Lo stile visionario di Yorgos Lanthimos e il suo sguardo sulla donna nella società attraverso la favola dark brillante e grottesca “Poor Things” (“Povere creature!”), che omaggia e al contempo sovverte la figura di Alice di Lewis Carroll e quella di Frankenstein di Mary Shelley, ha conquistato tutti sin dal suo debutto a Venezia80. Tutti rapiti dal film, giornalisti e pubblico in sala, Giuria internazionale compresa, al punto che sabato 9 settembre il presidente Damien Chazelle gli ha conferito senza esitazione il Leone d’oro. Un trionfo per Lanthimos, che era andato vicino al premio nel 2018 con “La Favorita”, come pure per la protagonista-produttrice Emma Stone (una performance incredibile!) e ugualmente per la Searchlight Pictures (Disney) che lo distribuisce e vede già schiudersi un possibile, luminoso, cammino verso i prossimi Oscar.
D’altronde, la Mostra del Cinema sotto la direzione di Alberto Barbera ha sempre individuato con raffinatezza e intuito i titoli migliori della stagione, i film da Oscar: basta citare solo “La forma dell’acqua” (2017), “Roma” (2018) o “Nomadland” (2020). Calato dunque il sipario su Venezia80, è tempo di tracciare un bilancio su una Mostra un po’ carente di star hollywoodiane in sciopero ma con una chiara proposta di cinema, una selezione di qualità di autori, che hanno condiviso storie e suggestioni importanti, spesso anche scomode. Messaggi puntuali per la nostra società. Il punto Cnvf-Sir.
I Leoni di Venezia80
Se Lanthimos con “Poor Things” è risultato sin dall’inizio della Mostra (è passato il terzo giorno di gara, il 1° settembre) super favorito per la vittoria, un po’ come era stato al tempo per Cuarón con “Roma” (2018) o Todd Phillips con “Joker” (2019), per gli altri 22 autori in Concorso c’è stata di certo battaglia per entrare nella ristretta rosa del palmares.
Dei sei italiani in gara, Matteo Garrone con “Io Capitano” si è rivelato l’unico con uno stile e un tema capace di conquistare la giuria di Venezia, composta in buona parte da registi (oltre a Chazelle, si ricordano Jane Campion, Martin McDonagh, Gabriele Mainetti, Santiago Mitre, Laura Poitras e Mia Hansen-Løve). Garrone ha ottenuto il Leone per la miglior regia per la maestria e la semplicità con cui ha raccontato la storia di due adolescenti senegalesi in cerca di futuro, di felicità nella “terra promessa” Europa. Tra i loro sogni e il Vecchio continente i due ragazzi devono fronteggiare il deserto, i trafficanti di uomini, le prigioni libiche e gli scafisti. Un’opera che fonde realismo e fiaba, secondo i canoni di Garrone (tra “Gomorra” e “Pinocchio”).
Tra i premi che hanno maggiormente convinto figura di certo il Gran premio della giuria per il regista giapponese Ryusuke Hamaguchi che con il suo “Evil Does Not Exist” offre un intenso sguardo sulla relazione tra uomo e natura. Hamaguchi, Premio Oscar 2022 per “Drive My Car”, si è distinto soprattutto per una regia nitida, originale, lirica. Altra certezza è stato il Premio speciale della giuria per il film polacco “Green Border” di Agnieszka Holland. Per un momento alla Mostra si è pensato che la Holland potesse addirittura battere all’ultimo secondo Lanthimos, per la qualità del suo cinema di impegno civile e il tema che governa con grande lucidità: il dramma dei profughi mediorientali, africani e afgani bloccati in un limbo di terra tra la Polonia e la Bielorussia.
Infine, il riconoscimento per la sceneggiatura andato al cileno Pablo Larraín per il suo “El Conde” (Netflix), un’opera di denuncia contro i cimini del generale Augusto Pinochet mascherata da horror gotico e commedia grottesca. Era davvero la miglior sceneggiatura? Il talento di Larraín non si discute, ma qui lo script non sembra il pezzo forte del film. Forse valorizzare il danese “Bastarden” di Nikolaj Arcel oppure “Maestro” di Bradley Cooper non sarebbe stato male.
