A 10 anni dal tragico naufragio di Lampedusa in cui persero la vita 368 persone sono morte nel frattempo almeno 27.000 persone, non c’è una operazione europea in mare per salvare vite e ci sono “politiche respingenti che riguardano l’Italia e tutti i Paesi dell’Unione europea”. E’ un bilancio tragico quello tratteggiato oggi al Sir da padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, intervistato a margine di un evento organizzato a Roma, nel Rione San Saba sull’Aventino. Come ogni anno, in occasione della Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione, il Centro Astalli si è riunito nel “Giardino della memoria e dell’accoglienza”, istituito nel 2018 a Piazza Gian Lorenzo Bernini, dove negli anni sono stati piantati un alloro e un ulivo, “per continuare a fare memoria perché queste vittime non cadano nell’oblio”. All’interno della parrocchia di San Saba c’è un centro di accoglienza per migranti del Centro Astalli.
A 10 anni dalla tragedia di Lampedusa e con altri circa 27.000/28.000 morti cosa si può ancora dire?
Certamente bisogna continuare a fare memoria. In questi 10 anni sono successe tante cose ma non è successo il fatto di non far morire tante persone nel Mediterraneo. Il Papa era andato a Lampedusa nel 2013, prima della tragedia, e aveva già richiamato alla globalizzazione dell’indifferenza. Purtroppo una indifferenza diventata quasi strutturale. Nel 2013 era partita l’operazione Mare Nostrum che aveva salvato tante vite ma poi non si è più rinnovata. Purtroppo nei vari accordi e programmi dei governi europei e italiani non viene mai contemplato il salvataggio in mare, che invece dovrebbe essere centrale. La questione delle migrazioni è complessa e legata al diritto di restare nella propria terra, però chi parte per le ingiustizie che ci sono nel mondo deve fare dei viaggi sicuri. E quando i viaggi non sono sicuri bisogna garantire il salvataggio in mare. Non ci si può permettere in 10 anni 27.000 persone morte in mare e sono solo quelle che si sanno.
Le politiche migratorie italiane ed europee non riescono ad affrontare seriamente la questione?
Siamo un po’ amareggiati dal fatto che l’Unione europea e i vari governi nazionali continuano a non affrontare la questione da vari punti di vista:
si fa di tutto per bloccare le partenze e fare accordi di esternalizzazione, pagando gli Stati perché trattengano le persone, ma non si affronta il nodo centrale che è il salvataggio in mare.
Né si affronta bene la questione dell’accoglienza sul territorio, che deve essere da subito integrazione. I cambi legislativi che prevedono che i richiedenti asilo debbano aspettare gli esiti della Commissione per cominciare un processo di integrazione – scuola di italiano, corsi di formazione professionale – certo non aiutano le persone ad integrarsi nei territori. Così negli anni si creano quelle situazioni di mancata integrazione e isolamento. Ogni anno ci auguriamo che questa giornata serva da stimolo per ricominciare da capo, con una prospettiva che non sia quella delle elezioni – nazionali o europee – ma quella di un avvenire comune.
Il tema immigrazione continua ad essere gestito secondo la logica dell’emergenza. Nell’ultimo decreto ci sono alcuni aspetti dibattuti, tra cui la fideiussione bancaria richiesta ai migranti. Che ne pensa?
Fanno parte di queste politiche respingenti che riguardano l’Italia ma anche tutti i Paesi dell’Unione europea. I respingimenti ai confini di Stati che in passato sono stati accoglienti lo dimostrano. Non credo che la questione della fideiussione sia la soluzione al problema, né disincentivo a partire ma penalizza e criminalizza quelle persone che non avendo altre alternative hanno dovuto affidarsi ai trafficanti.
Sembra quasi che la logica che vige nei centri di detenzione in Libia, pagare per essere liberi, si estenda un po’ anche all’Europa.
Questo fa male perché non è la prospettiva di una Unione europea culla dei diritti. Far pagare la libertà a persone che scappano perché da loro la libertà non viene garantita è un po’ triste.
Il decreto contiene anche un giro di vite sulle tutele nei confronti dei minori migranti non accompagnati.
Ho visto negli anni che l’aumento dei minori non accompagnati è legato ad un restringimento delle maglie dell’immigrazione per gli adulti. Si abbassa l’età per fare in modo che i minori che arrivano abbiano più possibilità di fermarsi sul territorio europeo.
Se non si cambia la prospettiva e la politica avremo sempre più minori in arrivo e sempre meno tutelati.
Il decreto che in casi di necessità fa risiedere i minori nei centri insieme agli adulti, anche se in spazi isolati e circoscritti, è un altro modo per non tutelare i minori. Anche riguardo all’accertamento della minore età è un tema complesso nella sua articolazione che non tutela i minori dai rischi di essere vittime più volte di questo sistema. Molti di loro sono a cavallo tra minore e maggiore età. La Legge Zampa ci aveva fatto onore perché ha una prospettiva molto ampia e poteva estendere la possibilità di una forbice di età didue anni. Purtroppo anche qui
criminalizzare i minori non aiuta e non servirà a trovare soluzioni di politica migratoria.
Poi si è aperto in questi giorni un conflitto tra esecutivo e magistratura in seguito alla decisione di una giudice di Catania di non convalidare il trattenimento di tre tunisini nel centro di accoglienza di Pozzallo.
Gli avvocati hanno fatto ricorso e hanno fatto il loro lavoro. La magistratura ha espresso il proprio parere.
Le ingerenze non aiutano nessuno perché creano conflitti e non aiutano a risolvere le questioni istituzionali.
L’autonomia dei vari poteri deve essere garantita e le ingerenze reciproche non aiutano nessuno.