Il cielo della Penisola sorrentina è di un azzurro intenso, come la seconda metà di agosto sa regalare. Eppure, quel cielo, nel pomeriggio di giovedì 17 agosto, è stato attraversato continuamente da elicotteri delle Forze dell’ordine. Cercavano un uomo sospettato di aver ucciso, intorno a mezzogiorno, a Piano di Sorrento una donna, Anna Scala, 56 anni, originaria di Vico Equense, parrucchiera a domicilio. Era la sua ex, lei l’aveva denunciato per stalking, rivelando i maltrattamenti subiti durante la loro relazione. La donna aveva da poco parcheggiato l’auto, probabilmente per un appuntamento di lavoro, e lui – Salvatore Ferraiuolo – l’ha accoltellata alle spalle. Poi ha messo il corpo sanguinante nel portabagagli, lasciando il cofano aperto: sentendo urla strazianti dalle palazzine, vicino alle quali si è consumato l’omicidio, alcune persone sono accorse per vedere cosa stesse succedendo e hanno fatto la macabra scoperta. Sono stati chiamati i carabinieri, ma l’assassino si è dileguato. La sua fuga è durata poco. Nel pomeriggio il sospettato è stato rintracciato ai Colli di Fontanelle, non lontano dal luogo del delitto e portato in caserma dei Carabinieri a Sorrento. Nella tarda serata di ieri ha confessato: gli è contestato l’omicidio premeditato. È solo l’ultimo caso di una storia che quest’estate e, più in generale, negli ultimi anni si è ripetuta troppe volte: donne che muoiono per mano di qualcuno che hanno amato, che conoscono, che è vicino di casa. Troppe volte la richiesta di aiuto da parte delle donne non viene presa sul serio o avviene quello che, con termine tecnico, viene definita rivittimizzazione della donna, che passa da vittima a essere messa sul banco degli imputati, come se fosse colpa sua quello che le accade. Di fronte a tutto questo, dice al Sir Isolina Mantelli, presidente del Centro calabrese di solidarietà, “è ora di dire basta!”. Dal 2012 il Centro calabrese di solidarietà, che ha sede a Catanzaro, ha attivato il centro antiviolenza e casa rifugio “Mondo Rosa”, per accogliere donne vittime di violenza di genere con i loro figli.
Ieri, a Piano di Sorrento, si è consumato un nuovo femminicidio, ancora un altro, in un’estate in cui molte donne sono state uccise. La vittima aveva anche denunciato per stalking il suo ex.
Troppo spesso quando una donna denuncia non viene creduta, anzi viene ritenuta “colpevole”.
Il femminicidio è l’unico caso nel mondo in cui gli assassini hanno giustificazione perché le “colpevoli” sono le donne. Per quanto assurdo, il giudizio si fa sulle vittime.
C’è un’incapacità di comprendere e, alla fine, la vittima è “colpevole”: la vittima era eccessiva, la vittima era vestita troppo succinta, la vittima era ubriaca, la vittima era una ragazza leggera, come se tutte queste cose giustificassero il reo. Occorre trovare le condizioni per cui la cultura di rispetto per la donna passi anche attraverso i giornali e la magistratura. Il linguaggio va cambiato, come pure il giudizio. Mi scusi lo sfogo, ma un femminicidio al giorno non si regge!
Purtroppo, le donne non sono tutelate…
No, noi donne non siamo per niente tutelate e poi ci dicono di denunciare… Per fare cosa? Per subire noi un giudizio? Proprio in questi giorni ho raccolto due donne, una dietro l’altra, sono piene di ecchimosi, non sono morte per miracolo, una l’ho dovuta ricoverare in ospedale. Allora, mi chiedo come sia possibile che ci sia un’umanità che giustifica un reato di questo genere. Tra l’altro, la donna finita in ospedale aveva un bambino e i Servizi sociali glielo hanno tolto, avevano promesso di riportarlo subito: oggi la donna viene dimessa dall’ospedale e il bambino chissà quando arriverà. Si fanno a donne già pesantemente provate promesse che poi non vengono mantenute. È tutto un sistema patriarcale che sul dramma delle donne fa solo pubblicità a se stesso, volendosi mostrare, sulla carta, democratico e femminista.
