Storia della Democrazia cristiana: partito-Stato e partito-società

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella riceve oggi al Quirinale Guido Formigoni, Paolo Pombeni e Giorgio Vecchio, autori del volume “Storia della Democrazia cristiana. 1943-1993”. Abbiamo rivolto alcune domande a Vecchio entrando nel merito della pubblicazione. "Un partito unitario, ma plurale, che ha contenuto in sé anime diverse, da quelle più riformiste a quelle più conservatrici, tenute insieme - afferma lo storico - dal collante del potere (cosa innegabile), ma anche dalla consapevolezza di avere delle responsabilità politiche collettive". Il nodo dei rapporti con la gerarchia ecclesiale

Un comizio Dc degli anni '60, presenti diversi leader del partito (Foto ANSA/SIR)

Sarà presentato oggi pomeriggio al Quirinale al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella il volume “Storia della Democrazia cristiana. 1943-1993” (Edizioni Il mulino), frutto della monumentale e approfondita ricerca condotta da tre storici contemporaneisti: Guido Formigoni (Università Iulm Milano), Paolo Pombeni (professore emerito dell’Università di Bologna) e Giorgio Vecchio.
Giorgio Vecchio (nella foto), già professore ordinario di Storia contemporanea all’Università di Parma, presidente del Comitato scientifico dell’Istituto Alcide Cervi e di quello della Fondazione Don Primo Mazzolari, risponde ad alcune domande per il Sir.

(Foto G.B./SIR))

Scorrendo l’indice del vostro volume si attraversa la storia d’Italia del secondo dopoguerra, fino ai primi anni ’90. Si può dire che la Dc abbia contribuito come nessun altro partito alla politica della cosiddetta “prima Repubblica”?
Certo, la risposta è scontata. Ministri democristiani entrarono nel secondo governo Badoglio, dopo la “svolta di Salerno” attuata dal Partito comunista nella primavera del 1944 e ministri democristiani furono presenti in tutti i successivi governi, fino allo scioglimento del partito, avvenuto tra il 1993 e il 1994. Nessun altro partito è mai stato al potere così a lungo in Italia, a meno di voler considerare un unico partito le varie frazioni e i vari notabilati liberali che ressero le sorti del Paese dopo l’unificazione del 1861. Ma tali situazioni sono del tutto inconfrontabili tra loro.

Partito democristiano e governo del Paese si sono dunque strettamente intrecciati dalla fine della seconda guerra mondiale fin oltre il crollo del Muro di Berlino. Nel frattempo il mondo era cambiato. Quali gli apporti più significativi che si possono attribuire a primi ministri e ministri dc nella vicenda nazionale?
La Dc ha accompagnato la ricostruzione dell’Italia, il passaggio da una civiltà e un’economia contadina a una industriale, ha seguito la transizione verso un’inedita società del benessere. L’Italia del 1945 è un altro Paese rispetto a quello del 1993. Completamente diverso, nel bene e nel male. Ho usato non a caso i verbi “accompagnare” e “seguire”. La Dc non ha “guidato” la trasformazione dell’Italia, l’ha semmai favorita, consentita, facilitata. Appunto: accompagnata. Voglio dire che quel partito non si era dato un’ideologia rigida, non aveva un progetto da realizzare minuziosamente, elaborato a tavolino. Ha rassicurato gli italiani, ha detto loro: non preoccupatevi del governo, ci pensiamo noi a tener lontano il pericolo comunista (se voi ci votate, beninteso), voi intanto pensate a rimettere in piedi tutto, arrangiatevi un po’ da soli. I grandi risultati, ma anche le grandi storture dell’Italia si spiegano anche così. Ovviamente questo non vuol dire che la Dc sia stata assenteista

Quale la stagione migliore?
La stagione migliore, a mio avviso, è stata quella dell’immediato dopoguerra, dell’azione governativa di De Gasperi e del contributo del gruppo dossettiano alla stesura della Costituzione. A quegli anni risalgono i tentativi, più o meno riusciti, di ridurre le differenze sociali (penso alla riforma agraria, al piano casa, alla Cassa del Mezzogiorno). Ma non dimentico i momenti iniziali del centro-sinistra (per esempio la riforma della scuola media e l’innalzamento dell’obbligo scolastico). E poi ancora le successive e migliorative riforme sanitarie… Senza dimenticare l’opera dell’Eni di Mattei e della Partecipazioni Statali. Non guardiamo soltanto a taluni esiti negativi di tutto ciò.

