Serie tv da (ri)vedere in estate: “The Good Mothers”, “Call My Agent”, “The Last of Us” e “The Night Agent”

Sotto l’ombrellone, nei rifugi in vetta oppure nella “città vuota” d’estate. Agosto resta sempre il mese in cui tutto rallenta regalando piacevoli occasioni per (ri)scoprire film o serie Tv di cui si è parlato molto nel corso dell’anno e che magari non si è fatto in tempo a vedere. E allora, ecco alcuni titoli da mettere in lista per un “rewatch” durante le vacanze. Il punto Cnvf-Sir

(Ⓒ 2022_ Wildside s.r.l. – House productions LTD_ph.Claudio Iannone)

Sotto l’ombrellone, nei rifugi in vetta oppure nella “città vuota” d’estate. Agosto resta sempre il mese in cui tutto rallenta regalando piacevoli occasioni per (ri)scoprire film o serie Tv di cui si è parlato molto nel corso dell’anno e che magari non si è fatto in tempo a vedere. E allora, ecco alcuni titoli da mettere in lista per un “rewatch” durante le vacanze. Il punto Cnvf-Sir.

“The Good Mothers” (Disney+)
Vincitrice nella categoria serie Tv al 73° Festival del Cinema di Berlino, “The Good Mothers” (Wildside-House of Production) è una miniserie crime firmata Julian Jarrold ed Elisa Amoruso con protagoniste Micaela Ramazzotti, Gaia Girace, Simona Distefano, Valentina Bellè e Barbara Chichiarelli. Il racconto di donne, di madri, impigliate nella tela della malavita; la storia vera, tragica, di Lea Garofalo, Denise Cosco, Concetta Cacciola e Giuseppina Pesce. “The Good Mothers” è una miniserie dura e potente, che convince per il modo in cui governa la complessità narrativa in un racconto dallo stile intenso e livido; ostica e bellissima, poi, la fotografia sui toni del blu che ammanta la serie. La narrazione si muove su un doppio binario: il percorso di ribellione di queste donne, tra dinamiche familiari e tormenti interiori, e in parallelo quello della Pm Anna Colace, granitica nell’idea di una giustizia possibile. “The Good Mothers” è un colpo al cuore, una miniserie di impegno civile di chiara qualità stilistica e narrativa. Complessa, problematica, per dibattiti.

“Call My Agent – Italia” (Sky – Now)
Poteva essere un azzardo, e invece è stato un successo folgorante. Parliamo di “Call My Agent – Italia” (Palomar-Sky), remake nazionale della fortunata serie francese “Dix pour cent” (dal 2015, Netflix) che racconta il dietro le quinte del mondo del cinema, della Tv e dello spettacolo, con uno sguardo disincantato, a tratti simpaticamente spietato, secondo la prospettiva degli agenti e addetti stampa delle star. “Call My Agent – Italia” è una serie che funziona, dall’andamento brillante e coinvolgente: in primis grazie alla regia di Luca Ribuoli e alla scrittura di Lis Nur Sultan, poi per il cast accuratamente cesellato e soprattutto guest che lasciano il segno: in testa Paola Cortellesi, Paolo Sorrentino, Pierfrancesco Favino e Corrado Guzzanti. Nell’insieme, “Call My Agent – Italia” è un dosato mix di battute indovinate, gustose citazioni cinematografiche e televisive e suggestivi sguardi sulla Capitale. Consigliabile, brillante, per dibattiti.

(Palomar Sky)

“The Last of Us” (Sky – Now)
Tra le produzioni statunitensi è di certo tra le più seguite, discusse e apprezzate: è la serie “The Last of Us” (Hbo) firmata Craig Mazin e Neil Druckmann, con Pedro Pascal e Bella Ramsey. Prendendo le mosse da un noto videogioco, è il racconto drammatico di un’umanità in una cornice apocalittica, decimata da un virus letale e viziata da dinamiche di sopraffazione. Al di là dell’impianto da thriller-horror in chiave survival movie, la serie affascina per la riflessione (con non pochi interrogativi morali) su temi quali vita, morte, famiglia, elaborazione del lutto, violenza e solidarietà. È il viaggio in solitario di due ultimi, Joel ed Ellie: lui è un uomo che ha abdicato alla vita, cinico e spigoloso; lei un’adolescente orfana cresciuta troppo in fretta, abituata a perdere chi ama e senza troppe aspettative dalla vita. Nel corso del viaggio Joel ed Ellie si “riparano” a vicenda, curando le ferite dell’anima l’uno dell’altra. Un viaggio arricchito da storie di un’umanità “disgraziata”, rimasta appesa nell’incertezza; tutti quadri che oscillano dal poetico al disturbante, persino al tossico. Una serie di certo sfidante, da più punti di vista, per palati forti (per adulti), ma di indubbia qualità e densità tematica. Complessa, problematica, per dibattiti.

