“Quello che non dobbiamo più fare, l’abbiamo capito, è dare le case popolari alle famiglie povere, le comunità di minori ai minori, i dormitori per gli studenti… Le monofunzioni, soluzione adottata nel passato, oggi è veramente fuori tempo massimo. Oggi la risposta deve essere trasversale. E abbiamo mille esempi in Italia in cui si è resa concreta la convivenza tra esigenze abitative diverse”. Così Elena Granata, professore associato al Politecnico di Milano dove insegna Urbanistica e Analisi della città e del territorio e vicepresidente del Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane sociali dei cattolici in Italia, commenta al Sir le parole sulla “questione casa” pronunciate lunedì 13 novembre dal card. Matteo Maria Zuppi ad Assisi nella prolusione dell’Assemblea generale straordinaria della Cei. Poche ore prima, a Napoli, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, si era espresso sulla questione degli alloggi per studenti universitari fuori sede ricordando come già Federico II avesse provveduto a soluzioni a prezzi calmierati.
Professoressa, sia il card. Zuppi sia Mattarella hanno riacceso il faro sul diritto all’abitare, un aspetto emergenziale della vita sociale del Paese…
Questa è una storia antica per l’Italia. Perché ricorsivamente il tema dell’emergenza abitativa ritorna. In questo momento, dopo la pandemia, con il risveglio del turismo in molte città – da Milano a Firenze ma persino anche Napoli – entrano in conflitto la domanda abitativa degli studenti o delle famiglie con quella temporanea dei turisti.
Non dobbiamo dimenticarci che l’Italia un Paese fondato sui piccoli proprietari. E l’attuale situazione nasce da quella avidità che fa prevalere la possibilità di chiedere qualunque prezzo per un appartamento.
In una città come Milano, oggi, una famiglia che è proprietaria di un piccolo alloggio può permettersi di chiedere qualunque cifra sia per la vendita che per l’affitto. La competizione, questo conflitto tra un turismo ricco e investitori ricchi e la domanda abitativa media, che è quella degli studenti e delle famiglie, vede i più fragili perdere la battaglia.
Come invertire la rotta?
È una questione che ha a che fare con la cultura abitativa e la cultura dei diritti. Ecco perché sono importanti i richiami sia dal presidente della Cei che dal presidente della Repubblica. Perché devono fare leva su una cultura civile che fa capire che
se l’abitare è soltanto una rendita, noi ci perdiamo il bello e il giusto delle città e quindi avremo città dove ci sono turisti d’affari e investitori stranieri e non avremo più le famiglie e gli studenti. E questo è un danno per le città, non solo per gli studenti o per le famiglie; è un danno per le città perché se le città perdono quest’anima viva, muoiono e ne risente persino l’economia.
Come va cambiata la politica abitativa, come disegnare le città per evitare questo rischio?
Non dobbiamo più costruire case, non dobbiamo più costruire alloggi per studenti, non dobbiamo più costruire grattacieli… Perché
non è un problema di quantità, è un problema di equa distribuzione e accessibilità,
è un problema di regole. Alla carenza di alloggi finora la risposta del mercato, delle imprese, degli architetti è stata costruiamone di nuovi.
Il 13 novembre la Cabina di regia per il Piano nazionale di ripresa e resilienza ha confermato le proposte di revisione già inviate alla Commissione Ue finalizzate a individuare soluzioni attuative necessarie ad assicurare il raggiungimento del target finale previsto per l’housing universitario…
Stiamo dando una risposta sbagliata ad una domanda giusta. La domanda di case è giusta e le case ci sarebbero.
L’Italia è il Paese che ha più vani vuoti di tutta Europa, quindi abbiamo case vuote ma costruiamo case nuove. Questo è folle, no? Perché entra in conflitto con la tutela del territorio, il consumo di suolo, provocando cambiamenti climatici e l’aumento dei prezzi.
Ad una domanda giusta la risposta giusta è come creare le condizioni per cui si temperano le ambizioni di guadagno di Airbnb, si pongono dei limiti, si facilita l’affitto, si facilita l’ingresso dei gruppi più fragili attraverso una mediazione – l’intermediazione politica o delle associazioni. Ma certo
la soluzione non è costruire nuove case,
perché l’Italia ha sempre dato questa risposta. Costruisce villette, case, dormitori e la domanda abitativa non cala di un’unità. Questo è folle!
Il card. Zuppi ha parlato delle città turistiche nelle quali si preferisce guadagnare trasformando gli appartamenti in B&B piuttosto che affittare a prezzi calmierati alle famiglie o a studenti fuori sede…
I proprietari preferiscono guadagnare di più con Airbnb e non fare una scelta etica, che è quella di privilegiare l’arrivo di una famiglia giovane o di un gruppo di studenti a prezzi equi. Su questo bisogna battere il chiodo, perché è un tema di etica civile, di responsabilità collettiva, di strategia di un Paese.
Bisogna decidere se preferiamo essere il Paese di Airbnb disponibile alle scorribande dei turisti di tutto il mondo o un Paese dove ancora si può vivere.
Purtroppo, città come Firenze e Venezia questa scelta un po’ l’hanno già fatta, perché da tempo hanno mandato fuori i cittadini dalla città. Quando invece la vocazione principale dovrebbe essere quella di trattenere.
È a conoscenza di qualche “buona pratica” che va controcorrente?
C’è un bellissimo esempio di possibilità di tenere insieme le cose, che è una cooperativa sociale di Padova, la Città So.la.re., che ha messo insieme accoglienza turistica, housing sociale e accoglienza dei poverissimi; tutti nella stessa struttura. A riprova del fatto che anche in una città molto turistica, che farebbe entrare questi gruppi in competizione, si può trovare una sintesi. Città So.la.re. nella stessa struttura accoglie il turista che passa a vedere le bellezze di Padova o il “piano freddo” per i senza dimora. E ci si trova a colazione in una sintesi anche architettonica, molto sportiva ma molto decorosa, che fa sì che le persone si possano incontrare, anche se hanno motivi diversi per abitare la città. Si può fare e dev’essere replicato. Su questo fronte, ad esempio,
la cooperazione sociale oggi può indicare delle vie diverse senza rinunciare al profitto, cioè alla sostenibilità economica, perché ovviamente non si tratta di opere di beneficenza, ma di un mercato ispirato all’economia civile, quindi che mette insieme le esigenze di sopravvivenza economica con quelle di giustizia sociale.