L’apertura del ministro dell’Istruzione e del merito Giuseppe Valditara all’ipotesi di una differenziazione regionale degli stipendi degli insegnanti ha sollevato un acceso dibattito tra chi l’ha definita “una misura abbastanza sensata” e chi – la maggioranza – ha affermato che creerebbe disuguaglianze e distruggerebbe l’unità della scuola pubblica. Dopo un paio di giorni lo stesso ministro ha fatto un parziale dietrofront, affermando che “la vera sfida è pagare di più tutti gli insegnanti”. Secondo Valditara, “con 1.500 euro un professore non riesce a vivere, né riesce con 1.300 euro un docente di scuola primaria”.
“Credo che il diverso potere d’acquisto dello stesso stipendio nelle regioni italiane riguardi tutto l’impiego pubblico, non soltanto il personale scolastico”, dice al Sir Eraldo Affinati, scrittore e insegnante romano, fondatore con la moglie Anna Luce Lenzi della scuola Penny Wirton per l’insegnamento gratuito della lingua italiana agli immigrati. “Pensiamo ai costi di riscaldamento che al nord sono molto più alti rispetto a quelli del sud. Lo Stato – suggerisce – potrebbe favorire interventi su base territoriale con bonus specifici, ma a mio avviso
l’unità retributiva nazionale dei docenti andrebbe mantenuta, innalzando i livelli di tutti”.
Professore, perché gli stipendi degli insegnanti italiani, sottopagati rispetto al valore del lavoro che svolgono, sono inferiori alla media europea?
È questo il vero punto dolente.
È come se nel tempo si fosse svilito il valore sociale dei nostri educatori.
Oggi gli stipendi degli insegnanti italiani, diciamolo pure, sono davvero troppo bassi, quasi vergognosi, specie pensando alla qualità e alla quantità del lavoro richiesto, peraltro assai cresciuto negli ultimi anni. La rivoluzione digitale ha comportato un grande aumento delle responsabilità e delle competenze richieste. Si sono moltiplicate le riunioni cui partecipare, le formalità burocratiche da assolvere, gli impegni obbligatori, senza che a ciò corrispondesse un necessario adeguamento salariale. Dove trovare il tempo per stare con gli studenti, conoscerli e farsi conoscere, aggiornarsi, leggere, studiare, preparare le lezioni e correggere i compiti?
Ogni nuovo governo esordisce affermando la centralità dell’istruzione pubblica ma poi, a conti fatti, vediamo che le retribuzioni restano ben al di sotto della soglia europea.
Ogniqualvolta si sente parlare della possibilità di un aumento, questo viene agganciato a una nuova mansione da svolgere. Mentre noi dovremmo semmai alleggerire i pesi da portare, non aggravarli, in modo che l’insegnante, nel momento in cui entra in aula, non debba sentirsi già stanco o, peggio ancora, sfiduciato. Di fronte agli alunni, è lì che dovrebbe dare il meglio di se stesso.
Nel nostro Paese manca forse il riconoscimento sociale e culturale, prima ancora che economico, che questa professione merita?
Proprio così. Oggi il docente patisce una solitudine che, se da una parte lo rende molto vulnerabile rispetto al passato, dall’altra ne accresce il valore. Spesso le famiglie remano contro, ostacolando la sua azione invece di favorirla. Specialmente nelle regioni settentrionali i giovani più dotati non scelgono di insegnare ma cercano attività meglio remunerate e riconosciute, mentre invece il passaggio di testimone da una generazione all’altra, che la scuola da sempre assicura, dovrebbe essere affidato ai talenti riconosciuti: soltanto in questo modo una società si fa garante del suo futuro.
La scuola e l’educazione sono beni preziosi, qual è il loro valore nella costruzione della società?
“La scuola rappresenta lo specchio di ciò che noi siamo stati e vogliamo essere, in tal senso è la migliore scommessa di felicità di cui disponiamo.
In quale altro luogo giovani e adulti possono incontrarsi e parlarsi? Dove formare le coscienze dei cittadini? Oggi in particolare, nell’orizzonte affascinante ma complesso della dimensione informatica e multiculturale che stiamo attraversando, abbiamo bisogno di accettare il nostro limite per diventare davvero liberi, ricostruire le gerarchie di valore, ristabilire il senso dell’esperienza, creare le comunità educative, ritrovare concentrazione e rigore, verificare le fonti, superare la superficialità, imparare a vivere insieme agli altri, utilizzare le intelligenze artificiali senza esserne schiavi, fondare una nuova umanità.
Valorizzare adeguatamente i docenti significa anche motivarli di più e quindi renderli più capaci di motivare e coinvolgere i ragazzi? Può insomma contribuire ad aumentare la qualità della scuola come palestra che forma alla vita e insegna a diventare adulti?
Questo di sicuro. Ma per valorizzare i docenti e rafforzare le loro motivazioni non possiamo limitarci a propinargli l’ennesimo corso di formazione e aggiornamento! Dovremmo piuttosto spingerli a una continua verifica della scelta che hanno compiuto, la quale non può ridursi in chiave soltanto professionale, dovrebbe essere anche esistenziale.
Se sbaglia un impiegato è un problema, se sbaglia un docente è una ferita.
Io credo nello scambio delle buone pratiche, debitamente guidate. In Italia abbiamo tante straordinarie innovazioni didattiche che restano troppo spesso nell’ombra, alle quali non viene data la necessaria visibilità. Mi piacerebbe che l’esperienza di molti docenti venisse meglio valorizzata, anche perché il nostro è un mestiere che consuma: dopo vent’anni in cattedra alcuni insegnanti sarebbero già pronti ad aiutare le nuove leve. Sento la necessità di fare rete per unire i saperi e condividere le sperimentazioni edificando così quello che Papa Francesco ha spesso definito come il villaggio educativo.
Può essere utile trovare forme di incentivi per quelli che esercitano il proprio compito in contesti difficili e di profondo disagio sociale ad alta dispersione scolastica?
“Sì, sapendo però che la valutazione della qualità scolastica è difficile: ci sono tante variabili in gioco. Non sempre il docente migliore appare a vista d’occhio. Magari è quello che non fa rumore ma incide maggiormente. Inoltre i risultati pedagogici non si possono registrare subito, in numerosi casi emergono dopo anni, quando i ragazzi sono diventati adulti. Ecco perché, secondo me, sarebbe necessario
investire sulle strutture di cui hanno bisogno i professori che lavorano in contesti problematici: spazi giusti, strumenti adeguati, sportelli supplementari, equipe di supporto.
Senza contare che a volte anche un contesto a prima vista ottimale, in realtà potrebbe non esserlo.