La Cina si prepara ad affrontare una nuova ondata di Covid-19, con un picco a fine giugno stimato in 65 milioni di casi a settimana. “L’allarme che viene dalla Cina è legittimo, ma non dobbiamo dimenticare che quando lo scorso 5 maggio l’Oms ha dichiarato conclusa l’emergenza pandemica globale non ha affermato che il Sars-CoV-2 non avrebbe continuato a circolare. Non dobbiamo ritenere che sia tutto finito; registreremo ancora delle ‘ondine’ ma non ci troveremo più nella situazione del passato”. Lo dice al Sir Roberto Cauda, ordinario di malattie infettive all ’Università Cattolica e direttore dell’Unità di malattie infettive al Policlinico Gemelli, nonché consulente esterno dell’European Medicines Agency – Ema. “Nel nostro Paese – spiega – la maggior parte della popolazione ha ricevuto almeno due se non tre somministrazioni di vaccino – qualcuno anche la quarta e la quinta dose con il vaccino aggiornato -; inoltre, rispetto al virus originario, l’attuale è depotenziato e solo in bassa percentuale causa forme polmonari”.
Professore, già quando si sono verificate le oltre 50 mutazioni di Omicron la pandemia si stava avviando verso la fine…
Sì perché Omicron è più trasmissibile ma induce forme meno gravi. In questa fase non dobbiamo dare troppo peso al numero dei contagi.
La Cina è un caso a sé stante perché ha utilizzato un vaccino a virus inattivato che non conferisce la stessa protezione dei vaccini a mRNA.
Se oggi questi ultimi hanno un’efficacia minore rispetto a Omicron, non è difficile intuire quanto sia ancora inferiore l’efficacia dei vaccini a virus inattivato. Oltre ad una popolazione poco protetta, in Cina gioca anche il durissimo lockdown di tre anni che ha impedito lo sviluppo di quell’immunità naturale – o ibrida tra vaccinati e non vaccinati – che conferisce una certa protezione nei confronti della malattia, non dell’infezione che può avvenire anche su un soggetto vaccinato.
Secondo l’Oms, il SarsCov-2 continuerà a circolare in modo endemico. Occorrerà proseguire con le vaccinazioni? A chi in particolare?
Nonostante la sua efficacia, in età pediatrica il vaccino ha avuto scarsa rispondenza in tutto il mondo. L’orientamento è oggi quello di vaccinare i bambini che presentano malattie sottostanti, i bimbi fragili. Sotto i sessant’anni chi ha fatto tre dosi è protetto dalle forme gravi di malattia e dall’evento morte. Agli over 65 e ai fragili di ogni età conviene fare richiami annuali con il vaccino aggiornato sulla scorta della variante in quel momento dominante.
L’aggiornamento dei vaccini, appunto. I lignaggi che discendono da XXB.1 sono altamente immunoelusivi nei confronti degli anticorpi neutralizzanti. Per questo l’Oms ha raccomandato che nelle future formulazioni dei vaccini vi siano le varianti più recenti, ossia questi lignaggi. Gli attuali vaccini mantengono comunque efficacia?
Premesso che il vaccino contro Sars-Cov-2 non è sterilizzante come quelli contro il morbillo o la polio che eliminano la trasmissione del virus, dal punto di vista immunologico il discorso è un po’ più complesso. Quando un soggetto riceve un vaccino si produce una doppia risposta. La prima, umorale, riguarda la produzione di anticorpi neutralizzanti; dopo qualche mese questi tendono a decadere ma la vaccinazione non è inutile perché produce un’altra immunità, cellulo-mediata. Non si tratta più di anticorpi ma di linfociti a lunga memoria, molto meno influenzabili dalle varianti, e la cui protezione nei confronti di malattia grave o di evento morte può durare anche anni. Personalmente, se rimaniamo nelle oltre 600 varianti della zuppa di Omicron non mi preoccuperei troppo per il numero dei contagi. Tuttavia l’attenzione dell’Oms è corretta perché un conto è un soggetto giovane e in buona salute, un conto una persona fragile, anziana o immunodepressa, nella quale l’immunità cellulare potrebbe essere meno vivace e la risposta protettiva meno efficace.
Al di là di Sars-CoV-2, potrebbe emergere in futuro un altro grave agente patogeno? Dobbiamo aspettarci l’eventualità di altre pandemie?
Con il Sars-CoV-2 dovremo convivere ancora a lungo, speriamo a livello endemico e senza particolari impatti su mortalità e ospedalizzazioni, ma non si può escludere la possibilità di una nuova pandemia. Un po’ come una bomba ad orologeria che prima o poi potrebbe esplodere. Nella letteratura scientifica ricorre il termine “preparedness”, che significa preparazione nel senso di non farsi cogliere in contropiede da eventuali altre emergenze sanitarie. Per questo l’Oms ha l’obbligo, prima ancora che il diritto, di mettere in guardia i Paesi invitandoli a questa “preparedness” attraverso un potenziamento della ricerca scientifica, il fattore che ci ha fatto uscire dal tunnel, e l’abbandono della sanità ospedalocentrica, che durante la pandemia ha dimostrato tutta la sua inadeguatezza, mediante la creazione di un’efficiente rete ospedale – territorio. Per quanto riguarda l’Italia un modello potrebbe essere quello del Veneto.