C’è un tema che unisce tutto il Paese, al di là delle colorazioni partitiche e del ruolo che si gioca a livello politico sociale: la battaglia alla denatalità. Ma se siamo tutti d’accordo che è necessario uscire dall’inverno demografico per dare un futuro all’Italia, è più difficile trovare coesione e coordinamento nelle soluzioni. Eppure, il tempo sta per scadere. Per mostrare come ognuno debba fare la sua parte, secondo il principio della sussidiarietà, la Fondazione per la natalità, che organizza dal 2021 gli Stati generali della natalità a Roma, ha lanciato il “Tour della natalità”. La prima tappa è stata a Bologna, il 20 febbraio, ma ne seguiranno altre: a Palermo a metà ottobre, a Roma il 15 novembre, a Milano a dicembre e un’ultima tappa a Venezia, senza dimenticare che nella capitale, presso l’Auditorium della Conciliazione, il 9 e il 10 maggio, si svolgerà la IV edizione degli Stati generali della natalità. Di tutto questo parliamo con Gigi De Palo, presidente della Fondazione per la natalità.
È partito il “Tour della natalità” a livello locale: avete avuto un feedback positivo?
Siamo molto contenti per la grande partecipazione all’evento di Bologna, che ha inaugurato il Tour della natalità: sono intervenuti giovani e scuole, target a cui ci rivolgiamo – gli adulti devono realizzare le premesse alle condizioni che permettono ai giovani di realizzare i loro desideri -, erano presenti le istituzioni civili a tutti i livelli (nazionale, con Eugenia Roccella, regionale con Stefano Bonaccini, comunale, con il sindaco Matteo Lepore) e la Chiesa, con l’arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, card. Matteo Zuppi. Presenti anche gli stakeholder del territorio. L’evento è riuscito, ma il problema qual è? Facciamo questi eventi per passare dall’analisi alla sintesi, da una fotografia della criticità alla soluzione del problema. Quello che emerge è che, dopo cinque anni di lavoro con la Fondazione per la natalità, siamo riusciti a mettere tutti d’accordo, tutti allo stesso tavolo, destra, sinistra, centro, aziende. Ora tutta questa motivazione dobbiamo trasformarla in concretezza politica. Le aziende stanno facendo tantissime iniziative, soprattutto le grandi ma anche le medie; persino le piccole aziende, dove è più difficile, stanno facendo riflessioni sull’attenzione alle politiche familiari e per la natalità. Le associazioni sono sempre impegnate. Le istituzioni sono molto ingaggiate, ma
quello che mi sembra manchi è una regia.
Cosa succede se manca la regia?
Quello che manca in Italia è la sussidiarietà, adottiamo provvedimenti singoli, facciamo iniziative slegate e questo fa sì che impattino poco sui cittadini.
Stato, Regioni e Comuni dovrebbero trovare un modo di trovarsi insieme sul tema della natalità e fare ragionamenti insieme. Lo Stato può aumentare l’assegno unico, le Regioni possono intervenire dove non arriva l’assegno unico per situazioni specifiche, i Comuni per le famiglie più in difficoltà possono abbassare le tariffe e adottare una sorta di Fattore famiglia locale, le aziende danno il loro contributo creando situazioni di conciliazione lavoro-famiglia. Se ci muoviamo tutti insieme, dove non arriva l’uno subentra l’altro, mentre la sensazione è che si ragioni a compartimenti stagni e questo oggi non ce lo possiamo più permettere perché ci sono meno risorse e soprattutto perché il tema della natalità tocca tutti, perché se crolla il Sistema sanitario è un problema di tutti, a livello nazionale come regionale e ne risentono anche i Comuni, perché finiscono i fondi. È il momento di fare squadra in maniera più sistematica e matura, non solo dal punto di vista di uscire dagli schemi ideologici.
La situazione resta critica ovunque sul fronte delle nascite?
L’unica Regione che cresce per numeri di nati è quella del Trentino Alto Adige, soprattutto nella zona di Bolzano, e questo dipende dal fatto che ci sono politiche familiari che funzionano.
Il problema è che la mancanza di politiche familiari in Italia sta generando anche una cultura.
