Emanuela Confalonieri, psicologa e docente di psicologia dello sviluppo presso l’Università Cattolica del S. Cuore di Milano, da diversi anni si occupa di ricerca e progetti di formazione che hanno come oggetto l’educazione affettiva e sentimentale di adolescenti e giovani adulti. Il Sir le ha rivolto alcune domande.
Professoressa Confalonieri, gli adolescenti e i giovani adulti oggi come vivono le relazioni affettive?
Una buona percentuale di adolescenti e giovani adulti vive con serenità la propria vita affettiva e le relazioni. Naturalmente l’ambiente di provenienza e le frequentazioni, di cui essi fanno esperienza negli anni della crescita, condizionano fortemente i comportamenti di ciascuno. Nei rapporti sentimentali i giovani hanno come riferimento primario il modello genitoriale e i propri coetanei. In una relazione entrano in gioco diverse sfere: intimità, impegno, reciprocità. Sono aspetti di cui si fa esperienza fin dalla nascita e che sedimentano attraverso l’esempio e il confronto con gli altri.
E la sessualità come viene vissuta dai giovani?
Gran parte di essi vive la sessualità in maniera naturale, come fase di crescita e maturazione. Poi ci sono “gli sperimentatori”, ovvero quegli adolescenti che vivono la sessualità con una accezione un po’ troppo “tecnica”, separandola dalla dimensione affettiva. Una terza tipologia riguarda i giovani che con fatica raggiungono la propria consapevolezza e identità sessuale. Molti di essi si affidano a Internet, alla pornografia o a personaggi del web per reperire informazioni e costruire le proprie certezze, a volte incorrendo in situazioni rischiose e fuorvianti.
In alcuni casi le relazioni dei giovani prendono una piega malsana e violenta…
Ci sono grandi paure che accompagnano le prime relazioni, fra cui l’abbandono e la solitudine.
Si tratta di due aspetti dell’esistenza umana oggi particolarmente “sentiti”: il nostro è un mondo in cui la solitudine viene negata, o “riempita” artificiosamente. Le giovani generazioni, inoltre, fanno fatica a sostenere i “no” e mal tollerano le frustrazioni, anche quelle che arrivano dalla scuola, o dallo sport… Coloro che non sono stati educati a vivere il “no” come un’opportunità di cambiamento e di evoluzione interiore, quando sperimentano il rifiuto in un contesto più sensibile (ad esempio, quello sentimentale) tendono a sviluppare risposte rabbiose e aggressive o a isolarsi.
I condizionamenti sono riconducibili più a disagi familiari, al contesto in cui tutti siamo immersi, o all’impatto che la tecnologia ha nelle nostre vite?
Alla base dei condizionamenti troviamo innumerevoli fattori che interagiscono fra loro. Nessuno di questi aspetti è l’unico a incidere. Un ruolo lo hanno anche il temperamento della persona e le sue caratteristiche innate. Chiaramente in un percorso di costruzione delle “competenze affettive” devono essere coinvolte le famiglie, le scuole e deve essere prevista anche l’educazione a un uso responsabile e funzionale della tecnologia.
I social media in un adolescente possono fare da detonatore a problematicità preesistenti.
E la “cultura” del corpo, così ingombrante nella nostra società, quanto pesa nello sviluppo delle dinamiche affettive?
Il “corpo” è diventato negli ultimi anni forse il “nodo” che gli adolescenti fanno più fatica a sciogliere. I socialmedia mettono in forte rilievo questo tema e spesso lo esasperano. Il corpo sta diventando la dimensione identitaria prevalente: se non sto bene con il mio corpo, non sto bene. Tornando a parlare di frustrazioni… Non si è disponibili a “sostare” nell’insoddisfazione rispetto al proprio aspetto fisico, nell’immaginario collettivo c’è poi la via di fuga del “cambiamento”, o della “trasformazione”: non mi piaccio, ma posso cambiare… Come? Indossando un outfit di tendenza, intraprendendo una dieta radicale, fotografandomi con il “filtro” giusto dello smartphone, perfino affidandomi alla chirurgia estetica.
In quale modo possono essere strutturati degli efficaci percorsi di educazione all’affettività?
Nei nostri percorsi di formazione cerchiamo di costruire delle competenze, consapevoli che le sole conoscenze non bastano. L’obiettivo non è rendere i giovani “invulnerabili”, ma capaci di affrontare fallimenti e delusioni. I campi di intervento sono: intimità, reciprocità, regolazione emotiva. Si lavora sull’identità, sulla capacità di leggere i bisogni propri e quelli dell’altro e di risolvere i conflitti attraverso il dialogo.