Un fanta-thriller sbilanciato nell’horror che si muove nel perimetro della religione. È “L’esorcista del Papa” film di matrice hollywoodiana diretto da Julius Avery e con il Premio Oscar Russell Crowe nei panni di padre Gabriele Amorth. Non un racconto aderente alla storia del noto esorcista, bensì una proposta più vicina alla finzione di “Angeli e demoni” addizionato da sfumature in chiave “Avengers”. Un “divertissement” per gli amanti dei film di genere. Ancora, la nuova regia di Rocco Papaleo, “Scordato”: un viaggio esistenziale tra commedia e dramma ammantato di malinconia. Un film che mette a tema il bisogno di sciogliere gli irrisolti del passato, un invito a perdonare e a perdonarsi. Nel cast la cantante Giorgia. Infine, su Disney+ la miniserie “The Good Mothers” rivelazione al 73° Festival del Cinema di Berlino. Firmato da Julian Jarrold ed Elisa Amoruso, è un intenso e livido ritratto di donne che hanno voltato le spalle alla ‘ndrangheta, la storia vera, tragica, di Lea Garofalo, Denise Cosco, Concetta Cacciola e Giuseppina Pesce. Protagoniste – tutte magnifiche! – Micaela Ramazzotti, Gaia Girace, Simona Distefano, Valentina Bellè e Barbara Chichiarelli. Il punto Cnvf-Sir.
“L’esorcista del Papa” (Cinema, 13.04)
Punto di partenza è la figura del noto esorcista italiano padre Gabriele Amorth (1925-2016) e i suoi scritti. Dal realismo ben presto però si deraglia nelle praterie del fantastico, oscillando tra istanze thriller e horror. Parliamo del film “L’esorcista del Papa” (“The Pope’s Exorcist”) diretto dall’australiano Julius Avery (“Samaritan”) e sceneggiato da Michael Petroni ed Evan Spiliotopoulos; la produzione è la Screen Gems, compagnia della Sony Pictures specializzata in horror insieme alla Loyola Productions, nel network dei gesuiti statunitensi. Protagonista è il Premio Oscar Russell Crowe (“Il gladiatore”, “A Beautiful Mind”, la miniserie “The Loudest Voice”), affiancato da Daniel Zovatto (“Lady Bird”, “Penny Dreadful: City of Angels”) e dal nostro Franco Nero.
La storia. Roma 1987, padre Gabriele Amorth è capo esorcista del Vaticano. Nonostante non sia ben visto da molti vescovi e cardinali, di lui ha piena fiducia il Papa, il quale gli chiede di prendere in carico un caso molto complesso in Spagna. Lì, nell’ex abbazia di san Sebastiano, sconsacrata e tramutata in abitazione privata vive la statunitense Julia e i suoi figli Amy e Henry. Quest’ultimo, preadolescente, sembra posseduto da un potente demone. Convocato dal parroco locale, padre Esquibel, padre Amorth si prepara a dare battaglia…
Ne “L’esorcista del Papa” di religione o di fede c’è ben poco. Si tratta infatti di un film di genere, un titolo condito astutamente da ricorrenti topos del giallo-thriller (tra i tanti, gli adattamenti dai romanzi di Dan Brown come “Il codice da Vinci” e “Angeli e demoni”) e dell’horror soprannaturale, di cui rimane capofila “L’esorcista” (1973) di William Friedkin. Alla narrazione dà inoltre un twist “brillante” l’ironia farsesca che caratterizza padre Amorth – che scivola spesso anche nella macchietta: l’uso ricorrente della Lambretta o della fiaschetta d’alcol –, che Crowe tratteggia sempre con talento. Si tratta di un film di tensione esaltato da un uso diffuso di effetti speciali, al punto da aprire, nel valzer di sequenze finali, a un orizzonte da action in stile “Avengers” della Marvel, soprattutto quando il prete-eroe “imbraccia” il crocifisso come se fosse un’arma per fronteggiare il demone. Padre Amorth e padre Esquibel, pertanto, più che sacerdoti esorcisti sembrano supereroi o persino cavalieri Jedi: “May the Force Be with You, Luke!”.
Ironia a parte, il film è un mero prodotto di attrazione per gli amanti del genere thriller-horror su binario religioso, un action investigativo ben corroborato dall’interpretazione generosa di Russell Crowe – senza di lui il film avrebbe un respiro decisamente più modesto – e pronto per ulteriori capitoli. I due esorcisti lasciano intendere infatti una possibile collaborazione futura, l’inizio di un sodalizio “professionale”. Complesso-futile, problematico.
