Negli ultimi decenni la consulenza di etica clinica (Cec) ha assunto un ruolo importante in ambito clinico-assistenziale, non solo come supporto nell’identificare le questioni etiche implicate nella storia clinica del paziente, ma anche per facilitare il processo decisionale. Un ambito particolare è la Terapia intensiva neonatale (Tin) che richiede un’opportuna considerazione dei valori in gioco per il perseguimento del bene del neonato, nella presa in carico della sua condizione clinica e della famiglia. Antonio G. Spagnolo, responsabile del Servizio di consulenza di etica clinica presso la Fondazione Policlinico Gemelli Irccs di Roma, ci parla dell’esperienza di questo Servizio all’interno della Tin dell’ospedale e sottolinea l’importanza di coinvolgere a pieno titolo i genitori in una pianificazione condivisa delle cure.
Professore, in che cosa consiste, in concreto, l’attività del vostro Servizio?
La consulenza di etica clinica è un servizio fornito da un singolo consulente o da un gruppo di esperti, finalizzato ad affrontare le questioni etiche che emergono in uno specifico caso clinico, con lo scopo di contribuire ad una migliore qualità della cura dei malati sia nelle modalità sia nei risultati, facilitando l’identificazione dei valori in gioco al fine di giungere alla migliore decisione per il paziente, tra le diverse opzioni possibili di intervento. Concretamente svolgiamo la consulenza etica accanto al letto del malato e con il malato, la sua famiglia e l’équipe curante, cioè il luogo dove sorgono i problemi etici e dove occorre prendere decisioni critiche per la vita del malato. Diamo attuazione cioè a quella pianificazione condivisa delle cure (di cui si parla anche nella legge 2019/2017) che ha lo scopo di procedere in sintonia con tutti i protagonisti, anche al fine di evitare conflittualità.
Il recente caso della bimba inglese Indi Gregory, ad esempio, ci conferma nella convinzione che migliorare la condivisione delle scelte terapeutiche all’interno di una idonea consulenza etica, facilitando la comunicazione, possa far evitare l’odioso ricorso ai giudici che di fatto non possono che esercitare la loro funzione distanti dal caso clinico e basandosi sulle “carte”.
In che modo aiutate medici e infermieri?
In particolare, nella Terapia intensiva neonatale (Tin) dove sono ricoverati i pazienti più piccoli e fragili, i medici e gli infermieri sono posti di fronte ad un “distress morale” in relazione alle delicate decisioni che devo essere prese. Il continuo progresso nella tecnologia e nella ricerca cui si è giunti in campo neonatologico, infatti, consente oggi la sopravvivenza di neonati estremamente prematuri o critici, ma la complessità della loro assistenza può far emergere interrogativi etici rispetto al riconoscimento del limite dei trattamenti. Pertanto,
medici e infermieri si trovano di fronte a scenari a cavallo tra il sostenere con tutti i mezzi la vita appena nata, e la decisione di accettare l’inevitabilità della fine della vita di una malattia inguaribile.
L’incertezza diagnostica e prognostica nonché il coinvolgimento dei genitori rendono la Tin un luogo nel quale non è sempre semplice l’individuazione dell’intervento di volta in volta più adeguato, da un punto di vista sia clinico sia etico.
Quindi che tipo di aiuto potete offrire?
