Anche nel passato ci sono stati molti casi in cui il clima del pianeta si è scaldato in modo importante, ma mentre le variazioni di temperature rientrano nelle oscillazioni naturali, altra cosa è la velocità dei cambiamenti degli ultimi 200 anni che non ha paragoni. Di questo parliamo con Giacomo Alessandro Gerosa, ordinario di Fisica dell’atmosfera e incaricato di Ecologia presso la facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali dell’Università Cattolica, sede di Brescia.
In passato abbiamo avuto periodi di alte temperature e siccità come ora?
Questi fenomeni climatici sono avvenuti anche in passato, con alternanza di siccità, temperature elevate e freddo, con le sue naturali variazioni. Quello che si sta osservando è l’aumento della frequenza di questi eventi man mano che si procede nel tempo. Ad esempio, negli ultimi vent’anni abbiamo avuto le temperature più alte di sempre, il maggior numero di anni con temperature più alte, il numero maggiore di eventi siccitosi, dunque è aumentata la frequenza. Per capire l’andamento del cambiamento climatico dobbiamo attendere del tempo. Ma quello che stiamo vedendo va esattamente nella direzione che era stata prevista dai modelli, cioè quello che stiamo osservando rappresenta esattamente i prodromi del cambiamento climatico che sta procedendo.
La siccità di cui stiamo soffrendo anche in Italia è un fenomeno nuovo o già esistente?
Il Nord Italia, in particolare nella zona alpina e pre-alpina, è sempre stato siccitoso in inverno.
Tanto che gli incendi capitano in primavera, quando c’è un riscaldamento della temperatura e tutto è estremamente più secco. Sulle Alpi in inverno non è mai estremamente piovoso come è invece sugli Appennini. Il problema è che il clima naturalmente siccitoso in inverno si accompagna a una riduzione della copertura nevosa e dei ghiacciai, che è la vera riserva d’acqua per l’agricoltura padana. L’agricoltura padana, infatti, ha sempre potuto godere di un’agricoltura intensiva perché ha sempre avuto a disposizione acqua che veniva rilasciata dai serbatoi alpini, dai ghiacciai, esattamente quando serviva, cioè d’estate, cosa che non avviene sull’Appennino dove esite un regime torrentizio dei propri fiumi, dove c’è tanta acqua quando piove e poi rimangono in secca. Al Nord è al contrario, ma ora iniziamo a vedere che anche in questo contesto in estate l’acqua inizia a scarseggiare, proprio per la riduzione dei serbatoi naturali che erano i ghiacciai. Questo è un trend evidenziato dai modelli che prevedono una riduzione significativa della copertura nevosa, che costituisce un problema anche per il turismo.
A cosa è legata questa riduzione dei ghiacciai?
È un effetto del riscaldamento globale, che sulle Alpi sta procedendo molto più velocemente che a livello planetario, dove la temperatura si è elevata di 1,2 grado a partire dall’epoca preindustriale. Sulle Alpi questo valore è il doppio e nelle zone artiche almeno il triplo. Nelle zone ad alta elevazione il riscaldamento procede più velocemente. Questo era stato previsto dai modelli e sostanzialmente lo stiamo osservando ed è il risultato dell’aumento della CO2 in atmosfera e dello sbilanciamento energetico che questo comporta, per cui abbiamo che attualmente l’energia che esce dal pianeta e va nello spazio è minore di quella che riceviamo dal sole, anche se per poco: per circa 2 watt e mezzo per metro quadrato, ma su scala globale sono tanti. Questo fa in modo che lentamente il nostro pianeta si scaldi, con il conseguente scioglimento delle coperture glaciali, in particolari quelle alpine e dei ghiacciai antartici, ma lì abbiamo ghiacci in quantità tale che probabilmente non ne vedremo la scomparsa facilmente, mentre
per i ghiacciai delle Alpi la scomparsa totale è prevista entro la fine del secolo, secondo qualcuno addirittura entro il 2070.
