La Commissione per le adozioni internazionali (Cai) ha reso disponibili on line, nei giorni scorsi, i dati sulle adozioni internazionali concluse nel periodo 1° gennaio-30 giugno 2023. Dall’analisi delle rilevazioni statistiche in questione emerge una leggera flessione in negativo della dimensione quantitativa – considerata nella sua totalità – del fenomeno adottivo, in linea con il trend registrato nel primo semestre 2022. Della crisi delle adozioni internazionali parliamo con Cristina Riccardi, vicepresidente di Aibi-Amici dei bambini e del Forum nazionale delle associazioni familiari.
Cosa emerge dai dati della Commissione adozioni internazionali per il 2023?
La cosa più evidente è il continuo calo delle adozioni realizzate: secondo i dati Cai nel primo semestre 2023 sono state realizzate 248 adozioni, lo scorso anno sono state 273. Le prospettive per il secondo semestre non sono certo rosee. La battuta d’arresto nell’anno del Covid (2020) ha sicuramente segnato negativamente il passo, peggiorando il trend negativo.
Negli ultimi 10 anni abbiamo assistito ad un vero e proprio crollo.
Quali sono le cause del calo delle adozioni internazionali? Pesano anche fattori internazionali e nazionali?
È il sistema adozioni internazionali che andrebbe rivisto nel suo complesso.
Sul fronte internazionale sicuramente ci sono situazioni che hanno portato alla chiusura di Paesi dai quali provenivano molti bambini. La Cina, ad esempio, praticamente non ha ancora riaperto dopo la pandemia. Inutile parlare di Russia o Ucraina. Ma è anche necessario riconoscere che l’adozione internazionale richiede un grosso lavoro relazionale tra i Paesi coinvolti, accordi bilaterali da definire, aggiornare o semplicemente consolidare. Attività che già prima del Covid avrebbe richiesto maggiore investimento. I fattori interni che stanno prosciugando l’adozione internazionale sono quelli di cui ormai, purtroppo, parliamo da anni e anni senza trovare una soluzione: iter complicato, lungo, costoso.
In un Paese ormai afflitto da un pesantissimo inverno demografico le adozioni internazionali potrebbero aiutare?
Certamente, nel nostro Paese c’è un bisogno di bambini e giovani tale per cui se tornassimo alle 4.500 adozioni di anni fa sarebbe un contributo non indifferente. Ma è chiaro che anche qui, come del resto su qualsiasi intervento per invertire la rotta, occorre decisione e azione. Le cause del crollo demografico sono state individuate, ora occorre agire con politiche familiari.
Il sostegno all’adozione, internazionale e nazionale, deve essere parte delle politiche familiari.
C’è anche un problema culturale che ostacola le adozioni internazionali e l’aumento dell’età dei bambini disponibili? C’è anche una visione distorta che pone gli adulti al centro e non il diritto del bambino ad avere una famiglia?
Non si può non tener conto che sono cambiati gli scenari socio-culturali: l’età media dei bambini adottabili è cresciuta, è aumentato notevolmente il numero dei bambini grandicelli o con qualche problema di salute (non necessariamente grave). Questo perché sono cambiate le politiche nei Paesi d’origine dei bambini. Ma sebbene sia cresciuta anche l’età media degli adottanti (cosa legata al fatto che ci si sposa in tarda età, il lavoro stabile arriva tardi, la disponibilità all’adozione spesso è preceduta da tentativi di Pma, ossia procreazione medicalmente assistita), il desiderio del bambino piccolo (e sano) è sempre preponderante. In questo, pur comprendendo i desideri delle coppie, occorre fare cultura e formazione. L’urgenza di rilanciare l’adozione è perché ci sono milioni di bambini che hanno diritto, ma soprattutto bisogno, di una famiglia. Questa urgenza va ben incrociata con il desiderio di diventare genitori di alcune coppie che devono essere però formate e consapevoli per affrontare al meglio non solo l’iter adottivo ma soprattutto la crescita dei propri figli.
Cosa si potrebbe fare per il rilancio delle adozioni internazionali?
Ciò che occorre è prima di tutto l’interesse politico, senza il quale è difficile cambiare il sistema.
A partire da questo si potrebbero trovare soluzioni per rilanciare l’adozione: semplificazione dell’iter e tempi perentori per l’idoneità (6 mesi), gratuità per permettere a più famiglie di adottare e non penalizzare l’adozione rispetto alle altre forme di genitorialità, ripresa di rapporti continuativi con i Paesi d’origine dei bambini (accordi bilaterali) e un funzionario addetto dedicato presso le ambasciate dei Paesi più rilevanti. Occorre anche pensare a qualcosa di nuovo che possa meglio rispondere ai bisogni dei bambini/ragazzi abbandonati. In tal senso si stanno sviluppando progetti di “vacanze preadottive”, ovvero dei soggiorni lunghi di ragazzi grandi presso famiglie idonee all’adozione per permettere una conoscenza, un avvicinamento e anche una “prova” per la buona riuscita dell’adozione di ragazzi e ragazze grandi. Per questi minori, poi, si potrebbe anche pensare a forme di affido internazionale. Potrebbero servire anche corsie preferenziali per quelle situazioni ancor più speciali, quali ragazzi particolarmente grandi, fratrie o bambini con qualche problema di salute. Insomma, si potrebbero pensare tante cose… Occorre la volontà.
Qual è la percentuale delle adozioni che finisce male e i bambini o i ragazzi rientrano nei luoghi d’origine? Quali sono le ragioni per le quali questo avviene e cosa si potrebbe fare per qualcosa per evitarlo?
In realtà, da un’indagine pubblicata nel dicembre 2022 svolta dalla Cai e dall’Istituto degli Innocenti, risulta che “fallisca” il 3,1% delle adozioni internazionali. Il che significa il 96,9% funziona, il che non è poco. Ma a parte questo, dipende cosa si intende per fallimento. Nell’indagine si sono considerate fallimentari le adozioni che hanno comportato un intervento del Tribunale per i minorenni. È sbagliato pensare che il fatto che se per un adolescente adottato si deve far ricorso a sostegni pesanti, o addirittura ad inserimento in comunità, ciò sia segno di fallimento adottivo. Come per ogni figlio in difficoltà, una famiglia chiede aiuti. Forse le famiglie adottive sono anche più “abituate” a farlo, per fortuna. Questo non vuol dire che abbandonino il figlio. Sicuramente l’abbandono subito da questi ragazzi è un male profondo, impossibile da superare, ma è possibile rielaborarlo per conviverci. Questo comporta che le famiglie siano pronte ad affrontare i momenti difficili, ma anche che ci sia una rete di supporto efficace e soprattutto fruibile.