“Sono i luoghi che siamo abituati a godere tutti i giorni che vanno riconvertiti alla sostenibilità. Così il passato e la memoria diventano scuola per affrontare l’oggi e il futuro con stile e modalità diversi e ci indicano la via maestra per il futuro dell’umanità: le radici che sussurrano alla chioma in quale direzione volgersi. Fruire e godere del passato sperimentando il nuovo corso che l’umanità è chiamata ad intraprendere!”. Con questo invito del presidente di Greenaccord onlus, Alfonso Cauteruccio, si è concluso il XVIII Forum dell’informazione cattolica per la custodia del Creato, organizzato a Siena da Greenaccord onlus, dal 15 al 17 dicembre, sul tema “Territorio, sostenibilità e patrimonio culturale nell’era della transizione energetica”. Per un bilancio dell’iniziativa abbiamo sentito Giuseppe Milano, segretario generale di Greenaccord.
Com’è andato il Forum a Siena?
L’ultimo Forum di Greenaccord, svoltosi con il fondamentale supporto della Fondazione dei Monte dei Paschi di Siena e della locale diocesi guidata dal card. Paolo Lojudice, ha confermato da un lato il forte interessamento alle tematiche ambientali delle più giovani generazioni, ampiamente rappresentate da numerosi universitari; dall’altro che non potrà esserci uno strutturale cambio di paradigma economico, andando oltre il vigente modello predatorio, fintanto che al centro di ogni visione di sviluppo non rimetteremo le persone e i loro diritti.
Nel corso dell’evento com’è stato declinato il tema scelto per il Forum 2023?
Accolti a Siena e a Palazzo Chigi-Saracini, non potevamo né volevamo trascurare una dimensione solitamente trascurata della sostenibilità, quella culturale. Con il suo patrimonio storico-architettonico particolarmente pregiato e nel prestigio di essere il primo capoluogo di provincia in Italia che ha azzerato le proprie emissioni climalteranti nette, Siena potrebbe diventare, perciò, l’ideale teatro democratico in cui sperimentare, ispirati dai capolavori di Ambrogio Lorenzetti, nuove modalità di convivenza interculturale e di valorizzazione ambientale. Non si è parlato, tuttavia, solo di come promuovere i beni culturali nella traiettoria di un turismo sostenibile o esperienziale. Tra i focus tematici affrontati, infatti, anche il ruolo delle città nella sfida dell’adattamento ai cambiamenti climatici e soprattutto le comunità energetiche.
Come la cultura della sostenibilità può aiutare a promuovere il patrimonio storico e artistico?
Nel patrimonio storico e artistico bisognerebbe saper riconoscere l’eredità più importante che abbiamo ricevuto dai nostri padri.
Nella cura e promozione dei beni culturali si manifesta, dunque, tutta la potenza e la bellezza del patto intergenerazionale che oggi, invece, è sempre meno solido.
Alle “memorie del passato”, come ha detto Tomaso Montanari nel suo intervento, bisognerebbe saldare “le memorie del futuro”, nella consapevolezza che il patrimonio culturale, intimamente interconnesso a quello ambientale, è rivelatore sia del genius loci e del tratto identitario di un territorio sia annunciatore di come esso andrebbe difeso oppure possa trasformarsi nel tempo anche sotto la spinta degli eventi estremi sempre più intensi e frequenti. In tale scenario, perciò, particolarmente suggestivo è il lavoro portato avanti da anni nell’area archeologica di Pompei in cui sono sperimentate con efficacia alcune tecnologie digitali di ultima generazione che permettono, con un impatto ambientale pressoché nullo, di preservare e promuovere i beni storici presenti.
Quale ruolo possono svolgere le città per ridurre le proprie emissioni climalteranti e per accrescere la prosperità economica senza trascurare il benessere sociale diffuso?
Con la crescita dell’urbanizzazione e conseguentemente delle emissioni climalteranti, le città non sono solo una minaccia per la salute del pianeta, ma rappresentano anche l’algoritmo della salvezza umana.
Chi vive e abilita le città deve comprendere che non possiamo più permetterci di vivere come 30-40 anni fa, quando non si prestava la sufficiente attenzione alla finitezza delle risorse naturali, ma diventa urgente – e quindi sempre più economicamente conveniente – migrare dai combustibili fossili alle rinnovabili e adottare approcci alternativi incardinati sull’economia circolare, sulla rigenerazione del patrimonio edilizio esistente, sulle soluzioni basate sulla natura, sulla mobilità dolce. In Italia, come rivela l’Istat, saremo travolti dal processo di denatalità, con un aumento vertiginoso dell’età media della popolazione. Di conseguenza, è urgente che le città riducano drasticamente le disuguaglianze e offrano nuove possibilità di autodeterminazione alle più giovani generazioni che ambiscono a vivere in città più verdi e organizzate.
