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Migranti: il Cdm dichiara lo stato d’emergenza. Via libera al Def

Il Consiglio dei ministri ha dichiarato lo stato d’emergenza “in relazione all’eccezionale incremento dei flussi di persone migranti in ingresso sul territorio nazionale attraverso le rotte migratorie del Mediterraneo”. Approvato il Documento di economia e finanza 2023 e varato un disegno di legge che introduce, oltre alle sanzioni penali già previste, una sanzione amministrativa tra i 20 mila e i 60 mila euro “per chi distrugge, disperde, deteriora o rende in tutto o in parte inservibili o non fruibili beni culturali o paesaggistici propri o altrui”

(Foto ANSA/SIR)

Il Consiglio dei ministri ha approvato il Documento di economia e finanza (Def) 2023, il testo che ad aprile traccia le coordinate generali, le stime e gli obiettivi, le “grandezze” entro cui si muoverà la futura legge di bilancio, insieme all’andamento previsto per gli anni successivi.

Per l’anno in corso il governo computa allo stato attuale una crescita dello 0,9% che diventa un punto pieno in virtù delle misure assunte. La nota di aggiornamento al Def dello scorso autunno stimava una crescita dello 0,6% e quindi nonostante tutto (nel 2022 il risultato era stato di tutt’altra dimensione: +3,7%) l’economia italiana mostra segnali di vitalità o, come si suol dire, di resilienza.

In prospettiva però la tendenza è meno buona del previsto. Per il 2024 la nota di aggiornamento di novembre indicava un incremento dell’1,9% mentre per il nuovo Def ci si attesterà sull’1,5%. Il contesto internazionale, del resto, è pieno di incertezze, non solo a livello geopolitico. L’inflazione, solo per citare un elemento tra i più significativi, è calcolata al 5,4%, vale a dire tre punti in più di quanto stimato un anno fa. E non si sa ancora con precisione in che termini avverrà nel 2024 il ritorno al patto di stabilità, con i suoi impegni e i suoi vincoli finanziari. Il governo ha scelto di conservare l’obiettivo di deficit esistente (4,5%), a fronte di quello stimato in via tendenziale per l’anno in corso (4,35%). Lo scarto tra i due valori vuol dire che si è deciso di fare un po’ di deficit in più, circa 3 miliardi di euro, che l’esecutivo intende destinare a ridurre il carico dei contributi sui lavoratori dipendenti con redditi medio-bassi. Un taglio al “cuneo fiscale” (quindi più soldi in busta paga) che per Palazzo Chigi è orientato a “tutelare il potere d’acquisto dei lavoratori” e nel contempo a contribuire “alla moderazione salariale per prevenire una pericolosa spirale salari-prezzi”. Ne consegue che per quest’anno non ci sono margini ulteriori per finanziare in deficit interventi rilevanti sul fisco e sulle pensioni – per citare due settori cruciali nel programma del governo – e quindi ogni provvedimento dovrà trovare al suo interno le proprie coperture.

Il punto è che il vigoroso rimbalzo post-pandemia, in cui il nostro Paese ha primeggiato in Europa, ha praticamente esaurito la sua spinta propulsiva, anche a causa della guerra e della crisi energetica, e oggi l’unico fattore che appare realisticamente in grado di ridare slancio alla nostra economia è quel Pnrr intorno a cui ci affanna con alterni risultati e la cui attuazione merita ogni sforzo a tutti i livelli, come non cessa di ricordare il Presidente della Repubblica.

Tra le principali decisioni dell’ultimo Consiglio dei ministri c’è anche la dichiarazione dello stato d’emergenza “in relazione all’eccezionale incremento dei flussi di persone migranti in ingresso sul territorio nazionale attraverso le rotte migratorie del Mediterraneo”. La delibera riguarda tutto il Paese e avrà la durata di 6 mesi. C’è stato un precedente in questo senso nel 2011 (con Maroni ministro degli interni) al tempo delle cosiddette “primavere arabe” ma con numeri molto più elevati di quelli di oggi. Peraltro l’approccio “emergenziale” alla questione migratoria ha trovato costanti riscontri in questi ultimi anni e mesi.

Nella medesima riunione l’esecutivo ha inoltre varato un disegno di legge che introduce, oltre alle sanzioni penali già previste, una sanzione amministrativa tra i 20 mila e i 60 mila euro “per chi distrugge, disperde, deteriora o rende in tutto o in parte inservibili o non fruibili beni culturali o paesaggistici propri o altrui”. Sarà tra i 10 mila e i 40 mila euro la sanzione “per chi deturpa, imbratta o destina i beni culturali a un uso pregiudizievole o incompatibile con il loro carattere storico o artistico”. I proventi, spiega Palazzo Chigi, saranno devoluti al ministero della Cultura, affinché siano impiegati prioritariamente al ripristino dei beni danneggiati.

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