“Da oggi, giorno per giorno, seguendo le vicende alterne della cronaca cercheremo di portare avanti un discorso che i cattolici italiani hanno iniziato ormai da più di cento anni”.
Si apriva così il primo editoriale di Avvenire, in cui il direttore di allora, Leonardo Valente, indicava il progetto che dava vita alla nuova testata e l’orizzonte ampio, richiamato dal nome scelto, verso il quale intendeva guardare.
Era il 4 dicembre del 1968. Nacque quel giorno Avvenire. Sul finire di un anno che sarebbe diventato simbolo di un mondo che stava cambiando. In un tempo non facile da raccontare, diviso tra domanda e paura di cambiamento, di cui serviva cogliere la complessità e la portata.
Quotidiano di ispirazione cattolica, voluto da Papa Paolo VI, e nato dalla fusione di altre due prestigiose testate cattoliche, L’Italia di Milano e L’Avvenire d’Italia di Bologna, Avvenire si è affacciato nel panorama editoriale italiano per rivolgersi non solo a quella parte di mondo.
Si è presentato come un giornale in comunione con la Chiesa, ma desideroso di parlare con chiunque volesse mettersi in connessione con quel sentire fatto di attenzione verso gli ultimi, verso temi, non sempre da prima pagina, ma vicini alla parte più viva della società: occupazione, educazione, sociale.
Avvenire ha intrecciato la sua storia con quella del nostro Paese. Esprimendone la cultura, e allo stesso tempo diventando parte integrante della nostra cultura.
Con la responsabilità di raccontare la realtà con obiettività. Sollecitando nei lettori domande. Stimolando il ragionamento critico, accompagnato da un approfondimento serio e da idee cristalline.
La storia dell’Italia di quel tempo è passata anche sulle pagine di questo quotidiano aperto e dialogante.
Da allora è trascorso più di mezzo secolo. Abbiamo visto il mondo cambiare più di una volta. Il crollo dei mercati, la crisi climatica, la pandemia, le nuove guerre hanno portato cambi di paradigma.
È emersa la necessità di rileggere il presente. Un presente che va guardato con gli occhi rivolti al domani, se vogliamo che il futuro sia migliore di come si prospetta oggi.
A questa nuova sfida è chiamato lo stesso mondo dell’editoria. Avvenire la raccoglie ogni giorno dalle sue colonne, portando nel dibattito quotidiano il suo punto di vista trasparente e puntuale. Con un’informazione di qualità, proposta con intelligenza e passione per la verità.
Contro la disinformazione che alimenta nuove paure e nuove fragilità, i media sono chiamati ad entrare nel cuore degli avvenimenti, per restituirne l’essenza con l’evidenza dei fatti.
In un tempo come il nostro c’è inoltre bisogno di “un nuovo umanesimo”, di ritrovare “il senso e il valore dell’umano”, come ha indicato Papa Francesco.
Anche in questo le testate giornalistiche hanno un ruolo: nel creare senso di comunità e partecipazione, nel dedicare attenzione alla società reale, ai bisogni delle persone.
Avvenire ne è un esempio fulgido.
Rivolgo un saluto alle redattici e ai redattori, a tutte le articolazioni del quotidiano, ai direttori che si sono avvicendati alla guida e che, con dedizione e serietà, hanno fatto e fanno di Avvenire una testata vivace, attenta alle sensibilità che mutano.
A tutte e a tutti va il mio augurio di buon lavoro. Al giornale, che porta nel suo nome un auspicio, auguro davvero un buon avvenire.