L’Italia negli ultimi decenni sembra aver, di fatto, disinvestito dal punto di vista quantitativo e quantitativo sulle nuove generazioni.
La combinazione tra basso peso demografico (ed elettorale) e difficoltà a farli percepire soggetti attivi nella società e nel mondo del lavoro spiega perché nell’indagine del Rapporto Censis 2023 risultano soprattutto i giovani a sentire più incertezza nei confronti del futuro (65,3% nella fascia 18-34 anni contro 52,3% per chi ha 65 anni e oltre), ma anche di contare poco nel presente (rispettivamente nelle due fasce d’età: 61,4% e 49,8%).
I due aspetti sono fortemente interdipendenti e strettamente legati agli squilibri generazionali (aggravati dall’enorme debito pubblico). Questi squilibri, da un lato, frenano anche la possibilità di diventare autonomi dalla famiglia di origine e, dall’altro, spingono ad andare lontano, a cercare opportunità in altri Paesi. Una situazione ancora più accentuata nel Mezzogiorno come evidenziato nell’ultimo Rapporto Svimez.
Il rischio è che l’Italia diventi un Paese in cui si rinuncia ad avere figli o ci si ferma al figlio unico con la prospettiva di aiutarlo a trovare un futuro altrove, magari facendolo già studiare all’estero per le famiglie più benestanti. Mentre chi ha meno risorse socio-culturali e incautamente ha figli si troverà con meccanismi di mobilità sociale sempre più arrugginiti.
Alcuni segnali positivi per sperare che questa profezia negativa non si autoadempia ci sono: uno sull’investimento del Paese per il potenziamento del ruolo dei giovani, l’altro sull’intraprendenza dei giovani nei processi di miglioramento del Paese.
Il primo è costituito dal fondo Next generation Eu che, come promette il nome, dovrebbe essere orientato a rafforzare soprattutto la condizione dei giovani. Il Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) che utilizza tali fondi deve dimostrare di mettere le basi di una fase nuova che metta al centro le competenze delle nuove generazioni per la transizione verde e digitale, migliorando nel contempo tutti gli snodi della transizione scuola-lavoro e della transizione alla vita adulta.
Il secondo è l’aumento della consapevolezza dei giovani della necessità di agire collettivamente per migliorare ciò che non funziona anziché adattarsi al ribasso. Lo dimostra la voglia di farsi sentire e l’impegno verso i grandi temi del proprio tempo, come quello del riscaldamento globale. Ma anche su temi più specifici, come la protesta sul costo degli affitti partita da una studentessa (con una tenda piantata davanti al Politecnico di Milano) diventata poi collettiva. Se fino a qualche anno fa la reazione era quella individuale di pesare ancor più sui genitori o rinunciare a studiare, questo episodio sposta la questione sul piano generale. La convinzione che muove la protesta è che, per gli squilibri in cui si trova, l’Italia dovrebbe ancor più e meglio degli altri Paesi garantire le condizioni di alta formazione e di autonomia alle nuove generazioni. Coerente con questo approccio è anche il caso ancor più recente del ragazzo di 17 anni che guida la protesta contro i ritardi sistematici dei treni locali, alla cui base sta la non rassegnazione a trovarsi costretto dalle inefficienze di sistema ad arrivare continuamente in ritardo a scuola pur alzandosi presto la mattina.
Questi giovani meritano un’Italia migliore e solo con loro l’Italia può migliorare per tutti.