Una lunga scia di sangue. Con la brutale uccisione di Giulia Cecchettin, accoltellata e gettata in un dirupo dall’ex fidanzato, sale a 105 il numero di donne uccise dall’inizio dell’anno, fa sapere il ministero dell’Interno. Ma ieri sera c’è stata la 106ma vittima, una donna di 66 anni strangolata dal marito a Fano. Sulla scorta della morte di Giulia, grazie alla procedura d’urgenza il disegno di legge del Governo per il contrasto alla violenza sulle donne – che prevede il rafforzamento e la velocizzazione delle misure preventive e cautelari – firmato dalla ministra per le Pari opportunità e la famiglia Eugenia Roccella e già approvato all’unanimità dalla Camera, è calendarizzato in Aula al Senato per mercoledì 22 novembre. “Speriamo diventi in pochi giorni definitivamente legge dello Stato”, l’auspicio di Roccella. E intanto, su richiesta di Giuseppe Valditara, ministro dell’Istruzione e del merito, che ha annunciato una campagna di educazione alle relazioni nelle scuole, oggi 21 novembre si terrà alle 11 in tutti gli istituti un minuto di silenzio.
“Aldilà di tutte le misure preventive e repressive che possiamo mettere in atto, se non riusciamo a
sradicare la subcultura del controllo, del possesso e della sopraffazione maschile sulla donna
non riusciremo mai a invertire questo trend”, dice al Sir Isolina Mantelli, presidente del Centro calabrese di solidarietà con sede a Catanzaro, all’interno del quale è attivo dal 2012 anche Mondo rosa, centro antiviolenza e casa rifugio per accogliere donne vittime di violenza di genere con i loro figli. Per Mantelli alla base di questo fenomeno in crescita c’è un mix esplosivo di elementi. Anzitutto
“una cultura del patriarcato e della sopraffazione, ancora diffusa a tutti il livelli della società e dura a morire, sulla quale si innesta una diffusa mancanza di educazione alle relazioni e al rispetto della persona”.
Isolina, ci troviamo per l’ennesima volta di fronte ad un copione già visto, dall’esito scontato…
Purtroppo, ancora una volta, è il frutto di quelle relazioni di potere che molti uomini stabiliscono all’interno del rapporto con la propria donna, e che permangono anche dopo la fine della relazione. Una modalità che cresce nell’humus della cultura patriarcale e maschilista che in modo più o meno sottile pervade tuttora la nostra società e contro la quale dobbiamo impegnarci tutti – e sottolinea con forza “tutti”, ndr. – nessuno escluso. Non basta avere una donna a capo del Governo per pensare che questi stereotipi stiano venendo meno.
Colpisce il fatto che questa subcultura del patriarcato sia attecchita anche in un giovane di poco più di vent’anni, fino a poco fa la riferivamo a uomini più adulti.
E’ una subcultura radicata e pervasiva, ma non c’è solo questo.
Oggi chi educa i ragazzi ai sentimenti, alle relazioni rispettose? Chi insegna loro che l’amore non è possesso?
Chi li prepara, attraverso i “no” detti durante l’infanzia, a gestire le frustrazioni dell’età adulta, tra queste anche l’eventuale rifiuto o abbandono da parte di una ragazza? Il “no” detto in famiglia è faticoso, crea conflitti, ma educa perché la frustrazione è un sano elemento di crescita e maturazione della personalità. Oggi i ragazzi sono abituati a pretendere subito quello che al momento è l’oggetto del proprio desiderio; il “no” scatena in loro reazioni violente.
Elena, la sorella di Giulia, ha avuto parole forti e ha detto che più che fare un minuto di silenzio occorre impegnarsi per proteggere le ragazze e le donne di oggi e del futuro.
Dovremmo trasformare questo minuto di silenzio in
una parola educativa per i nostri figli che apprendono la sessualità attraverso la pornografia che riduce la donna ad oggetto per il proprio piacere.
E’ importante una buona campagna di educazione alle relazioni all’interno della scuola. E’ vero che l’amore e il rispetto per la donna si dovrebbero respirare in famiglia, ma oggi molte famiglie non li vivono e non sono pertanto in grado di trasmetterli. Con l’aggravante che la cultura consumistica ha alterato anche le relazioni “oggettificando” anche le persone. Non c’è da stupirsi se alcuni considerano la donna alla stregua di un bene di consumo.
Fa riflettere anche la tempistica dell’omicidio, perpetrato alla vigilia della laurea di Giulia, come se l’assassino non volesse il suo trasferimento a Reggio Emilia e/o non tollerasse di essere rimasto indietro negli studi rispetto a lei…
Cultura patriarcale vuol dire anche non tollerare il successo professionale di una donna rispetto ad un proprio mancato traguardo, vissuto come una sconfitta. E vuol dire anche silenzio da parte degli uomini.
Che cosa intende dire?
Sono sconvolta e nauseata dal silenzio maschile. Vorrei vedere uomini alzarsi e gridare contro questa violenza, vorrei anche che chi è uscito dalla spirale della rabbia e della violenza parlasse e rendesse pubblica la propria testimonianza di ex uomo maltrattante. Pensi alla potenza che questa voce potrebbe avere nelle scuole. Io ho anche un Centro di riabilitazione per uomini maltrattanti, inviatici della Questura, che iniziano un percorso di consapevolezza e di recupero con psicologi e pedagogisti. A volte ci vogliono anche otto mesi prima che smettano di scaricare la responsabilità sulla donna e acquisiscano coscienza di avere un problema con la rabbia.
Isolina, c’è qualcosa che cosa vorrebbe dire alle ragazze e alle donne?
Siate prudenti e non sottovalutate segnali preoccupanti come la gelosia, la smania di controllo, il tentativo di isolarvi da familiari e amici. Purtroppo la cultura del patriarcato fa ritenere ancora a molte donne che la gelosia sia un segno di attenzione nei loro confronti; in realtà è un pericolo.
Non bisogna sentirsi lusingate e orgogliose del maschio geloso. E’ un pericolo dal quale fuggire a gambe levate!