“Dallo spazio non si vede alcun confine sulla Terra, l’Italia un po’ si distingue per la sua forma, ma riconoscere altro è difficile. L’unico confine per l’umanità è quello dell’atmosfera”. Così Paolo Nespoli, ex astronauta tra i cinque italiani che sono stati a bordo della Stazione spaziale internazionale, quando gli si chiede di ragionare di pace sulla Terra alla luce della sua esperienza da astronauta. “Quando si fa ricerca scientifica, per di più in un posto complesso come lo spazio, si prendono risorse da diverse nazioni. Gli astronauti – ha spiegato intervenendo nei giorni scorsi al Festival della Dottrina sociale di Verona – mantengono la propria provenienza, ma si lavora come equipaggio alla ricerca di qualcosa di utile per tutta l’umanità. In questo momento sulla Stazione spaziale internazionale ci sono 3 russi, 2 americani, un danese e un giapponese”. In sostanza la Stazione spaziale internazionale “è simbolo di unità per conoscere qualcosa che non si conosce”. Il Sir ha incontrato Nespoli appena prima di un partecipato incontro, con molti giovani ad ascoltarlo.
Considerata la sua esperienza, il viaggio alla scoperta dello spazio come può contribuire a costruire relazioni di pace?
Quando si esce dalla Terra si va in un ambiente ostile ed è chiaro che la focalizzazione dell’attenzione di chi si trova in questa situazione è sulla sopravvivenza, sulla gestione delle risorse; soprattutto su una serie di cose che vanno al di là di quelle che sono le differenze minute di appartenenza ad una certa cultura, ad un certo posto…
Nello spazio siamo alla fine tutti umani e si è lì per capire come funziona la vita; e non è la vita italiana, quella americana, russa o cinese. È la vita di tutti.
Interessa capire come fare a espandere le nostre conoscenze per continuare ad andare avanti. Come astronauta penso che dovremmo continuare l’esplorazione dell’universo, magari trovare altri mondi e cercare di vedere cosa c’è.
C’è da immaginare che fin da piccolo Lei sognasse di diventare astronauta. Era un modo per cercare di evadere da questo mondo o per sentirsi libero?
Quello che uno pensa quando è ragazzino penso sia il risultato dell’influenza di quello che in quel momento ti affascina, ti gira attorno.
Lo spazio è sempre stato una cosa abbastanza affascinante, specialmente per i ragazzini quando si parla di volare, di scoprire… Anch’io, come tutti i ragazzini di allora, ero affascinato dal lavoro che stavano facendo americani e sovietici per andare nello spazio, per conquistarlo;
per far vedere che come razza umana eravamo sì legati alla Terra ma anche che con la tecnologia, la capacità, la scienza, potevamo rendere questo sogno possibile. E, difatti, siamo riusciti ad andare nello spazio, ad andare sulla Luna. Questa esplorazione sono certo che continuerà nel futuro.
L’Italia è uno dei Paesi che meno investono in ricerca scientifica, forse anche che spingono di meno i giovani a intraprendere quel tipo di percorso. Cosa si dovrebbe fare invece per andare in direzione opposta?
Una nazione moderna, tecnologicamente evoluta, dovrebbe destinare parte delle risorse interne alla ricerca, finalizzandole a cercare qualcosa che non conosce. È importante cercare dove non stai cercando qualcosa di preciso perché comunque stai cercando conoscenza; e attraverso la conoscenza si riesce a fare cose alle quali non ci si aveva neanche pensato. È
questo è il segreto della conoscenza: la ricerca di qualcosa che non conosci,
altrimenti non sarebbe ricerca. Certo, è più facile, che ne so, entrare in un supermercato con 10 euro e uscire dicendo che li si è spesi per acquistare due bottiglie d’acqua, tre panini e due mele. Ma la ricerca non è così. Statisticamente si è visto che le nazioni che investono di più nella ricerca hanno ricadute interessanti; fare ricerca sembra essere legato al beneficio, al benessere dei cittadini che vivono in questa nazione.
L’Italia come nazione tecnologicamente avanzata dovrebbe destinare parte dei fondi alla ricerca. Potrebbe fare di più? Potrebbe certamente fare di più, ma qual è la percentuale giusta di investimenti?
Personalmente mi trovo in difficoltà quando mi chiedono: “Nespoli, sei stato nello spazio per più di 300 giorni, che cosa ci ha portato?”. Sembra la domanda posta ad uno che è andato al supermercato; ma io non sono stato al supermercato, sono andato sulla Stazione spaziale internazionale dove abbiamo fatto dozzine, anzi centinaia di investigazioni. E il risultato di queste investigazioni lo vedremo più avanti.
