Filippo Velardi: il mio Vincenzo Giaccotto, tra fede, riservatezza e discrezione

L’uomo giusto accanto alla donna importante. Vincenzo Giaccotto non è un nome noto della politica italiana eppure ha vissuto in prima persona gli anni più burrascosi della prima Repubblica, in qualità di segretario particolare di Tina Anselmi. Siciliano, militante della Democrazia cristiana, poi funzionario del partito. Riservato, discreto, affidabile. Nel tv movie che la Rai ha dedicato alla prima ministra della storia, “Tina Anselmi. Una vita per la democrazia”, diretta da Luciano Manuzzi (in onda il 25 aprile su Rai Uno), Giaccotto è interpretato da Filippo Velardi.

(Foto Ufficio stampa)

L’uomo giusto accanto alla donna importante. Vincenzo Giaccotto non è un nome noto della politica italiana eppure ha vissuto in prima persona gli anni più burrascosi della prima Repubblica, in qualità di segretario particolare di Tina Anselmi. Siciliano, militante della Democrazia cristiana, poi funzionario del partito. Riservato, discreto, affidabile. Nel tv movie che la Rai ha dedicato alla prima ministra della storia, “Tina Anselmi. Una vita per la democrazia”, diretta da Luciano Manuzzi (in onda il 25 aprile su Rai Uno), Giaccotto è interpretato da Filippo Velardi. Per Pupi Avati è stato il giovane Bruno in “Lei mi parla ancora” e Bernardino da Polenta in “Dante”, solo per citare gli ultimi personaggi portati sul grande schermo dall’attore che, oltre al cinema e alla tv, si dedica anche al teatro e al doppiaggio. Nella fiction dedicata alla Anselmi è impegnato a dare corpo e anima a chi ha supportato nei tanti momenti critici la “Tina vagante”, la stessa che ha visto da ministra la legge Basaglia, il superamento della disparità salariale fra uomini e donne, l’aborto legale e l’istituzione del Servizio sanitario nazionale. Temi che hanno spaccato la società italiana di quegli anni, fino ad allontanare famiglie o separare amici di partito. Tina e Vincenzo li affrontarono con serietà e rispetto, mantenendo saldo il posto assegnato da ciascuno alla fede. Un approccio che l’attore ha avvertito sul set e nello scambio di battute fra la ministra e il suo braccio destro.

Chi è il suo Vincenzo Giaccotto?
Un uomo di altri tempi. Distinto, educato, ligio al dovere politico e sociale. Un uomo scelto per il suo essere affidabile e serio. Anche se ha sempre svolto un ruolo importante non ha mai voluto emergere, come hanno fatto tanti altri.

Per quegli anni non era solito che un uomo fosse il braccio destro di una donna così in vista.
Non lo era, ma Tina Anselmi ha dato le pari opportunità a tutti e tutte. Questo film ha la capacità soprattutto oggi di offrire la testimonianza di ciò che Anselmi ripeteva: la democrazia va conquistata, protetta e rinvigorita ogni giorno. Da donna ha dato una grande svolta politica e sociale.

Giaccotto è un siciliano, come lei.
Prima di interpretare un personaggio mi informo e studio dove è nato, dove ha vissuto. Per Vincenzo Giaccotto ho scoperto che fin da giovane era appassionato di politica, un militante Dc, arrivato nella Capitale da funzionario per lavorare al fianco di Tina Anselmi, che lo aveva scelto come suo segretario particolare. È ancora vivo ed ho scoperto che è stato priore della Confraternita dei siciliani a Roma, devoto alla Madonna Odigitria di via del Tritone. Questa cosa mi ha appassionato. Magari prima o poi capiterò anch’io nella Confraternita.

Si dice emozionato per la messa in onda, non dovrebbe essere abituato?
Lo sono sempre. Credo nei lavori corali come in questo caso. Abbiamo cercato di dare un contributo verosimile dell’epoca. Sono emozionato e timoroso. Il timore è una cosa buona da mantenere nel lavoro, perché tiene legati alla professionalità.

Da credente, Tina Anselmi si è ritrovata nella condizione critica di veder legalizzato l’aborto durante il suo mandato di ministra della Sanità.
Nel film vengono affrontati molti momenti della vita di Tina Anselmi in cui la fede è stata d’aiuto per superare le difficoltà. Quando passa la legge sull’aborto, lei è contraria, ma compie comunque il suo dovere di ministro per rispetto alla democrazia. Anche se c’erano spinte della Chiesa per farla tornare sui suoi passi, continua sulla sua strada. Se mi fossi trovato nei suoi panni non so come mi sarei comportato, era una situazione molto difficile da gestire.

Giaccotto come vive questa fase di crisi?
In maniera discreta. Spero di aver interpretato al meglio la discrezione che questo personaggio ha usato nell’offrire a Tina Anselmi il quadro di ciò che avveniva fuori dal ministero, in Vaticano e fra le case farmaceutiche. Ho cercato di riportare in maniera finta e non falsa questo atteggiamento. Credo infatti che il compito di un attore sia di contribuire sempre a ciò che è verosimile e non falso.

Serviva ad Anselmi in quel periodo così turbolento una persona così discreta.
Credo che non a caso lo abbia scelto. Giaccotto era riservato, fidato. Oggi forse mancano molto queste qualità. Spero che una parte di quella politica venga ritrovata.

Da attore credente ha avuto uno stimolo in più?
Approccio sempre i ruoli affidandomi a Dio, anche per interpretare un cattivo. Per le battute, che non dico ma vivo, chiedo allo Spirito Santo di ispirarmi. Da credente, credo che la responsabilità sia ancora maggiore quando fai un film in cui ci sono tutte queste dinamiche. La spiritualità è fondamentale. Se non c’è Spirito, il materiale perde consistenza. Anche nella recitazione, se l’uomo non ha Spirito e si fa solo carico della ragione è chiaro che perde di vista qualcosa. Come persona mi porto sempre il paradiso sul set perché aiuta a lavorare in armonia.

Si sente mai solo o in minoranza nell’ambiente?
Sì. In questo lavoro c’è molta competizione che non fa parte della mia visione. Ma quando cerchi di portare la luce, vedi tutte le combutte e non le alimenti.

Gli altri se ne accorgono?
Sì. Anche chi non è credente. Anche se non incontro sempre persone che credono come me, tengo al rispetto reciproco. All’inizio della carriera, non dico di aver nascosto la fede, ma di aver evitato il discorso. Spero ci siano sempre più attori che non facciano mistero della propria spiritualità perché possiamo trasferire nell’arte quello che può fare lo Spirito. Credo che la creatura più si avvicina al Creatore, più arriva alla sua vera identità naturale e soprannaturale. Anche senza dire niente, con la nostra testimonianza di vita, possiamo mostrare che Dio esiste.

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