Fino a quando la nascita di un figlio sarà la seconda causa di povertà in Italia è difficile far cambiare il trend del calo demografico. Se non ci diamo un obiettivo strategico da raggiungere, 500mila nuovi nati entro il 2033, non risolveremo la questione. La mia sensazione è che sono tutti d’accordo, ma anche tutti rassegnati all’inverno demografico. Noi della Fondazione per la natalità non ci vogliamo rassegnare a questo.
Il futuro non è ineluttabile, non è una partita già persa.
Fino a quando il desiderio dei giovani di avere figli c’è, quando il desiderio dei giovani italiani di mettere su famiglia è superiore a quello dei giovani francesi l’obiettivo è mettere i giovani italiani nelle condizioni di avere le stesse tutele dei giovani francesi. A mio avviso, non stiamo facendo tutto quello che potremmo fare. Anche l’aspetto economico – il Quoziente familiare di cui si parla tanto, una fiscalità più equa per le famiglie – è un volano che ti aiuta a velocizzare il cambiamento culturale. In Italia l’aspetto culturale tra un po’ non lo riprendiamo più. Le domande dei ragazzi sono sempre le stesse: come posso pensare di mettere al mondo un figlio quando in Italia se hai un figlio rischi di diventare povero? Come faccio a mettere al mondo un figlio quando la narrazione della vita che viene fatta è completamente negativa: tutto è complicato, non avremo mai il lavoro dei nostri sogni, non avremo mai una casa? Come faccio a mettere al mondo un figlio quando il futuro mi viene raccontato come una minaccia e non come una promessa? Di fronte a queste domande serie di senso, noi non stiamo facendo nulla per rispondere positivamente. Quindi l’aspetto economico ha condizionato inevitabilmente quello culturale. Ma noi non rispondiamo a queste sfide: da una parte, non facciamo nulla per raccontare la bellezza di metter su famiglia che ti cambia la vita in meglio; dall’altra, per ovviare alle difficoltà concrete che i giovani incontrano.
Il 9 e il 10 maggio ci saranno gli Stati generali della natalità a Roma.
Per i cattolici è una chiamata alle armi, il mondo cattolico è la cintura nera del sociale, è l’unico in Italia che si occupa di temi sociali: anziani, immigrati, disabili. Se non nascono nuovi bambini e quindi futuri lavoratori che pagheranno le tasse, crollerà tutto. Di conseguenza, aumenteranno le richieste di aiuto perché ci saranno persone senza pensione, senza la possibilità di avere una cura gratuita o dovranno aspettare attese lunghissime, cooperative senza lavoro, perché senza fondi del welfare, quello comunale o regionale, le ricadute ci saranno anche per loro. Gli anziani per primi dovrebbero fare il tifo per le politiche giovanili, perché solo con nuovi lavoratori che pagano le tasse saranno garantiti pensioni e Ssn. Lancio, perciò, un appello al mondo cattolico e all’associazionismo in generale: oggi si parla, anche sui giornali, di tanti temi importanti, come immigrazione, educazione, bullismo, violenza sulle donne, ma non dimentichiamo che il convitato di pietra è la denatalità, di cui oggi non vediamo gli esiti, ma solo degli accenni, ma quando gli esiti arriveranno, sarà messo in discussione tutto. Perciò,
è necessario unirci tutti insieme per questa battaglia e per garantire un futuro all’Italia e ai giovani.
La natalità come nuova questione sociale, come ha ripetuto tante volte in questi anni…
Sì, l’Italia è uno dei Paesi dove si vive meglio al mondo, ma paradossalmente sta diventando un problema. Oltre all’alleanza tra le forze politiche serve anche un’alleanza intergenerazionale, paradossalmente diventa un problema che in Italia la gente viva bene e muoia più tardi. In Italia i dati ci dicono le donne hanno mediamente un’aspettativa di vita di 84 anni e gli uomini di 81 anni. Se la sanità non sarà più gratuita, questi dati crollano. Negli Stati Uniti in media vivono cinque anni meno di noi e questo è legato al fatto che non hanno la sanità pubblica come da noi. Purtroppo invece di festeggiare i nostri dati positivi, mettiamo in discussione tutto perché non nascono più bambini.