Il quarto Festival di Sanremo targato Amadeus è iniziato con il piede giusto, almeno dal punto di vista dell’audience. Sono stati 10 milioni 757mila, pari al 62,4% di share, i telespettatori che hanno seguito ieri su Rai Uno la prima serata del Festival 2023. Amadeus ha battuto se stesso, nelle edizioni precedenti, con il risultato più alto dal 1995. Probabilmente grazie anche al fatto che la kermesse canora non è seguita più solo da adulti, com’è stato fino a qualche anno fa. E un immediato feedback dai giovani è tra i temi che Adriano Fabris, professore di Filosofia morale e di Etica della Comunicazione all’Università di Pisa, tratta con noi, commentando la prima serata del Festival di Sanremo.
Cosa dicono i giovani della prima serata del Festival?
Come è stato già consolidato con il Festival dell’anno scorso, è una kermesse contenitore per tutti i palati, tutti i gusti e tutte le generazioni, mettendo insieme settantottenni come Gianni Morandi a Mahmood e Blanco, Elodie, Mengoni vestito in pelle total black. Mi chiedevo, però, se davvero i giovani lo vedessero Sanremo e la risposta è sì, almeno per quanto riguarda gli studenti universitari a cui ho posto la domanda oggi, approfittando del fatto che tenevo una seduta di esame. Amadeus è riuscito a catturare l’attenzione dei giovani, innanzitutto, con il FantaSanremo, che è l’applicazione al Festival del Fantacalcio e funziona. Poi è riuscito a ospitare al Festival personaggi specificatamente per i più giovani, che usano un linguaggio più consono ai ragazzi. Uno dei tentativi di gancio è la presenza di Chiara Ferragni. E almeno un’occhiata al Festival gli studenti con cui ho parlato stamattina l’avevano data. Adesso voglio verificare se i giovani continueranno a seguire la kermesse canora. Perché il problema è anche la tenuta su tanti giorni.
Ieri è stato troppo facile fare il botto con il presidente della Repubblica e con Roberto Benigni.
Un elemento interessante è come i giovani hanno seguito la prima puntata: non solo attraverso la televisione, ma anche attraverso i social e sulle piattaforme, magari in differita, come è possibile fare su Raiplay. Quindi, Sanremo è un Festival per tutte le generazioni non solo perché propone modi di relazione, di pensare, problemi, provocazioni che possono interessare anche i ragazzi.
Una novità è stata anche la presenza, per la prima volta, al Festival del presidente della Repubblica…
Partiamo da quello che è successo: Sergio Mattarella è entrato in un certo momento, ha ricevuto un minuto e mezzo di applausi, ha assistito con la mano sul petto all’inno di Mameli cantato da Morandi, ha sorriso alle divertenti battute di Benigni, poi è stato “dimenticato”, anche perché se n’è andato via poco dopo la performance dell’attore. Quindi, il Capo dello Stato è andato a Sanremo, ma alle sue condizioni e ritagliandosi uno spazio presidenziale. Dal punto di vista formale, la sua presenza è stata adeguata e intelligente. Tranne per il fatto che prima che entrasse Amadeus ha perso troppo tempo a parlare dell’emozione di avere accanto a sé Morandi. Mi sono immaginato il presidente della Repubblica ad aspettare che fosse introdotto dal conduttore. Non mi è sembrato correttissimo dal punto di vista istituzionale, perché Amadeus avrebbe subito dovuto introdurre il personaggio più importante, Mattarella. Ho visto anche un selfie di Chiara Ferragni con lei narcisisticamente in primo piano, con dietro Amadeus, Morandi, il presidente e la figlia Laura. Comunque, se il presidente l’ha considerato adeguato, va bene. In realtà, Mattarella è andato a Sanremo per dare il suo appoggio non tanto al Festival, quanto al 75° della Costituzione italiana. Non so se il testo di Benigni sia stato visionato, come probabile, precedentemente dallo staff del presidente, ma in ogni caso il richiamo dell’articolo 21 della Costituzione era implicitamente una citazione e una ripresa del discorso che Mattarella ha inviato per il 65° dell’Ordine dei giornalisti.
Con la sua presenza il Capo dello Stato ha sottolineato l’attualità della nostra Costituzione.
Cosa pensa di Amadeus e Morandi?
Il cantante fa un po’ il valletto di se stesso, è una dimostrazione un po’ reiterata che i nostri anziani, nella società attuale italiana, stanno bene e ci accompagnano nelle varie attività. Amadeus mi è sembrato come un navigante in una bella barca a vela, con il vento in poppa, che non deve fare altro che tenere la rotta.