Neppure le leggi proteggono abbastanza le donne…
Non è sufficiente niente, perché dobbiamo chiederci: sono partiti i cambiamenti culturali e dei libri di testo? È partita un’educazione sentimentale ed emotiva nelle scuole? La risposta, purtroppo, è sempre no! Tutti quanti organizziamo celebrazioni per il 25 novembre, festeggiamo l’8 marzo e pensiamo di avere la coscienza a posto. Diciamo: ‘Povere donne che sono maltrattate’, ma poi facciamo il processo alla vittima. Ma questa mentalità – e questo è l’aspetto più tragico – è diffusa anche tra le donne. Ad esempio, donne di una certa classe e di una certa educazione pensano di essere esenti dalla violenza e poi, a loro volta, si inchinano a una mentalità maschilista.
L’unica risposta è mettere in protezione le vittime, ma come possiamo proteggere tutte le donne?
Spesso gli uomini che si macchiano di omicidi così efferati hanno avuto una vita difficile in passato: può essere questo un motivo per cui si tende a giustificarli?
È sempre sbagliato giustificare: perché a un uomo “disperato” deve essere concesso di uccidere una donna? Anche perché donne, altrettanto disperate, non ammazzano gli uomini! Noi abbiamo anche uno sportello per uomini maltrattanti: tutti hanno alle spalle una storia di violenza all’interno della famiglia, ecco perché è importante anche fare educazione alla genitorialità e ai sentimenti. Ma, comunque, il fatto di aver avuto genitori maltrattanti non autorizza o giustifica ad uccidere donne. Di fronte ad alti livelli di frustrazione, gli uomini ammazzano, le donne ingoiano il rospo. La differenza è questa: il passare all’atto violento o l’ingoiare.
Le donne sono spesso inermi verso tutta questa carica di violenza…
Non sono solo inermi… Sono state innamorate, hanno sognato con questi uomini, si sono coricate con loro, c’è stato amore verso chi poi farà loro del male.
È il più alto dei tradimenti possibili. Tranne quello della pedofilia, non conosco reato peggiore.
Tra l’altro, il fenomeno della violenza sulle donne è trasversale, avviene anche nel mondo cosiddetto bene per mano di “insospettabili”…
È proprio così: al mio centro antiviolenza arrivano mogli di professori universitari, di medici, di avvocati, di magistrati. Poi ci sono anche le donne di famiglie più modeste, parlano di meno, perché hanno finito di credere nella giustizia e sanno che un marito può prendersi i figli. Soprattutto perché può succedere che l’uomo maltrattante è più benestante della sua vittima e può pagarsi l’avvocato. Di fronte alla morte di tante donne sale un grido di dolore verso Dio per tanta violenza e ingiustizia nei confronti di metà del genere umano. Ogni volta che sento che si è consumato un femminicidio mi provoca un’emozione forte, non reggo più tutto questo dolore.
Che appello vorrebbe lanciare?
Il mio appello vorrebbe essere un urlo potente e doloroso: adesso basta!
Ognuno di noi deve fare qualcosa per combattere la violenza contro le donne: all’interno delle famiglie dobbiamo educare, nelle scuole dobbiamo educare alla parità di genere, nei giornali dobbiamo scrivere e condannare la vittimizzazione secondaria della donna e la giustificazione del maschio, nella magistratura non dobbiamo trovare scuse agli assassini. Tutti dobbiamo fare qualcosa, non c’è una panacea, c’è bisogno di un impegno individuale di ciascuno di noi perché questa violenza mostruosa finisca. Vorrei dire un’altra cosa.
Certamente…
I centri antiviolenza e le case rifugio sono senza economie e con pochi posti. Anche da noi non so dove ospitare le donne che continuamente arrivano. In Calabria è difficile trovare un posto dove accogliere donne maltrattate. Allora, propongo, invece di festeggiare il 25 novembre con tante iniziative, di trovare i soldi per potenziare le case rifugio. È quanto chiedo di fare al Governo. Noi speriamo sempre in un mondo migliore, ma chiediamo anche l’aiuto divino, perché l’umano, ormai, è in perdita.