La situazione è critica e se si fa un giro sulle Alpi, per esempio sui ghiacciai del Ventina, dove ci sono delle targhe che indicano dove arrivava il ghiacciaio anno per anno, bisogna camminare due ore tra dove arrivava il ghiacciaio a metà Ottocento e dove arriva adesso. Si è ritirato in maniera spaventosa e questo sta succedendo per la maggior parte dei ghiacciai, anche quello del passo dello Stelvio si è ritirato pesantissimamente. Le racconto una mia esperienza. Trent’anni fa sono andato sull’Adamello passando dal rifugio Garibaldi, dal quale per salire sul ghiacciaio c’era una scaletta a cui si accedeva dalla neve. Oggi se si prova questo sentiero per salire sull’Adamello, siccome il ghiacciaio, si è ritirato si arriva alla base della parete rocciosa e si vede la scaletta in alto di 30 metri. Quindi, anche nell’arco della vita di un uomo si vede l’evento che è in atto.
Cosa sta producendo questo cambiamento climatico?
La causa è da individuarsi nelle emissioni di anidride carbonica, cioè le combustioni di combustibili fossili, che hanno iniettato in atmosfera l’anidride carbonica, che non è un inquinante, non è una sostanza tossica, tuttavia è un gas climalterante perché ha la capacità di assorbire le radiazioni infrarosse e dunque di sbilanciare l’equilibrio energetico planetario. Invece, alcune polveri atmosferiche, ad esempio le ceneri vulcaniche, aiutano a raffreddare il pianeta.
Cosa ha causato l’aumento di queste emissioni di CO2?
Ciò che ha causato l’aumento della CO2 è essenzialmente la combustione di combustibili fossili ai fini energetici per lo sviluppo industriale e delle nostre società. In qualche modo abbiamo avuto bisogno di energia e l’abbiamo trovata a buon mercato nei combustibili fossili, nel petrolio, nel metano, nel carbone prima ancora.
È ovvio che se non troviamo un modo per produrre energia con emissioni zero i problemi continueranno.
Per adesso l’equazione energia uguale CO2 prodotta è stata una costante. Occorre disaccoppiare questo binomio. Ad esempio, produrre energia con fonti rinnovabili che non comportano emissioni di CO2 o comunque che siano emissioni di CO2 che era già stata rimossa dall’atmosfera. Faccio un esempio: se si brucia la legna essa reimmette anidride carbonica in atmosfera, ma è quella anidride carbonica che le piante, quando erano in vita, avevano rimosso dall’atmosfera. Quindi questo tipo di combustione è neutrale dal punto di vista dell’atmosfera e delle emissioni di anidride carbonica. Poi bruciare legna dà problemi di inquinamento seri anche per la salute, ma questo è un altro problema.
Esistono studi sul clima nel nostro pianeta?
Premetto che non sono un climatologo. Noi abbiamo conoscenza diretta e indiretta della temperatura del passato facendo studi quali i carotaggi dei ghiacciai artici. In Antartide lo spessore della calotta è di circa tre chilometri e si possono estrarre dei cilindri di ghiaccio che dalla superficie arrivano giù fino alla profondità dove c’è la roccia, così si possono campionare i gas contenuti nelle bollicine intrappolate nel ghiaccio quando si è formato, lì si trova aria che è fossile. Così, ad esempio, in Antartide si va indietro di 800mila anni, ricostruendo sia la concentrazione di CO2 sia la temperatura in questo lasso di tempo. La temperatura viene individuata mediante il rapporto isotopico tra l’ossigeno 18 e l’ossigeno normale, perché c’è una relazione tra la concentrazione di questo isotopo e la temperatura. Con questo sistema si può andare indietro di circa un milione di anni. Si prendono le fluttuazioni della temperatura delle ultime cinque glaciazioni avvenute nell’ultimo milione di anni. L’ultima è finita 15mila anni fa. Per i periodi antecedenti si fanno analisi delle rocce e dei gusci e fossili marini trovati nelle rocce, si può così tornare indietro per tutta l’Era Paleozoica, cioè da quando si è manifestata la vita in forma pluricellulare, da 500 milioni di anni in avanti. Più indietro ci si va con considerazioni di tipo geochimico.