L’aiuto che la consulenza etica può dare a questi operatori può essere duplice. Anzitutto la facilitazione etica della decisione – di cui rimane sempre deontologicamente responsabile il neonatologo – attraverso l’analisi dei valori in gioco, esplicitando in modo coerente come quei valori si applicano nel caso concreto, sostenendo e confermando gli operatori sanitari nelle decisioni che spesso, alla luce della loro esperienza e sensibilità etica, hanno già in pectore. La consulenza etica rimane scritta in cartella e rappresenta un documento ufficiale accanto alle altre consulenze specialistiche. Il secondo punto riguarda l’elaborazione di un documento condiviso di orientamento assistenziale alla cui redazione contribuiscono tutti coloro che a vario titolo sono coinvolti nel caso, neonatologi, infermieri, psicologi, assistenti sociali, e gli stessi genitori, al fine di arrivare alla definizione di una condotta, ipotizzando gli scenari clinici che potrebbero determinarsi, calibrando le decisioni in relazione alle mutate condizioni cliniche che potrebbero, ad esempio, far rimodulare un trattamento iniziato in condizioni di incertezza ma che successivamente diventa futile, sproporzionato e gravoso, e che rischia di essere abusivo, decidendo di desistere e andando verso la direzione di una terapia palliativa di conforto che possa accompagnare il neonato verso la sua fase finale di vita.
A quali domande siete chiamati a rispondere o ad offrire un contributo di riflessione?
Nel lavoro che abbiamo appena pubblicato sulla nostra rivista internazionale di Bioetica, Medicina e Morale, l’analisi retrospettiva delle consulenze etiche che abbiamo effettuato presso la Tin della Fondazione Policlinico Gemelli Irccs dal 2016 al 2022 mette inevidenza che i quesiti etici emergenti nell’assistenza di un neonato in condizioni critiche, e che sono motivo di richiesta di consulenza, ruotano principalmente attorno al concetto di proporzionalità terapeutica. Infatti, tra le problematiche etico-cliniche più rilevanti nell’ambito della pratica neonatologica ed in particolare nella terapia intensiva neonatale vi è senz’altro quella del
rischio dell’accanimento clinico o ostinazione irragionevole nei trattamenti,
rischio legato alle situazioni assistenziali che in questo ambito vengono affrontate e che rendono non semplice l’individuazione dell’intervento di volta in volta più adeguato, da un punto di vista etico-clinico. In questo campo, infatti, il carattere “straordinario” degli atti sanitari che vengono eseguiti costituisce l’“ordinarietà” degli interventi in neonatologia, interventi che hanno reso possibile oggi la sopravvivenza di tanti neonati. È importante comunque, seguendo le indicazioni della Samaritanus bonus, che anche qualora vengano sospese le terapie farmacologiche o di altra natura, volte a contrastare la patologia di cui soffre il bambino – in quanto non più appropriate alla sua deteriorata condizione clinica e valutate come futili o eccessivamente gravose per lui, in quanto causa di ulteriore sofferenza –
non deve però mai venire meno la cura integrale della persona del piccolo malato, nelle sue diverse dimensioni fisiologiche, psicologiche, affettive-relazionali e spirituali.
Qual è il vostro rapporto con i familiari di questi neonati?
Il rapporto con i genitori dei neonati è decisivo al fine di giungere ad un documento condiviso di orientamento etico-clinico-assistenziale. Il genitore, che vive la malattia del neonato con comprensibile angoscia e trepidazione, può essere sostenuto oltre che da tutto il personale medico-infermieristico e dall’aiuto dello psicologo anche dal consulente etico che rappresenta una parte terza in cui possono trovare conferma e conforto circa l’orientamento clinico dei medici riguardo ai trattamenti per il loro bambino. La loro partecipazione alla redazione di un documento condiviso di cui prendono visione, con il loro nome riportato insieme a quello dei medici e di tutta l’equipe diventa occasione per sentirsi co-protagonisti delle decisioni, non di subirle, ma di poter esprimere da genitori quello che ritengono sia meglio per il loro bambino. Questo non vuol dire scaricare su di loro la responsabilità delle decisioni ma, alla luce dei valori etici che il consulente può prospettare, possono meglio comprendere il significato di certe scelte che il neonatologo riterrebbe di dover fare. Anche questo documento condiviso è formalmente inserito nella documentazione clinica ed è uno strumento utile che i genitori possono esibire quando, per motivi diversi, dovessero aver bisogno di altre strutture per l’emergere di eventi critici dei loro bambini, per i quali sia stata decisa la domiciliazione non essendo più la terapia intensiva il luogo idoneo per la loro cura.