Dc e “mondo cattolico”: un rapporto a tratti solido, in altri casi tormentato, niente affatto scontato. Non è vero?
Diciamo la verità. Chi legge, tutto di seguito, il nostro libro si rende conto che il rapporto tra Dc e gerarchia ecclesiastica è sempre complicato. Certo, il rapporto è stato solido e confermato dai reiterati appelli all’unità politica dei cattolici, appelli sempre meno ascoltati. Ma, entro questa solidità, quante ingerenze, quanti tentativi di condizionare la dialettica politica dell’azione stessa del partito e del governo. Invito a rileggere le pagine dedicate al percorso politico volto ad avviare il centro-sinistra, ma non solo. Va dato atto ai principali leader democristiani – specie a De Gasperi, Fanfani, Moro… – di aver difeso l’idea dell’autonomia e della responsabilità dei laici cristiani. Pagando anche prezzi personali molto alti: è da tempo nota la sofferenza personale di De Gasperi.

9 maggio 2023: il Presidente Mattarella commemora Aldo Moro (Foto ANSA/SIR)

Una pubblicazione di quasi 700 pagine non può essere “riassunta” con poche domande di un’intervista. Ma se lei dovesse dire quali sono gli elementi salienti per raccontare oggi la Dc a un giovane nato dopo lo scioglimento del partito, cosa sottolineerebbe?
Nelle conclusioni del libro noi diciamo che la Dc è stato un partito di ispirazione cristiana, legato alla precedente storia dei cattolici italiani; un partito-Stato inevitabilmente connesso alla gestione e anche all’occupazione del potere; un partito-società, capace di ramificarsi ovunque, in tutte le periferie e le province del Paese, riuscendo a rappresentarle. Infine, la Dc è stato un partito unitario, ma plurale, che ha contenuto in sé anime diverse, da quelle più riformiste a quelle più conservatrici, tenute insieme dal collante del potere (cosa innegabile), ma anche dalla consapevolezza di avere delle responsabilità politiche collettive. Il nostro libro può essere letto anche come storia degli scontri violentissimi tra i capicorrente, ma anche come storia delle ricomposizioni e della riscrittura di equilibri accettati da tutti. In questo, il ruolo di Moro è stato determinate e la sua uccisione ha segnato l’inizio della fine della Dc.

Quale, se esiste, l’“eredità” democristiana per questa nuova, assolutamente differente, fase politica del Belpaese? Lo Scudocrociato quali valori lascia, quali gli errori da evitare, quali insegnamenti positivi potrebbe trasmetterci oggi?
Difficile dare una risposta utile. Riprendendo le cose già dette, direi l’idea di un impegno del cristiano in politica in modo autonomo e responsabile, la capacità di trovare una sintesi partendo da opinioni anche opposte (i casi di “migrazione” politica di democristiani verso altri partiti sono molto rari, altro che oggi!), il senso delle istituzioni che vanno comunque preservate. Penso che il magistero del Presidente Mattarella sintetizzi al meglio questa eredità. E non trascuriamo il fatto che la Dc ha sempre difeso il proprio antifascismo: da De Gasperi a Moro esistono dichiarazioni durissime contro il fascismo e contro i suoi eredi neofascisti. Ma il partito ha lasciato anche eredità assai negative.

Ad esempio?
La mancanza di un progetto e di una volontà di guida ha lasciato spazio, troppo spazio, all’individualismo, ai conformismi, alle clientele, anche criminali. La Dc non ha educato (ovviamente ci sono anche altre responsabilità) al senso dello Stato, all’idea di progettare il futuro, alla responsabilità collettiva. Dopo tutto, la devastazione dell’ambiente, la speculazione edilizia, l’evasione fiscale, la forza mafiosa non sono sorte dal nulla. E anche la Dc ha le sue responsabilità. Azzarderei: nel complesso la Dc ha offerto all’Italia buoni dirigenti, buoni militanti, ma anche pessimi elettori.

Il libro ha un titolo, ma non un sottotitolo riassuntivo, interpretativo. Se dovesse sceglierne uno quale indicherebbe?
Se non temessi ci suscitare qualche equivoco linguistico e interpretativo, direi: “La compagna degli italiani”, anche se forse – vista la durata cinquantennale del rapporto – sarebbe meglio dire “La sposa degli italiani”, proprio per quella capacità di accompagnamento e di sicurezza che ha saputo dare.

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