Coppa Volpi, tra emozioni e sorprese
Hollywood conquista i premi per i migliori interpreti, che non valorizzano gli Studios (verso cui gli attori sono in protesta), bensì le produzioni indipendenti che hanno siglato accordi di giuste retribuzioni con il sindacato americano. Coppa Volpi maschile è stata assegnata “sul filo di lana” a Peter Sarsgaard per il suo struggente ruolo in “Memory” di Michel Franco, ultimo film passato in gara. La sua interpretazione di uomo fragile e ferito dalla vita, colpito da una demenza precoce, che trova un sussulto di serenità grazie alla storia d’amore con Sylvia (una sempre misurata Jessica Chastain), ha affascinato la giuria. Un verdetto che piace e non si discute. Certo, resta un po’ l’amarezza per la performance stupefacente di Caleb Landry Jones protagonista di “Dogman” di Luc Besson.
La Coppa Volpi femminile è per l’attrice Cailee Spaeny nel “Priscilla” di Sofia Coppola. La giovane ha impersonato con grazia e rispetto Priscilla Presley, nella storia d’amore con il marito Elvis.
A ben vedere, il premio sembra un riconoscimento in parte all’attrice e in parte alla regista Sofia Coppola. Senza nulla togliere alle qualità interpretative della Spaeny, dispiace che non sia stata riconosciuta l’interpretazione maiuscola, raffinata, di Carey Mulligan, coprotagonista di “Maestro”. Senza contare poi che Emma Stone non era “eleggibile”, perché “Poor Things” occupava la casella del Leone d’oro e non si possono assegnare due riconoscimenti allo stesso film. La Stone ha offerto un’interpretazione superlativa, che la condurrà di certo alla nomination all’Oscar.
In Mostra sfide e fratture della società
Dove direziona lo sguardo la Mostra, dove ci invita a guardare? Il tema che si evidenzia con più forza e intensità dai film del palmares e della gara è l’attenzione agli “ultimi”, ai migranti. Un richiamo soprattutto all’Europa, ai valori su cui è fondata, al dovere di offrire aiuto. Un messaggio che giunge in particolare da “Io capitano” di Garrone – vincitore anche del premio cattolico Signis e del premio protestante Interfilm – e da “Green Border” della Holland. Due sguardi diversi sul medesimo tema: umanità e solidarietà nell’accoglienza. Si inserisce, poi, quasi sullo stesso tracciato il dramma storico di Edoardo De Angelis “Comandante”, film di apertura della Mostra, che raccontando un avvenimento di ieri, durante la Seconda guerra mondiale, parla con chiarezza al nostro presente: rispettare sempre la legge del mare e salvare chiunque sia alla deriva. Non lasciare mai indietro nessuno.
Inoltre, tra le storie proposte da Venezia80 ci sono le relazioni di coppia e i legami affettivi. L’amore. È quello tra i due feriti dalla vita in “Memory”, che si sostengono con tenerezza fronteggiando un male incurabile; ancora, è il sentimento che lega due ex innamorati che si ritrovano sulla soglia dei cinquant’anni in “Hors-saison” del francese Stéphane Brizé. Ma è soprattutto la famiglia che si fa protagonista con prove di resilienza e unità nelle tempeste della vita: ce lo racconta “Bastarden” del danese Arcel, un affresco storico che fotografa il bisogno di condivisione, di costruire legami familiari per dare senso alla propria esistenza. Infine, lo rivela anche la sofferta e complessa storia d’amore tra Felicia e Leonard Bernstein in “Maestro”, insieme nonostante deragliamenti e tiri mancini della vita.
Numeri in crescita per la Biennale
Chiudiamo il nostro bilancio con i numeri diffusi dalla Biennale. Se l’assenza delle star hollywoodiane sembrava un possibile freno al successo di Venezia80, i numeri parlano chiaro e dicono il contrario: gli ingressi complessivi nelle sale sono stati 230.000, con un aumento del +17% rispetto al 2022; i biglietti venduti risultano 85.000, con +14.00% sul 2022. Gli accrediti effettivamente ritirati sono ben 13.023; l’anno precedente erano 11.967, dunque un netto +9%. Quindi, non solo l’elevata qualità della proposta artistica, ma anche il “mero” dato economico-numerico sanciscono il successo dell’80ma edizione della Mostra del Cinema. Tutti elementi che riconoscono il lavoro e il talento del direttore Alberto Barbera, come pure del presidente Roberto Cicutto. Appuntamento allora a Venezia81 nel 2024.