L’ecologia integrale è una chiave per avviare una decarbonizzazione dell’economia? In che modo?
L’attuale modello economico lineare, che per decenni ha concentrato la ricchezza in poche mani, sta rivelando tutta la sua disumanità. Papa Francesco ha ragione: una società in cui la multinazionale del dolore – che si mostra attraverso il potere delle armi o mediante la cultura dello spreco – è più forte della multinazionale dell’amore – che si dovrebbe mostrare attraverso il potere della fraternità universale o del rispetto degli ecosistemi – è una società senza speranza e senza futuro.
L’ecologia integrale è, per definizione, l’unica via per perseguire gli obiettivi comunitari di decarbonizzazione e di prosperità inclusiva perché rifugge il modello della distruzione della natura, ma ricerca quelli della redistribuzione e della cooperazione.
Durante il Forum, sono stati presentati dei progetti già avviati su adattamento ai cambiamenti climatici e comunità energetiche?
Si, certamente. Sono state presentate le esperienze di “Forestami”, ossia il progetto di riforestazione urbana di Milano, e del “Campo Laudato Si’” a Caserta. Questa esperienza, in particolare, ispirata dall’omonima lettera enciclica di Papa Francesco e portata avanti dallo studio di architettura Alvisi-Kirimoto, persegue il duplice ambizioso obiettivo di creare un sistema di parchi urbani polifunzionali in un’area militare dismessa riducendo le volumetrie e di riconnettere questo nuovo ecosistema sociale alla Reggia di Caserta per una riconnessione anche sentimentale della comunità con il suo territorio. Sulle comunità energetiche, invece, particolarmente interessante è il lavoro condotto dall’Università di Pisa, attraverso Marco Raugi, che ha avviato il primo Master al mondo, sostenuto dall’Unesco, sulle comunità energetiche per la formazione di profili interdisciplinari altamente specializzati, nonché il tentativo di alcune imprese romagnole, attraverso il dispositivo degli incentivi statali per l’energia rinnovabile non auto-consumata, di accrescere gli emolumenti dei propri dipendenti. Di comunità energetiche, durante il Forum, ho parlato anch’io, che ho scritto il volume “Comunità energetiche. Esperimenti di generatività sociale e ambientale”, in uscita a gennaio, in cui sono descritte diverse buone pratiche nell’intenzione di supportare quei Comuni, imprese e realtà del Terzo settore che vorranno intraprendere simili percorsi innovativi di “democrazia energetica”.
Che ruolo può svolgere oggi la comunicazione ambientale?
La comunicazione ambientale è fondamentale perché ha la responsabilità di arginare la deriva delle fake news o del greenwashing, offrendo al pubblico un’informazione rigorosa e di qualità fondata su dati scientificamente validi e fatti oggettivi. L’informazione ambientale, a parte poche virtuose eccezioni, si desta solo dopo le tragedie e le catastrofi. Non è in grado di anticiparle o di prevenirle con una narrazione del reale indipendente e competente. Oggi l’informazione, non solo quella ambientale, è in Italia malata di autoreferenzialità e concorre all’analfabetismo funzionale, all’astensionismo elettorale e al cinismo sociale. Eppure le buone pratiche, anche di giornalismo costruttivo, sono sempre più numerose e virtuose, indicando la via per una comunicazione più seria e più rispettosa dei diritti delle persone.
Da poco si è conclusa la Cop28: se n’è parlato durante il Forum? E avete anche riflettuto sulle prospettive lanciate da Papa Francesco con la “Laudate Deum”?
Sì, si è parlato anche di Cop28 e di Laudate Deum. A proposito dell’ultima Conferenza sul clima è emersa la preoccupazione che non si riuscirà più ad arrestare l’aumento della temperatura media globale di 1,5°C entro il prossimo decennio e che i pur timidi progressi compiuti sono decisamente insufficienti per affrontare efficacemente la crisi climatica in corso. C’è il serio rischio che in pochi decenni oltre 140 milioni di migranti climatici possano raggiungere l’Europa riscrivendone la storia, mentre la concentrazione di anidride carbonica continua ad essere la più alta degli ultimi 800mila anni. Sulla Laudate Deum, infine, particolarmente vivace è stata la testimonianza di Luca Casarini, già protagonista del Sinodo e intervenuto da remoto. L’attivista dei diritti umani ha evidenziato l’ipocrisia di una società che si scandalizza delle guerre, ma nulla fa per debellare il cancro delle armi; che si indigna per le ingiustizie, ma poi le allarga con politiche che umiliano coloro che sono rimasti indietro. Secondo Casarini, l’urlo dei poveri, citando il Papa, deve svegliarci dal nostro letargo etico perché solo uscendo dal “tunnel dell’indifferenza” possiamo frequentare con responsabilità la fratellanza.