Un disturbo del neurosviluppo, legato ad un’anomala maturazione cerebrale, che si presenta in modo variabile da caso a caso. Per questo, anziché parlare di autismo si preferisce l’espressione “disturbi dello spettro autistico”. Secondo l’Istituto superiore di sanità in Italia i disturbi dello spettro autistico riguardano 1 ogni 77 bambini e circa 500mila famiglie. Contro disinformazione, luoghi comuni e fake news torna ogni anno il 2 aprile la Giornata mondiale della consapevolezza sull’autismo (World Autism Awareness Day – WAAD). Federica Costantini, educatore professionale e psicomotricista funzionale, è attualmente coordinatrice del Centro socioriabilitativo educativo ambulatoriale e diurno Il Girasole di Orvieto, di cui è rappresentante presso il Tavolo sull’autismo costituito nel 2019 dall’Ufficio nazionale per la pastorale della salute della Cei. “È importante – dice al Sir – far conoscere l’autismo, spiegare che cosa significa essere una persona con autismo o avere in famiglia una persona con questo disturbo sul quale grava ancora un diffuso stigma sociale. La non conoscenza può fare paura e condurre a false idee e a preconcetti che ostacolano l’inclusione di questi pazienti e delle loro famiglie. Anche se il funzionamento di una persona con disturbo dello spettro autistico è ‘atipico’ rispetto a quello di una persona ‘tipica’, siamo tutti parte della stessa comunità”.
Dottoressa, a che età si può formulare una diagnosi, e quanto è importante la precocità di diagnosi e intervento?
La diagnosi precoce – tra i 2 e i 3 anni – consente di intervenire subito sul bambino ma anche sul sostegno alla famiglia. Un piccolo al quale il disturbo viene diagnosticato precocemente può apprendere da zero delle competenze senza dover fare il doppio passaggio di chi invece arriva alla diagnosi intorno ai 5/6 anni, quando ha già strutturato un comportamento e un modo di affrontare la vita spesso non adeguato. I bimbi con questo disturbo hanno una particolare modalità di apprendimento, ma spesso acquisiscono un comportamento non consono ai diversi contesti di vita perché non imparano tramite imitazione o tramite canali di apprendimento tradizionali. Pertanto
è importante fare attenzione a segni premonitori che possono apparire fin dai primi mesi di vita.
Su questo occorrerebbe una formazione di base specifica per i pediatri.
Quali sono questi indicatori precoci?
La triangolazione dello sguardo, la risposta ai richiami della mamma, la reazione al sorriso sono meno numerosi e di minore intensità rispetto ad un bimbo “tipico”. E poi, più avanti, i comportamenti ripetitivi, l’incapacità di stabilire un contatto oculare, problemi di comunicazione e sviluppo del linguaggio.
Arrivare ad una diagnosi e ad una presa in carico precoce evita loro la doppia fatica di apprendere da soli, decostruire quanto imparato e ricostruire.
Che tipo di pazienti seguite al Centro Il Girasole?
Attualmente l’80% della nostra utenza è nello spettro autistico, e negli ultimi cinque è cresciuta la percentuale di diagnosi precoci. Arrivano bambini anche molto piccoli che poi diventano adolescenti e giovani adulti. Per continuità non smettiamo di seguirli. In questo momento, tra minori e giovani adulti, ne abbiamo in carico circa un’ottantina.
Che interventi mettete in campo?
Abbiamo un’équipe multidisciplinare: logopedista, educatore, implementer protocollo Pecs (acronimo per Picture exchange communication system, metodo che consente alle persone con scarse capacità di comunicazione di poter comunicare grazie a delle immagini) per la comunicazione alternativa, psicomotricista. In ogni caso seguiamo le linee guida nazionali di intervento psicoeducativo per il conseguimento di abilità sociali e linguistico-comunicative e coinvolgiamo nel progetto anche le coppie genitoriali.
Quali bisogni emergono dalle famiglie?
Anzitutto la necessità di non essere lasciate sole. Ci chiedono un aiuto concreto per la gestione della quotidianità. “Mio figlio fa così: che posso fare? Che devo/non devo fare?”. È soprattutto una richiesta di guida. Quando parlo con le famiglie, con i genitori che hanno ricevuto da poco la diagnosi, tento di spiegare loro che questi bambini possono apprendere tutto, ma devono farlo con modalità idonee. Noi dobbiamo sintonizzarsi sul loro modo di apprendere, aldilà del loro quoziente intellettivo. Con metodi appropriati, una persona autistica in una fascia intermedia di gravità può acquisire diverse competenze.
E poi?
Io sono anche facilitatore di un gruppo di auto aiuto per genitori di bimbi con autismo. Nei nostri incontri riportano spesso la voglia di ritrovarsi insieme per poter condividere situazioni, emozioni, paure senza il bisogno di spiegarsi e senza temere il giudizio altrui. È importante confrontarsi con qualcuno a cui è già successo e che può condividere la propria esperienza. Solo chi lo vive sulla pelle si rende conto di che cosa sia l’autismo. Noi cerchiamo di creare per loro una rete di supporto, come quella che nei circhi protegge gli acrobati da eventuali cadute consentendo un atterraggio morbido.
Un problema serio si pone quando questi ragazzi hanno bisogno di cure mediche o di andare in ospedale…
L’accoglienza di questo tipo di bambini richiede molte attenzioni ma le strutture e il personale non sono sempre attrezzati e formati. Anche su questo tentiamo di offrire strumenti ai genitori. Per la scarsa capacità di igiene orale, è frequente la necessità di una visita dentistica, impensabile senza adeguata preparazione. Per questo abbiamo creato una rete: a Gubbio esiste un centro con personale formato ad accogliere i bimbi autistici. Da parte nostra, prepariamo i bambini con delle storie sociali secondo le Linea Guida 21 sull’autismo in età evolutiva (riferimento per i trattamenti basati su evidenze scientifiche), che li aiuta a comprendere che cosa dovranno affrontare. Questo rende meno traumatico per tutti – bambini e famiglie – l’incontro con il dentista evitando condotte dirompenti e aggressive contro se stessi e gli altri, legate alla paura di una situazione che non si conosce.
Che cosa sono le storie sociali?
Uno strumento finalizzato ad insegnare un comportamento adeguato a determinate situazioni nuove. Si tratta di immagini – perché le persone con autismo funzionano per immagini mentre le parole le confondono – e brevissime frasi. Le usiamo anche per preparare i bambini ad una gita scolastica, situazione diversa dalla routine dello stare in classe.
Quando sono preparati, tutto si svolge in maniera lineare senza problemi.
A conclusione, quale messaggio vuole lasciare a pazienti, famiglie e società?
Diagnosi, presa in carico e intervento precoci sono essenziali. Importante rivolgersi a centri che seguono le Linee guida nazionali ed internazionali, perché altrimenti i genitori rischiano di affidarsi a soggetti che propongono terapie fantasiose prive di evidenza scientifica. E poi fare rete coinvolgendo tutte le realtà – non solo sociosanitarie – che ruotano intorno al bambino: insegnanti, istruttori sportivi, parrocchia, ma anche i vicini e i negozianti sotto casa. Tutti dovrebbero sapere come comportarsi, quali strategie mettere in campo per aiutarli.