Le violenze sulle ragazze per mano di loro coetanei si nutrono anche del consumo di porno online, dilagante, incontrollato. Per mettere un argine a questa frana c’è grande attesa per un possibile provvedimento specifico del governo, allo studio del Ministero della Famiglia, con la ministra Eugenia Roccella che ne spiega i princìpi ispiratori in vista del Consiglio dei Ministri di domani, mentre nel suo studio riceve don Maurizio Patriciello proprio per confrontarsi sulle questioni educative aperte dallo stupro di Caivano.
A cosa si ispirano le misure che state mettendo a punto?
Sappiamo bene che una normativa per quanto ben congegnata non è in grado di bloccare completamente l’accesso alla pornografia, perché la tecnologia digitale è molto sfuggente per la sua intrinseca capacità di rinnovarsi in continuazione creando sempre nuovi percorsi d’uso. Ma ora ad accedere sono anche i bambini, con la media del primo contatto con contenuti porno a 6-7 anni. Si tratta quindi di impedire l’estrema facilità con cui avvengono queste esperienze. È vero che ogni sistema che viene introdotto può essere aggirato, ma quel che è agevole per un adolescente è praticamente impossibile per un bambino. Ora serve dare un primo segnale forte, espressione di una altrettanto forte preoccupazione, sul fronte dell’offerta facile e pervasiva che arriva anche ai bambini.
Perché un intervento del governo?
Non abbiamo intenti censori, occorre che tutti ci facciamo carico del grave problema dei guasti psico-fisici nei bambini esposti molto precocemente a messaggi sessuali espliciti. Non sono più i giornaletti osé degli anni Ottanta: circolano immagini molto pesanti di pratiche estreme che stanno diventando elemento costitutivo dell’immaginario già dall’infanzia. Se sommiamo questo fenomeno alla creazione di una vera dipendenza, è chiaro che siamo al cospetto di un problema educativo, di salute pubblica, di benessere psicologico dei bambini. Siamo giustamente preoccupati di dare ai più piccoli quel che serve per la loro età: e il porno di certo non ne fa parte.
Bastano leggi e tecnologie?
No, e per questo il secondo punto del nostro intervento insiste sull’aspetto educativo. Intendiamo infatti fornire strumenti per sollecitare la responsabilità familiare. Non tutto si risolve attraverso la scuola, pur fondamentale: sono convinta che resti centrale il ruolo dei genitori, oggi in grande difficoltà perché hanno a che fare con la crescente tendenza dei figli ad auto-educarsi nel confronto col gruppo dei coetanei. Si è aperta una distanza senza precedenti con il mondo degli adulti. I genitori hanno bisogno di recuperare autorevolezza e ruolo, ma devono poter disporre di strumenti efficaci.
A quali pensa?
Al parental control, con app che consentono di controllare il tempo di connessione ai social, l’accensione e lo spegnimento dello smartphone, i siti accessibili o negati, i contenuti esclusi: tutto quello che si ritiene utile per il proprio figlio. Sono strumenti molto flessibili, già a disposizione, scaricabili e modulabili, facili da usare. Eppure i genitori non li utilizzano. Il nostro primo problema dunque è diffondere l’uso di questi sistemi informando che esistono e incoraggiando a usarli come validi alleati. In prospettiva, vorrei che la presenza e l’uso di queste app diventasse come i sistemi di allarme anti-abbandono che oggi vengono venduti obbligatoriamente incorporati nei seggiolini per bambini.
Devono agire solo i genitori?
Sono convinta che vada sollecitata anche la responsabilità sociale dei produttori di telefoni. Il parental control dovrebbe essere incluso in tutti i device. È un’operazione di “ecologia digitale” che riguarda i soggetti più delicati del mondo: i nostri figli.
Anche le piattaforme social si stanno accorgendo che vanno protetti i minori…
Tutti si rendono conto che questo è un problema, tant’è vero che sull’accesso al porno di sono già esperienze in corso in altri Paesi, dalla Francia al Regno Unito, agli Usa. Ci si sta lavorando a partire dall’evidenza che siamo di fronte a un problema di responsabilità che riguarda tutti.
I genitori spesso però non hanno le competenze per intervenire con efficacia.
Ci siamo posti la questione della loro alfabetizzazione in sede di legge di bilancio stanziando un milione di euro all’anno per tre anni in progetti sul digitale per la protezione dei minori. Dal 21 agosto è in vigore il decreto promosso dal mio ministero e da quello delle Imprese “per la promozione di progetti di alfabetizzazione mediatica e digitale a tutela dei minori”. È necessario offrire alle famiglie la possibilità di una formazione continua in un ambito nel quale c’è bisogno di attivare sensibilità e competenze. Attraverso i Centri per la famiglia vorremmo aiutare a formare i genitori andando incontro alle loro necessità, con proposte di facile accessibilità.
È vero che c’è un nesso tra porno online e comportamenti aggressivi e violenti nei confronti delle ragazze?
Ci sono studi che alimentano una preoccupazione crescente su questo fronte, ma non vogliamo porre un problema di causa-effetto. Certo, non è un caso che chi sta sul campo come don Maurizio Patriciello denunci come l’accesso al porno possa essere devastante per l’immaginario e quindi per i comportamenti di ragazzi che ritengono che quello che vedono si possa ottenere facilmente, mentre si tratta di atti estremi e violenti. Il punto è che il porno dà per scontato che ci sia un consenso da parte delle donne che nella realtà non esiste. Un altro aspetto ampiamente documentato dalle ricerche è l’effetto di dipendenza indotto dalla pornografia. Un effetto sulla salute psichica, tanto che altrove qualcuno ritiene che ci sia anche un aspetto di responsabilità civile da parte di chi permette che questi contenuti arrivino alla portata dei minori. I danni ci sono: chi è il responsabile?
Perché ci si accorge solo ora di questa situazione?
Si parla molto di mettere al centro il prevalente interesse del minore, ma in realtà non gli si garantisce la prima cosa che gli serve: un’attenzione attorno a lui da parte della famiglia, quella custodia attiva che è il primo compito educativo anche della comunità, una responsabilità diffusa che è venuta meno. Oggi, come dicevo, cresce il ruolo dell’apprendimento nel gruppo dei pari, e questo porta alla competizione, con i social che diventano fonte di emulazione e di frustrazione. In questo scenario la famiglia si è indebolita, ma resta il fatto che nell’educazione tutto passa attraverso la relazione: e la prima è quella familiare.
Cosa occorre fare ora?
Dobbiamo sostenere questa relazione educativa familiare perché è il primo, fondamentale elemento di sussidiarietà. Non lasciamo i nostri figli soli con la tecnologia. Dobbiamo sapere a cosa hanno accesso.
(*) Avvenire