“Tra i contenuti affrontati al Festival della dottrina sociale e quelli della 50ª Settimana sociale c’è assoluta sintonia. Anche perché il lavoro fatto a Verona è un modo per dare continuità ai temi delle Settimane sociali”. Così Sebastiano Nerozzi, professore associato di Storia del Pensiero economico all’Università Cattolica del Sacro Cuore e segretario del Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane sociali dei cattolici in Italia, mette in evidenza il solco che unisce Verona e Trieste, città distanti quasi 270 km ma accomunate in questi mesi dalla riflessione sulla Dottrina sociale della Chiesa e dall’impegno per il bene comune del Paese. Non è un caso se nel ricco programma del Festival, un panel è stato dedicato ad “una riflessione sulla crisi e sui fondamenti morali della democrazia”, tema al centro dell’appuntamento che si terrà in terra giuliana il prossimo luglio. A margine della sessione, nella quale Nerozzi ha spiegato quali saranno il cammino di avvicinamento e l’obiettivo della 50ª Settimana sociale, il Sir lo ha incontrato.
Professore, il tema di questi giorni a Verona era “Socialmente liberi”, strettamente legato a quello della democrazia. In vista di Trieste, quanto è importante che ci siano contesti come questo che alimentino la riflessione e coinvolgano le persone?
Mi sembra che ci sia una forte continuità di spirito e anche di format tra quanto si è vissuto in questi giorni a Verona e quello che ci prepariamo a vivere a Trieste. Questa continuità è data dal fatto che
al Festival abbiamo avuto riflessioni, si è svolto un confronto tra studiosi, esperti e persone direttamente impegnate nei processi; a questo è stato affiancato il racconto di esperienze molto interessanti, come le imprese che lavorano per un’economia sostenibile, per creare innovazione sociale ed economica nei territori.
E poi ho notato un altro elemento importante: i laboratori, tavoli attorno a cui le persone si sono incontrate, si sono confrontate su un tema, hanno cercato linee comuni, si sono ascoltate. E
questo partire dall’ascolto, che è molto in linea con il cammino sinodale, risponde a quell’idea del dialogo sociale che Papa Francesco in Fratelli tutti auspica. Questo stile il Festival della dottrina sociale lo incarna. E anche la Settimana sociale vuole portarlo avanti.
Nel cammino di avvicinamento a Trieste, c’è qualche tema, qualche ambito che più di altri stanno emergendo come urgenze in questa fase storica per il nostro Paese?
Certo, le urgenze che vediamo sono le urgenze che sente il Paese.
C’è un’emergenza educativa,
che in questi giorni sta venendo fuori ma non è solo legata ai temi dell’affettività, della violenza, del rispetto fra le persone. È legata in generale all’educazione civile, all’essere parte di una comunità democratica, di una comunità che deve trasmettere di generazione in generazione valori e regole condivise, ma anche trovare modalità per rilanciare il dialogo sociale e la ricerca del bene comune.
C’è una sfida educativa che verso Trieste sentiamo molto forte: ed è come facilitare la partecipazione dei giovani. Si tratta di capire come accompagnarli, come stimolarli, come accogliere le loro istanze con dei linguaggi e anche con degli spazi che siano nuovi e che loro possono abitare.
L’Italia è un Paese nel quale demograficamente i giovani sono pochi e quindi dovrebbero essere preziosi. La politica spesso se ne riempie la bocca ma poi le scelte vengono orientate su altro…
Questo porta a riflettere sulla questione del voto, che per molti giovani è inutilmente complicato, presenta ostacoli spesso difficili e costosi da superare. Pensiamo ai giovani fuori sede che per rientrare nei propri Comuni di residenza per poter votare devono sostenere spese spesso molto alte;
mentre da anni gli italiani all’estero hanno diritto a votare fuori dal Paese, paradossalmente chi invece per motivi contingenti, di lavoro, di studio, perché sta facendo un investimento formativo o sul suo futuro non può votare e in molti casi non lo fa.
Non è casuale che l’astensione che è cresciuta tantissimo nelle ultime elezioni politiche – con un’affluenza scesa addirittura al 64% degli aventi diritto con un crollo drammatico di quasi il 10% dal 2018. Questo è un dato assolutamente allarmante anche perché l’astensione è concentrata proprio tra i giovani, le donne e le persone con particolare disagio economico e sociale. L’articolo 3 della nostra Costituzione ci dice che dovremmo rimuovere gli ostacoli alla partecipazione di tutti i lavoratori alla vita della Repubblica, invece noi questi ostacoli continuiamo a ignorarli.
Se i giovani non partecipano al voto, altri sceglieranno anche per loro…
Certo. Le scelte le farà chi ha una prospettiva più radicata in stagioni del passato, non in quella di chi vive l’oggi e deve costruire il proprio futuro. Allora
la necessità di riportare i giovani alla democrazia, di riavvicinarli, è molto forte
e noi come promotori della Settimana sociale abbiamo anche fatto la scelta di farci accompagnare dai giovani creando una Consulta dei giovani per la Settimana Sociale a cui vi aderiscono da tutta Italia, provenienti da tante associazioni diverse. Stanno organizzando delle manifestazioni in vista di Trieste, degli incontri, dei percorsi e a luglio ci daranno una mano, saranno con noi protagonisti anche durante i giorni a Trieste. Un modo concreto per dare loro la possibilità di essere protagonisti, di far sentire la loro voce e richiamare la nostra attenzione su ciò che ritengono più importante.
Uno degli incontri che a Verona ha visto proprio i giovani protagonisti è stato quello con don Alberto Ravagnani durante il quale ha detto che è ora di superare la dicotomia tra reale e virtuale. I social sono uno spazio democratico? Come possono aiutare la democrazia?
Sicuramente i social pongono tutta una serie di problemi importanti, in termini di controllo della comunicazione. Il rapporto tra potere e informazione è sempre stato molto caldo anche quando c’era solo la carta stampata; i giornali erano in mano a grandi potentati industriali, a grandi famiglie e, a volte, a partiti politici.
Oggi l’informazione è più libera, meno controllata, per certi aspetti più rischiosa; però gli studi degli ultimi anni ci fanno vedere che i giovani hanno una consapevolezza nel muoversi nel mondo dei media, anche dei social media. Questo è un processo di apprendimento aperto, è ancora in corso;
per certi aspetti è più efficace di quello che le generazioni che sono arrivate ai social da adulti stanno mettendo in campo. Bisogna avere uno sguardo positivo. Certamente è importante accompagnare, dare criteri di discernimento. Però poi nella dinamica dei social i giovani sanno entrare, sanno individuare la strada giusta.
Come Settimana sociale quale approccio avrete nei confronti dei nuovi media?
Abbiamo deciso di investire su questo, creando una web app e usando tutti gli strumenti social e digitali. Perché
il digitale oggi offre una grandissima opportunità di partecipazione.
Se dovessimo tornare oggi a fare in presenza tutte le riunioni che ormai facciamo online non riusciremmo più a trovarci. Il digitale dà la possibilità di potenziare molto la nostra capacità di interagire, di condividere documenti e contenuti, di lavorare insieme in modo interattivo su un progetto comune. È questo uno dei nuovi volti della partecipazione e oggi gli strumenti digitali, se ci crediamo e se li usiamo con criterio, possono essere una grande opportunità di partecipazione.
La 50ª Settimana sociale su questo è un grande esperimento, anche da un punto di vista ecclesiale. Molte realtà si stanno muovendo in questo senso, in ambito formativo, in quello informativo e pure in quello collaborativo. Abbiamo bisogno di entrare in questo mondo; lo stiamo facendo e i frutti arriveranno.