“Scordato” (Cinema, 13.04)
Attore veterano della commedia italiana, Rocco Papaleo da oltre dieci anni è passato anche dietro alla macchina da presa. Ha esordito nel 2010 con “Basilicata coast to coast” (2010), seguito da “Una piccola impresa meridionale” (2013). Durante la pandemia ha lavorato a un nuovo progetto, ritagliandosi il ruolo di regista, protagonista e anche sceneggiatore (a firmare con lui il copione è Valter Lupo): è “Scordato”, prodotto da Indiana e Less is more, nei cinema con Vision Distribution. Nel cast la cantante Giorgia, Simone Corbisiero e Angela Curri.
La storia. Nell’anno in cui Matera viene designata Capitale europea della cultura, la vita di Orlando subisce un cortocircuito. Di professione accordatore di pianoforte, Orlando si trascina stancamente nelle sue giornate; da un po’ di tempo, inoltre, accusa un dolore alla schiena cui non riesce a trovare rimedio. La brillante ed estrosa fisioterapista Olga (Giorgia) gli consiglia di lavorare sui suoi irrisolti interiori, sui nodi del passato. Orlando si mette così in viaggio da Salerno a Lauria, in Basilicata, per cercare di fare luce su di sé e sulla sua famiglia, implosa all’improvviso negli anni ’80…
Tra commedia e dramma, il tratto caratterizzante del film di Papaleo è di certo la malinconia, quello sguardo rivolto al passato tra dolcezza e sofferenza. Con sfumature vicine all’ultimo film di Walter Veltroni, “Quando”, “Scordato” conquista per la sua delicatezza e per il suo crescendo graduale. Costellato qua e là da battute giocose, fulminanti, tipiche della cifra comica di Papaleo, il film mette a tema la memoria, i legami familiari, la ricerca di sé e il rapporto con il passato. Un’opera che conduce al guadagno del perdono, indispensabile per poter tornare a vivere in pienezza e leggerezza. Come dichiara Papaleo: “L’uomo che vorrei essere è quello che nella sequenza finale cammina con un braccio rotto, ma in equilibrio col suo passato, che riesce a sorridere e ha compreso la necessità di perdonare e l’inutilità del rancore”.
Il titolo “Scordato” è chiaramente metaforico, riferito alla professione del protagonista Orlando, accordatore di pianoforte ma incapace di riparare se stesso, come pure al participio passato del verbo “scordare”: il mettere da parte una porzione di sé, del passato, consapevolmente o meno, con l’illusione che questo non produca ripercussioni. “Scordato” è un film attraversato da delicatezza e dolcezza, capace di declinare temi densi con soluzioni brillanti, segnate da “leggerezza”. A ben vedere la narrazione non sempre è del tutto scorrevole o agile, appesantita qua e là da raccordi poco incisivi o ridondanti. Nell’insieme, però, il film coinvolge per valore e spessore. Consigliabile, problematico, per dibattiti.
“The Good Mothers” (Disney+, 05.04)
Al 73° Festival di Berlino ha ottenuto il Berlinale Series Award, il primo riconoscimento che il festival destina alle serie Tv. È la miniserie “The Good Mothers” targata Wildside – Fremantle e House Productions per la piattaforma Disney+. Prendendo le mosse dal libro di Alex Perry, la miniserie racconta la vita di quattro donne appartenenti ad alcuni clan di spicco della ‘ndrangheta calabrese, donne che hanno infranto i legami familiari in cerca di libertà e futuro, per se stesse ma soprattutto per i propri figli: Lea Garofalo e la figlia Denise Cosco, Concetta Cacciola e Giuseppina Pesce.
La storia. Italia 2009, uscita dal programma di protezione testimoni Lea Garofalo accetta di rivedere l’ex marito, il boss Carlo Cosco, per il bene di sua figlia Denise. Poco dopo, però, la donna scompare senza lasciare traccia, gettando Denise nella disperazione. Negli stessi giorni Giuseppina Pesce e Concetta Cacciola, appartenenti a due clan locali, vengono agganciate dalla Pm Anna Colace, che vuole offrire loro una via d’uscita a patto di diventare testimoni di giustizia…
Diretta da Julian Jarrold (“The Crown”) ed Elisa Amoruso (“Fedeltà”), su sceneggiatura del britannico Stephen Butchard, “The Good Mothers” è una serie dura e potente, che convince per il modo in cui governa la complessità narrativa in racconto dallo stile intenso e livido: ostica ma bellissima la fotografia ombrosa sui toni del blu che ammanta la serie. Emerge un doppio binario narrativo: il percorso di ribellione di queste donne, tra dinamiche familiari e tormenti interiori, e in parallelo quello della Pm Colace, votata al suo lavoro, all’idea di una giustizia possibile contro le organizzazioni criminali. Al di là di alcune contestazioni emerse – sull’esatta veridicità dei fatti –, è da riconoscere a “The Good Mothers” una chiara qualità stilistica e narrativa, un racconto che si smarca dal “facile” prodotto nazionale, di genere, dal già visto. Complessa, problematica, per dibattitti.