Cosa emerge da questi studi?
Abbiamo avuto periodi in cui la temperatura della Terra era più alta di adesso, come alla fine del Permiano, ma abbiamo a che fare con centinaia di milioni di anni fa in cui l’uomo non esisteva, c’erano forme di vita non paragonabili a quelle attuali. Da quando c’è l’uomo, circa due milioni di anni fa, la temperatura globale non è mai oscillata oltre a più o meno due gradi. Per quanto riguarda la CO2 ci sono stati periodi in cui è stata più alta, alla fine del Permiano, ma poi si è sempre mantenuta tra i 100 e i 200 ppm. Da quando c’è l’uomo la CO2 non era mai salita oltre i 200 ppm e la temperatura mai oltre i due gradi.
Negli ultimi 150 anni, invece, la CO2 è raddoppiata arrivando ai 420 ppm di oggi, non è un processo naturale.
La temperatura aumenterà di conseguenza nel giro di un centinaio di anni, la temperatura degli oceani ci impiega anche un migliaio o un paio di migliaia di anni. Dunque, gli effetti sono tutti da venire.
Saranno effetti negativi?
Noi abbiamo creato uno sbilanciamento nell’equilibrio energetico planetario, il pianeta si sta scaldando e stiamo andando verso un altro equilibrio, che si raggiungerà in 70/100 anni se consideriamo la sola atmosfera, mentre gli oceani sono estremamente lenti quindi l’equilibrio completo si raggiungerà in mille duemila anni. Nel frattempo il pianeta si assesterà su temperature più alte, che posso produrre dei cambiamenti. Certamente non avremo più il mondo come lo abbiamo adesso. L’aumento della temperatura e la riduzione o l’aumento delle precipitazioni possono cambiare la composizione degli ecosistemi, dei biomi terrestri, quindi cambieranno le zone più o meno adatte alle colture, questo può causare migrazioni. Inoltre, un aumento di temperatura implica un aumento di energia nell’atmosfera, con la conseguenza che i fenomeni metereologici saranno più estremi. Dovremo affrontare periodi siccitosi molto lunghi, alluvioni, una maggiore frequenza di uragani. È chiaro che dovremo adattarci a questa nuova situazione, ma l’adattamento, benché non impossibile, richiede dei costi. Ad esempio, per ovviare alla siccità, si dovranno mettere in atto strategie di contenimento dell’acqua quando c’è e una sua migliore conservazione. Bisognerà studiare nuove tecniche per consumare meno acqua in agricoltura, dove oggi si consuma l’80% dell’acqua disponibile. Per quanto riguarda le alluvioni dovremo rivedere i sistemi fognari, dovremo mantenere meglio i fiumi. La questione è quanto bravi saremo ad adattarci. In fondo la nostra specie umana si distribuisce dall’equatore fino all’Artico, è una specie estremamente plastica che è capace di adattarsi a temperature radicalmente diverse. Abbiamo la tecnologia che ci permette in qualche modo di adattarci al nuovo clima. Ma le altre specie, gli altri animali fanno molta più fatica ad adattarsi e rischiano l’estinzione, magari se ne affermeranno altre che saranno capaci di adattarsi alla nuova configurazione del pianeta.
Ci stiamo avviando a un pianeta con una faccia diversa.
Il problema è anche la velocità a cui avvengono questi processi: se prima i cambiamenti su scala geologica avvenivano nell’ordine di decine o centinaia di migliaia di anni, adesso avvengono in duecento anni. Quanto siamo pronti anche noi a reagire a questo cambiamento? Noi abbiamo la tecnologia, come dicevo prima, ma la genetica non risponde così velocemente per l’evoluzione delle altre specie, quindi i rischi ci sono.