A Gul Wali, i talebani hanno ucciso il padre. Tiene tra le braccia un enorme mazzo di fiori. E’ qui a all’aeroporto di Roma Fiumicino per incontrare di nuovo la mamma e la sua famiglia . Sono anni che non li abbraccia. La famiglia di Gul fa parte del gruppo di 97 rifugiati afghani che sono arrivati questa mattina dal Pakistan grazie al programma dei Corridoi Umanitari realizzati da Caritas Italiana (per conto della Conferenza Episcopale Italiana), Fcei (Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia), Tavola valdese e Comunità di Sant’Egidio. Anche questo ultimo arrivo è realizzato sulla base dei protocolli siglati con il governo italiano a novembre 2021, per un totale di 1200 persone fuggite dall’Afghanistan e accolte in Italia dalle chiese e dalla società civile.
“Come Caritas italiana stiamo portando oggi qui in Italia 45 persone che saranno accolte in sette diocesi: Bolzano, Fiesole, Manfredonia, Milano, Roma, Verona, Ugento”, spiega Daniele Albanese che ha accompagnato il gruppo lungo tutto l’iter di preparazione fino al volo di oggi. Altrettante saranno accolte dalle Chiese protestanti e dalla Comunità di Sant’Egidio. Sono persone che da tempo cercavano di scappare dal proprio paese. Ci sono attivisti per i diritti delle donne che oggi sono stati calpestati dal regime dei talebani. Ci sono medici e infermiere di Medici senza frontiere che lavoravano in un ospedale in Afghanistan che è stato bombardato. Subito dopo l’arrivo dei talebani hanno dovuto evacuare il paese perché non era più possibile per loro restare. Ci sono donne che vengono in Italia per studiare ed essere libere e tante persone che raggiungono i propri familiari. “Nessuno di loro avrebbe mai voluto lasciare il Paese se solo ci fosse stata la possibilità di rimanere”, racconta Danoele. “C’è molta rassegnazione purtroppo rispetto a quello che sta ancora succedendo lì. C’è la speranza ma al momento la situazione è talmente degenerata che è impossibile per nessuno di loro pensare di poter fare rientro in patria”.
Anche Zahya Atayee, 23 anni, ha portato un mazzo di rose rosse. E’ una delle ragazze della nazionale afghana di ciclismo arrivate lo scorso anno, in luglio, in fuga dai talebani, ospiti a L’Aquila delle Chiese protestanti. E’ qui – racconta – per riabbracciare dopo mesi il marito e la sua famiglia. “Sono le persone più importanti della mia vita”, dice. E poi in inglese racconta quanto sia difficile per una giovane donna vivere sotto il regime afghano. “E’ proibito uscire, studiare, addirittura allenarsi in bicicletta. Ma rischiano la vita non solo le donne ma tutti quelli che hanno un passato e una biografia non gradita dal regime”.
Fahima Amini, 30 anni, nata a Herat, conferma. “Non potevo studiare, lavorare con gli stranieri, andare all’università. Come donna indipendente ero particolarmente a rischio. Non c’erano opzioni se non quella di andare via”. Nel gruppo c’è anche il prof. Dal Aga Shakeeb, attivista per i diritti umani che fino all’ultimo è rimasto ma alla fine è dovuto evacuare anche lui. “La situazione in Afghanistan sta degenerando di giorno in giorno”, dice, “sono le donne, le ragazze a subire le conseguenze più drammatiche. Non possono uscire di casa, studiare, fare sport, condurre una vita normale. E’ una situazione che non può essere tollerata. E’ un dovere di tutti mettersi in ascolto di chi sta combattendo per la libertà e i diritti”, aggiunge. “La mia missione ora è imparare bene la vostra lingua e dare voce alla voce del popolo libero afghano”.
Dietro ai corridoi umanitari oltre ai racconti di vita di chi fugge, ci sono anche le storie di chi accoglie. Don Luciano Pio Vergura è il direttore della Caritas diocesana di Manfredonia. Con lo staff di Caritas sono venuti a Roma con un pullman per imbarcare le 23 persone che la diocesi ha deciso di accogliere. “Ci spinge – spiega il sacerdote – il desiderio di dare a queste persone la possibilità di iniziare una nuova vita. Questa è la speranza, nel segno di una Chiesa che li sta aspettando e di una comunità civile che si è adoperata ad accoglierli”. Tutti hanno dato il proprio contributo, dalla casa della diocesi che darà loro ospitalità, alla scuola, alla asl, al comune. Una storia di accoglienza cominciata nel 2017 quando Manfredonia aprì le braccia ad un gruppo di siriani. “Al di là di quello che faremo noi per loro, sono loro un dono che riceviamo”.