Un’umanità piegata, disgraziata, in cerca rinnovata di speranza. È questo che unisce i titoli in cartellone nel terzo giorno della Festa del Cinema di Roma. Anzitutto la miniserie Rai “La Storia” firmata da Francesca Archibugi, adattamento dell’omonimo romanzo di Elsa Morante. Il racconto di una donna e dei suoi figli chiamati ad attraversare i giorni foschi delle leggi razziali, i bombardamenti durante il Secondo conflitto mondiale e il tempo delle macerie, della ricostruzione. Un affresco storico-sociale disseminato di sofferenze e tentativi di riscatto. Protagonista un’intensa Jasmine Trinca, affiancata da Elio Germano, Lorenzo Zurzolo, Francesco Zenga e Valerio Mastandrea. Alla Festa di Roma c’è anche l’opera seconda della regista-produttrice Ginevra Elkann, “Te l’avevo detto”, un’istantanea tragicomica su un’umanità sul crinale dello smarrimento. La Elkann si muove lungo lo stesso binario narrativo di “Siccità” di Paolo Virzì, tratteggiando un mondo alla deriva con cast corale di livello: Valeria Bruni Tedeschi, Valeria Golino, Danny Huston e Alba Rohrwacher. Il punto Cnvf-Sir.
“La Storia”
Dopo “Romanzo famigliare” del 2018, la regista romana Francesca Archibugi torna a dirigere per la televisione, la Rai, firmando il progetto della miniserie “La Storia”, adattamento del romanzo storico di Elsa Morante del 1974, già portato sullo schermo da Luigi Comencini nel 1986. Oltre alla regia, l’Archibugi firma anche la sceneggiatura insieme a Giulia Calenda, Ilaria Macchia e Francesco Piccolo. Della serie, in onda prossimamente su Rai Uno, sono stati presentati i primi due episodi.
La storia. Roma fine anni ’30, quartiere San Lorenzo, è partito il censimento degli ebrei con l’inasprirsi delle misure nazifasciste. Ida è una maestra elementare rimasta vedova con un figlio adolescente, Nino. È di origini ebraiche, che però le sono state tenute nascoste dalla madre, che l’ha fatta anche battezzare. Un giorno quando rientra a casa dal lavoro viene aggredita da un militare tedesco, violenza da cui nascerà poi il secondo figlio Giuseppe. Nonostante le sofferenze e le ristrettezze economiche, Ida e i figli si barcamenano per custodire una felicità in casa. La guerra però cambia tutto…
La regista di “Mignon è partita” (1988), “L’albero delle pere” (1998), “Questione di cuore” (2009) e “Il colibrì” (2022), si cimenta con un progetto storico complesso e sfidante. Il nuovo adattamento del romanzo di Elsa Morante, “La Storia”, è la parabola di una donna, di una famiglia, che attraversa le pagine più aspre della guerra e della ricostruzione. Un racconto teso a fare memoria dello smarrimento dell’uomo, in una delle pagine più buie del Novecento, e al contempo a ritrarre il cammino faticoso di risalita di una vedova. Jasmine Trinca abita con maturità e convinzione il personaggio della maestra Ida, chiamata a tenere sottopelle numerosi tormenti e dolori: dal dover celare le radici ebraiche per paura di ritorsioni alla violenza subita da un soldato tedesco vacuo e alticcio. Da quella lacerazione è nato però un bambino, che la sprona a reagire insieme al maggiore Nino, quest’ultimo infarcito di proclami fascisti e incapace di leggere le pene che fronteggia la madre.
Lungo il copione la Archibugi ci accompagna in una vertigine claustrofobica, disegnando un sentiero di inciampi. A giudicare dai primi episodi, la regista governa il racconto con lucidità e vigore, alternando pagine di tenerezza domestica a raccordi ruvidi, brucianti, di un mondo feroce (i bombardamenti di San Lorenzo). Evidente l’elevato investimento produttivo, una cordata Italia-Francia composta da Rai Fiction, Picomedia e Thalie Images. Anche la scelta degli interpreti risulta accurata: oltre alla protagonista Trinca, sono da ricordare Francesco Zenga, Valerio Mastandrea, Elio Germano, Lorenzo Zurzolo e Asia Argento. Un affresco storico-popolare che cerca di coniugare la complessità narrativa dell’opera e degli avvenimenti narrati, la poesia della penna della Morante e dello sguardo della Archibugi, con le esigenze divulgative della televisiva. Complessa, problematica, per dibattiti.
