lo Specchio Dan di Domusnovas, che accoglie i casi più complicati e bisognosi di percorsi riabilitativi più lunghi. Con questi tre partner copriamo di fatto il fabbisogno di questi pazienti sul territorio nazionale.
Tutto questo è coperto dal Ssn?
Lo Specchio e l’Auxologico sì, la rete ambulatoriale purtroppo no, ma facciamo in modo che le prestazioni ambulatoriali siano comunque accessibili a tutti. Per tutto marzo stiamo facendo open day gratuiti.
Lo Specchio mi fa venire in mente le ragazzine che lo utilizzano per controllare in modo ossessivo la propria magrezza. Perché avete chiamato così il vostro centro di Domusnovas?
Per far capire loro che lo specchio è “l’altro”, non un pezzo di vetro. Dobbiamo tornare a specchiarci nell’altro, a utilizzare il suo sguardo e il rapporto con l’altro per guardare a noi stessi.