Nel nostro Paese medici e infermieri vengono formati poco (o nulla) all’umanizzazione delle cure. Eppure, diversi studi dimostrano che cure più orientate alla persona possono fare la differenza nella vita di un paziente con il cancro. Dopo la diagnosi, la maggioranza dei pazienti sviluppa infatti ansia e depressione. Basterebbe aumentare gli interventi psico-sociali nei reparti di oncologia per ridurre significativamente il “distress” dei malati, eppure in Italia, su una scala da 0 a 10, la formazione dei medici sulla comunicazione clinica e/o sulla relazione di aiuto arriva a un punteggio di 2,75, con ricadute negative maggiori su patologie complesse come il cancro. Di qui la scuola Humanities in Oncology, voluta dal Cipomo (Collegio dei primari oncologi medici ospedalieri), che partirà con un corso residenziale a Piacenza il 1° marzo e proseguirà con altre iniziative sul territorio nazionale (corsi di formazione a distanza, workshop, corsi itineranti). Il progetto è stato lanciato il 28 febbraio in Vaticano, presso il Collegio Teutonico.
Domanda di guarigione e d’amore. “In questa fase di grande sviluppo scientifico e tecnologico, c’è un’enorme domanda di guarigione attorno a noi, che spesso si sviluppa lontanissima dalla tradizione cristiana”, ha esordito mons. Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita (Pav), intervenendo alla presentazione di “Humanities in oncology”. “Molte persone – ha proseguito – oggi vanno alla ricerca di pratiche magiche, occulte, miracolistiche, astrologiche. Credo che questa affannosa ricerca di protezione, sicurezza e guarigione sia una domanda che spesso non trova ascolto”. Secondo il presidente Pav,
“la domanda di guarigione, anche se spesso è mal posta, non è altro che una grande domanda d’amore. E dobbiamo rispondere”.
Di qui l’incoraggiamento al Cipomo “a proseguire sulla strada intrapresa”.
Rimettere al centro la persona. “La nostra scuola punta a favorire quell’insieme di competenze comunicative relazionali e umane necessarie nella professione dell’oncologo”, ha spiegato Luisa Fioretto, presidente Cipomo, direttore Dipartimento oncologico Azienda sanitaria Toscana Centro e socio fondatore di Humanities in oncology. “Competenze – ha proseguito – che restano spesso al di fuori dei normali percorsi formativi universitari e post-universitari. In un’ottica di formazione continua la scuola potrà rappresentare uno spazio di crescita dove gli oncologi interessati potranno allenarle”. Per umanizzazione delle cure si intende quel processo in cui si deve “porre il malato al centro della cura” passando da “una concezione del malato come mero portatore di una patologia ad una concezione del malato come persona, con sentimenti, conoscenze, credenze rispetto al proprio stato di salute”. In questo contesto – ha concluso la presidente Cipomo –
“il processo di umanizzazione consiste nel ricondurre al centro l’uomo con la sua esperienza di malattia e i suoi vissuti”.
Il tema dell’umanizzazione del servizio al malato – considerato nella sua interezza fisica, sociale e psicologica – è stato inserito per la prima volta nel Patto per la Salute 2014-2016 dal ministero della Salute e da Agenas.
Vicinanza e gentilezza. “I pazienti vivono la diagnosi di cancro come uno degli eventi più traumatici e sconvolgenti che abbiano mai affrontato. A prescindere dalla prognosi, la diagnosi comporta un cambiamento dell’immagine di sé e del proprio ruolo sia nella famiglia, sia nel lavoro”. Queste parole di Dan Longo (vicedirettore del New England Journal of Medicine e professore alla Harvard Medical School), sono state ricordate da Luigi Cavanna, past president del Cipomo. Per questo, spiega Cavanna, al di là dei “notevoli progressi in campo di diagnosi e di terapia antitumorale, che permettono di guarire percentuali sempre più elevate di pazienti” è fondamentale “trasmettere al malato che non sarà solo ad affrontare la malattia, ma avrà accanto medici ed infermieri, non solo con competenze tecniche ma anche con umana comprensione, vicinanza e gentilezza”. Per Alberto Scanni, presidente emerito e socio fondatore della scuola Cipomo, “quando la persona si confronta con una diagnosi di cancro, umanizzare i suoi percorsi diagnostico-terapeutici ed i suoi luoghi di assistenza assume carattere strategico, sia a favore del paziente riguardo la qualità delle cure ricevute e percepite, sia a favore dei sanitari riguardo all’esperienza professionale vissuta”. E a vincere sono tutti: “Numerosi studi dimostrano che gli effetti di una comunicazione medico-paziente sono di grande appoggio ad una maggiore efficacia delle terapie e ad un miglioramento della qualità della vita del malato”.
Allenare le competenze. Ma la capacità di umanizzazione delle cure non dipende dalla sensibilità del singolo medico; è un’abilità che può e deve essere appresa. “Non basta un’istintiva capacità di accudire, né una generale empatia – ha precisato ancora Fioretto -. Occorre saper ‘allenare’ queste competenze”. Secondo mons. Renzo Pegoraro, cancelliere della Pontificia Accademia per la Vita, è inoltre ineludibile
“un’attenzione alle dimensioni spirituali delle persone,
alle loro domande sulla richiesta di senso della vita che emergono in modo nuovo quando si è in un percorso di malattia e di cura”.
Il primo corso, che partirà a Piacenza il 1° marzo, è composto da 3 moduli formativi per un totale di 37 ore per le quali verranno riconosciuti 50 crediti Ecm. Obiettivi, favorire consapevolezza ed elaborazione dei vissuti personali nella professione di medico oncologo; sviluppare competenze comunicative e relazionali nella gestione di pazienti e familiari; sviluppare competenze comunicative e relazionali nel rapporto con i colleghi.