“Te l’avevo detto”
Dopo alcune esperienze come produttrice, Ginevra Elkann ha esordito alla regia con “Magari”, che ha aperto il Festival di Locarno nel 2019. A distanza di quattro anni è tornata dietro alla macchina da presa per la sua opera seconda, il banco di prova più delicato per un autore: alla Festa del Cinema presenta “Te L’avevo detto”. A firmare il copione la stessa Elkann con Chiara Barzini e Ilaria Bernardini. Produce The Apartment, distribuisce Fandango.
La storia. Roma oggi, a pochi giorni dal Natale. Il clima risulta anomalo, impazzito, con un caldo oltre i 30-35 gradi. In una giornata afosa e rovente assistiamo agli accadimenti di un gruppo di persone colte da paure, fragilità, rimorsi e dipendenze.
“Durante una calda estate romana – indica la regista – dove tutto si stava sciogliendo intorno a me, mi sono chiesta se il mondo sarebbe stato così per sempre, per sempre caldo, giallo e secco. È stato allora che ho sentito il bisogno di raccontare questa storia. Quell’estate mi ha ricordato la Bibbia con le sue catastrofi naturali: visioni apocalittiche, invasioni di grilli, animali allo stato brado e peccatori puniti. Ma chi erano questi peccatori? Quelle erano le persone che mi interessavano: i peccatori. Mi interessava il peccato e perché oggi, molto spesso viene considerato malattia”.
Ginevra Elkann, alla maniera del Virzì di “Siccità”, compone un affresco umano-sociale in un mondo al crocevia dell’apocalisse. Racconta una giornata di tormentati di un gruppo di persone affaticate da un caldo senza tregua. Un’umanità sgraziata e disgraziata che strappa tenerezza e risate amare. Troviamo anzitutto l’ex pornostar Pupa (Valeria Golino), ormai sul viale del tramonto, che non riesce a darsi pace del suo invecchiamento; poi c’è Gianna (Valeria Bruni Tedeschi), una donna con problemi di fragilità psichica, ossessionata da Pupa che le ha rubato il marito e da una devozione religiosa esaltata in maniera patologica. Ancora, seguiamo gli affanni della madre alcolizzata Caterina (Alba Rohrwacher), che prova a recuperare il rapporto con il figlio preadolescente nel giorno del suo compleanno e a tenere distante la bottiglia.
Nella carrellata di personaggi in campo c’è anche il sacerdote cinquantenne Bill (Danny Huston), un ex tossicodipendente che lotta ogni giorno con la tentazione e al contempo organizza gruppi di supporto per persone come lui. Bill, insieme alla sorella Frances (Greta Scacchi) venuta appositamente dagli Stati Uniti, deve dare sepoltura alla madre scomparsa. La sorella vorrebbe spargere le ceneri nel cimitero acattolico di Roma, Bill vorrebbe darle una sepoltura propria, cristiana. I due fratelli devono lottare con un dialogo disperso, con rimossi e traumi latenti, proprio quelli che hanno spinto Bill a cadere nella dipendenza. Nell’insieme, la religione è chiaramente uno dei protagonisti del racconto della Elkann, tirata in ballo continuamente dalle citazioni bibliche della “credente patologica” Gianna, preda di crisi emotive e di psicofarmaci, dalla condotta del prete Bill come pure dai rimandi climatici come “segnali” dell’Apocalisse imminente.
Ginevra Elkann disegna pertanto un quadro tragico e grottesco, un orizzonte umano dove tutti cercano un appiglio contro la rovinosa caduta. Lo stile visivo vira sulle tonalità del giallo e dell’arancio, come a voler enfatizzare uno scenario climatico lunare, di soffocante aridità. Le intenzioni e le suggestioni sono di certo valide e interessanti, ma l’autrice non sempre riesce a mantenere il controllo della macchina narrativa, le traiettorie dei personaggi: alcuni sono più a fuoco, intensi, altri forzati e gratuiti. Bene, dunque, ma non benissimo. Complesso, problematico, per dibattiti.