Protagonista femminile della prima serata è stata Chiara Ferragni…
Analizziamo i fatti “comunicativamente” e poi approfondiamo le sue strategie comunicative. La sua prima apparizione è stata di spalle con il messaggio scritto sulla stola bianca: “Pensati libera”. È un “plagio” di quanto la deputata statunitense Alexandria Ocasio-Cortez ha fatto scrivendo sul suo vestito un altro motto democratico, ma la forma è esattamente la stessa. Non si tratta, quindi, di una idea nuova di Chiara Ferragni. Il messaggio “Pensati libera” mi ha fatto riflettere: non ha scritto “Sii libera”. Quel “Pensati” vuol dire che ci si deve convincere di essere liberi anche se non lo si è? Che si è preda di qualcun altro che ci fa credere di essere liberi perché l’unica cosa importante è quello che pensiamo di noi stessi? Non mi sembra un messaggio valido. Così come non mi sembra troppo valido scrivere su un altro vestito, che ha indossato durante la serata, le frasi che le rivolgono sui social gli hater, perché le frasi di odio vengono prese a modello da altri e riusate. Sarebbe stata più valida la strategia delle parole non ostili per impedire che l’odio si diffonda. L’influencer ha dichiarato che i vestiti fanno parte di una strategia voluta. Nella sua prima uscita, quando ha preso la parola, poi, ha iniziato a esagerare con gli “issimi”, era tutto “bellissimo”, “fortissimo”, “meravigliosissimo”, e amando tutti: Morandi, Sanremo, i fiori, “Ama” (Amadeus, ndr).
Dal punto di vista comunicativo Ferragni ha centrato la sua mission?
Innanzitutto, è andata a Sanremo perché il Festival ha un’audience enorme, che aumenta i suoi follower. Attraverso il suo discorso e la sua presenza ha cercato di trasporre il modello dei social, quello in cui è effettivamente maestra, al modello della comunicazione televisiva.
Abbiamo assistito a una sorta di “socialificazione” del Festival, cioè ha giocato molto sulle immagini, come fa abitualmente su Instagram.
I suoi vestiti erano funzionali all’immagine che voleva veicolare, da qui il vestito con le scritte o quello nude look. Ma l’immagine televisiva è diversa da quella dei social, perché la prima è un’immagine in movimento, mentre su Instagram è fissa o, se in movimento, solo per una clip. In tv il Festival dura dalle 20,30 all’una di notte o anche oltre. E anche se Chiara Ferragni non è stata sempre sul palco il suo monologo è durato circa cinque minuti, quindi in televisione non basta l’immagine, servono altri canali per mantenere l’attenzione, come la musica e la parola. Per mantenere l’attenzione non era sufficiente fare la bella statuina, truccata, con le ciglia finte, gli occhioni azzurri e vestita in un certo modo. Ci voleva la parola e qui è cascato l’asino.
Ci spieghi meglio…
Il suo è stato un discorso piuttosto scontato, che una Chatbot avrebbe potuto scrivere ugualmente bene o anche meglio. Un discorso furbo, perché ha tenuto insieme una rivendicazione para femminista con quella del ruolo di madre. Furbo perché si è rivolto al suo vero target, adolescenti insicure che la seguono, ha insistito sulla fragilità, sui rapporti con i genitori, ha parlato con gli stereotipi propri dei social – è la società che fa sentire in colpa le donne quando diventano madri e lasciano i figli per andare a lavorare –, ha ripetuto stilemi da social – ha detto tre o quattro volte “ti svelo un segreto” –, ha soprattutto sollecitato i “like” che in un contesto come quello di Sanremo, cioè audiovisivo, erano gli applausi, che il pubblico era chiamato a fare a comando. In sintesi ha trasferito in un format televisivo il format dei social e nel far questo ha dimostrato tutta la sua incompetenza nella gestione del format televisivo, perché è diverso. Amadeus e Gianni Morandi “ci nuotavano” e si vedeva, sottolineando anche con la loro semplice presenza qualcosa di importante. Lei è stata rigida e ha letto anche impappinandosi il suo monologo. Il risultato generale non è stato esaltante. Quindi, ha fallito comunicativamente, perché ha usato gli strumenti dei social di cui è maestra, applicandoli senza conoscenza e competenza adeguata all’ambito televisivo. In ogni caso, ha dimostrato di essere in grado di agganciare i suoi follower attraverso la televisione. Vorrei dire ancora una cosa sul discorso di Ferragni.
Ci dica.
È stato un discorso molto autoreferenziale, rivolgendosi a lei stessa da piccola. Questo è un approccio che viene pienamente incontro alla mentalità dei nostri ragazzi. Ha parlato alla “piccola Chiara”. Dedicare qualcosa a se stessi è un esempio di analfabetismo comunicativo, perché si dedica qualcosa di proprio a un altro, la dedica è un dono. Dedicare il discorso a se stessa è stato molto social, è quello che fanno gli influencer di fronte ai loro follower, cioè sono testimonial di se stessi, raccontano tutto, senza troppo pudore, basta avere un seguito. Quindi,
da un lato, è stato anche un tentativo interessante di vedere un innesto di una modalità comunicativa diversa sulla televisione; dall’altro, se ne sono visti i limiti.
Cosa ne pensa di Blanco che ha devastato il palco di Sanremo calpestando i fiori?
Mi permetta una provocazione. È stato l’unico vero elemento di novità del Festival, a prescindere dalle sue intenzioni. Anche Blanco ha mostrato una grande autoreferenzialità, oltre che un’immaturità emotiva, condivisa da tanti altri giovanissimi e tatuati cantanti, molto emozionati, quasi sul punto di piangere. Cioè Blanco ha dato prova di non sapersi controllare e non saper gestire quelle situazioni di intoppo tecnico frequenti nelle dirette. In una serata in cui, con la benedizione inaugurale del presidente della Repubblica, si è svolto tutto nella maniera più liscia e se Sanremo è rappresentato dai suoi che vengono dati a tutti, dare un calcio ai fiori di Sanremo è simbolicamente eversivo. E ci voleva, in un contesto fin troppo programmato, noioso, paludato.