Per una persona come Lei che ha avuto la fortuna di lasciare la Terra per un periodo per poi ritornarci, che effetto fa vivere un periodo nel quale la sopravvivenza sulla Terra sembra sempre più minacciata, non solo dai conflitti ma anche dai cambiamenti climatici?
La situazione non è semplice. È chiaro che ci troviamo di fronte a qualcosa che facciamo fatica a capire. È anche chiaro che la natura ha dei cicli, dei modi di agire, dei modi di fare, di cambiare. Ma è altrettanto chiaro che
noi esseri umani stiamo dando il nostro apporto affinché questi cambiamenti succedano. Alcuni di questi cambiamenti sono benigni per noi, altri no; alcuni sono maligni per la Terra.
Quindi dovremmo capire come riuscire a sviluppare un modo di vita che sia da un lato confacente a quelle che sono le nostre esigenze e dall’altro il meno impattante possibile su quelle che sono le risorse disponibili sulla Terra.
Dovremmo, che ne so, trovare un modo per utilizzare le risorse – e sul pianeta Terra ce ne sono – non in modo esaustivo ma in modo circolare, affinché le risorse ritornino e non spariscano. Fino ad ora non siamo riusciti a capire e a trovare questo meccanismo circolare. Dovremmo in futuro sicuramente trovarlo perché ne va della nostra esistenza su questo pianeta.
La Terra starebbe benissimo senza di noi, non è che cambia qualcosa se non ci siamo sulla Terra; la Terra andrà avanti, siamo noi, come razza umana, che potremmo non esserci. Per questo dobbiamo sicuramente fare in modo di mantenere la nostra presenza, così come continuare l’esplorazione dell’universo, del cosmo: chi ci dice che non ci siano altri pianeti raggiungibili nei quali poter vivere, trovare altre risorse…? Intanto
serve utilizzare l’ambiente in modo più attento, in modo più rispettoso.
Che poi non è solo essere rispettoso dell’ambiente, è essere rispettoso di se stessi; perché se tu lo cambi, l’ambiente si gira e ti butta via.
Un paio di anni fa ha scoperto di avere un linfoma B celebrale. Com’è stata la sua esperienza con la malattia? Che insegnamento ne ha tratto?
Le esperienze nella vita sono interessanti, alla fine siamo esseri umani fatti di carne, di ossa, di cervello, di un sistema biologico che ci mantiene in vita e di questo sistema biologico conosciamo molto, ma non tutto. Abbiamo ancora tanto da imparare e da scoprire. Io ho finito la mia carriera di astronauta senza alcun problema e subito dopo ho avuto una serie di problemi, di cui uno abbastanza pesante; devo dire che, attraverso la ricerca e la medicina siamo riusciti a capire di che cosa si trattasse e a cercare di isolarlo. Per il momento sembra essere risolto.
Quanto mi è successo mi ha fatto capire ancora di più di essere un umano, di avere delle debolezze come persona fisica, di non poter contare su un futuro certo. E questo vale per tutti, astronauti e non astronauti. La vita è così!
Le agenzie spaziali hanno escluso delle interferenze tra il fatto di essere stato un astronauta nello spazio e quello che mi è successo: mi sa che non ne sappiamo ancora abbastanza per poter escludere o includere alcune cose. Io, però, guardo la situazione diversamente, dal punto di vista di soddisfazione della vita: da ragazzo volevo fare l’astronauta, una cosa praticamente impossibile, sono riuscito a diventare astronauta, sono riuscito ad addestrarmi alla Nasa che per me era il punto massimo da raggiungere dove poter parlare di spazio; sono riuscito a volare su una navicella incredibile che era lo Space Shuttle, sono riuscito a rivolare sulla navicella russa Soyuz, sulla Stazione spaziale internazionale; sono riuscito a fare tutta una serie di cose che sembravano impossibili e le ho fatte lavorando sodo da un lato ma dall’altro anche divertendomi.
Posso dirmi soddisfatto della mia vita, soddisfatto per il fatto di aver passato 300 e passa giorni nello spazio: perché a me quei giorni in cui facevo gli esperimenti nello spazio sembravano giorni importanti per me ma anche per tutta l’umanità. E quando sono ritornato sulla Terra mi sembrava di aver utilizzato bene parte del tempo che mi è stato concesso.
Sì, mi sento davvero soddisfatto.