L’accordo tra Italia e Albania “è una ammissione di fallimento”: “Spostiamo solo il problema, non lo risolviamo”. “Aspettiamo la ratifica del Parlamento ma ci sono tante questioni aperte, tra cui il parere negativo del Consiglio di Europa. È ancora tutto da vedere. Bisognerà verificare se sono rispettati i diritti e altri aspetti a norma di legge molto tecnici, come evidenziato dal Tavolo Asilo”. Così don Marco Pagniello, direttore di Caritas italiana, commenta al Sir la notizia che il governo italiano, contrariamente a quanto annunciato prima, sottoporrà al Parlamento un ddl di ratifica del protocollo per costruire e finanziare centri di accoglienza per migranti in Albania. E rilancia un appello al governo: “Istituire un tavolo nazionale sul sistema di accoglienza”. Intanto non si fermano gli sbarchi e le tragedie del mare: domenica vicino Lampedusa è morta una bimba di nemmeno due anni, 8 i dispersi. Ieri un altro barchino è colato a picco a circa 28 miglia dalla costa ed è annegata una donna ivoriana di 26 anni. Ieri, sull’isola, ci sono stati in tutto 9 sbarchi, con un totale di 483 persone. All’hotspot di Contrada Imbriacola ci sono al momento 1.283 ospiti, fra cui 103 minori non accompagnati. In mattinata 280 saranno trasferiti col traghetto di linea a Porto Empedocle.
Cosa pensa la Caritas dell’accordo tra Italia e Albania?
Noi condividiamo pienamente la posizione del card. Matteo Zuppi: l’accordo con l’Albania è una ammissione di fallimento per noi italiani. Non siamo stati capaci, come Paese, di accogliere dignitosamente queste persone. I numeri ci dicono che altri Paesi europei accolgono più di noi. Rilancio l’appello che abbiamo fatto diverse volte al governo di istituire un tavolo nazionale sul sistema di accoglienza, perché non è vero che siamo in emergenza. Fare una programmazione seria di accoglienze diffuse in tutto il territorio italiano. Accoglienza, protezione e integrazione, perché in alcune zone del nostro Paese abbiamo bisogno di gente che lavori.
Un accordo che però potrebbe ottenere il consenso di una parte dell’opinione pubblica contraria all’immigrazione.
Il problema è che noi dobbiamo decidere a chi parliamo, se alla pancia o all’intelligenza delle persone. Forse la domanda che dobbiamo porci prima di tutto è: chi vogliamo essere? Questa è la classica situazione attraverso la quale spostiamo il problema, non lo risolviamo, facendo finta di non averlo. Ma lo avremo ancora perché tutti quelli che prima o poi lasceranno il centro potrebbero percorrere i famosi corridoi dei Balcani e invece di entrare dalla Sicilia entreranno da Gorizia, da Trieste, da quelle zone. Mi appello al buon senso di tutti:
bisogna avere un po’ più di lungimiranza e di attenzione al futuro per costruire politiche serie, rilanciando la cooperazione internazionale,
altro tema importantissimo. Sono convinto che la maggior parte delle persone che arrivano non vorrebbero lasciare il loro Paese. Invece di spendere soldi per costruire carceri in Albania spendiamoli per dare alle persone le condizioni necessarie per rimanere nel loro Paese. C’è bisogno di una conversione quasi totale di tutto il sistema.
Intanto in un uno degli ultimi naufragi è morta una bimba di due anni nell’indifferenza generale…
Le tragedie non si fermano, il traffico di persone non si ferma e purtroppo non si fermano le morti di innocenti, che devono assolutamente interpellare la nostra coscienza.
È doloroso pensare a questa creatura che ha perso la vita senza poter capire cosa stava succedendo e nell’indifferenza generale.
Credo che il nostro Paese possa prenderne coscienza. Certo, non deve essere lasciato solo, però è arrivato il momento di provare a mettere a sistema tutto: i salvataggi, l’accoglienza, accelerare i rimpatri, rilanciare la cooperazione internazionale, presidiare molto di più in loco, ridare forza all’Onu. Invece ho l’impressione che ognuno guardi al proprio pezzettino. Il grande problema è che non c’è la volontà politica.