(Copyright HBO Sky Italia)

“Normal People” (RaiPlay)
Tra i titoli di punta di RaiPlay figura la serie britannica “Normal People” (Bbc-Hulu), dal fortunato romanzo di Sally Rooney e adattamento per lo schermo da Lenny Abrahamson e Hettie Macdonald. “Normal People” non è semplicemente un racconto di formazione di due giovani che si affacciano alla vita adulta, colorato da sfumature di sentimento. È molto di più: la miniserie propone uno sguardo generazionale delicato e livido, scavando nell’animo giovanile tra (in)sicurezze e sogni protesi al domani. I protagonisti Marianne e Connell sono insieme forti e fragili, semplici e complessi, segnati dalla stessa (sofferta) traiettoria di vita: si amano, si confidano, si respingono, si salvano. Capofila nel cast due promesse del cinema inglese, Daisy Edgar-Jones e Paul Mescal: eccellenti! La serie corre veloce, senza filtri, esplicita a tratti quasi ruvida, ma mai inelegante, costellata di efficaci silenzi e raccordi di poesia. Complessa, problematica, per dibatti.

(BBC – Hulu)

“The Crown. Stagione 5” (Netflix)
Elevate erano le attese per la quinta stagione di “The Crown” (Netflix), ritratto della regina Elisabetta II e alla Casa reale Windsor negli anni ’90: in primo luogo perché le precedenti stagioni erano state sempre solide nella resa e magnetiche dal punto di vista narrativo, nonché accolte da plausi di critica e premi. “The Crown 5” ha convinto, ma non ha vinto del tutto la sfida: si registra qualche incertezza narrativa, dipesa in parte dal mancato sguardo sociale e da un eccessivo insistere sull’implosione del matrimonio tra il principe Carlo e lady Diana, che appiattisce la consolidata densità di un racconto stratificato, acuto e mai banale. Firmata ancora una volta dal geniale Peter Morgan, “The Crown 5” presenta un cast rinnovato: a calzare la corona è la veterana Imelda Staunton; accanto a lei Jonathan Pryce, Lesley Manville, Dominic West ed Elizabeth Debicki. Nel complesso, la serie incanta per la cura formale, tra costumi e ricostruzioni d’epoca. “The Crown” è una serie da manuale, che sa mettere in racconto la Storia in maniera acuta e avvincente. Consigliabile, problematica, per dibattiti.

“The Night Agent” (Netflix)
Ancora su Netflix la serie spy-thriller “The Night Agent”, dall’omonimo romanzo di Matthew Quirk e adattata dallo sceneggiatore-produttore Shawn Ryan. Un giallo investigativo ad alta tensione che si gioca su verità e menzogne negli apparati dello Stato, tra agenzie di sicurezza. La struttura narrativa è “semplice”: due outsider in una tempesta di giochi di potere nel cuore della Casa Bianca; un racconto a tappe in cui l’eroe solitario Peter (Gabriel Basso) mette a repentaglio carriera e vita pur di proteggere il testimone di un omicidio politico, l’informatica Rose (Luciane Buchanan). Se l’originalità, dunque, non appare il punto di forza della narrazione, pregio di “The Night Agent” sono senza dubbio la dinamica del racconto e la scansione dei colpi di scena, che hanno una sequenza ritmata alla perfezione. Sembra, infatti, il meccanicismo di “page-turning thriller” alla Ken Follett o Dan Brown: la storia può anche apparire forzata, ma la linea di racconto è ipnotica, serratissima. Serie complessa, problematica.

“Daisy Jones & The Six” (Prime Video)
Tratta dal best-seller di Taylor Jenkins Reid e prodotta dall’attrice Premio Oscar Reese Witherspoon, la serie “Daisy Jones & The Six” (Prime Video) è un trascinante racconto rock and romance, una storia di sogni, smarrimenti e riscatti. Con le ruggenti performance di Riley Keough e Sam Claflin, la serie esplora lo sfondo socioculturale della Los Angeles anni ’70, un mondo fatto di aspirazioni musicali, minato però da droghe e alcol fuori controllo. La serie cresce episodio dopo episodio con grinta, compattezza e sguardi di senso; a convincere è soprattutto la traiettoria dei personaggi, che sognano, cadono, si perdono, sembrano arrendersi alla vita, ma in ultimo si aiutano e si salvano. A vincere alla fine non è (solo) la musica, ma sono le persone, i legami familiari. Un racconto coinvolgente, irrigato da una pioggia di canzoni trascinanti che trovano vita propria dopo la fine della miniserie. Serie complessa, problematica, per dibattiti.

(Prime Video)

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