Il Consiglio dei ministri ha approvato il disegno di legge che fissa le disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata, noto anche come ddl Calderoli, dal nome del ministro proponente. Il presupposto di fondo del provvedimento è quanto prevede il terzo comma dell’art.116 della Costituzione così come risulta dalla controversa riforma del titolo V, realizzata nel 2001 – paradossalmente – da una maggioranza di centro-sinistra. In esso si legge che alle Regioni a statuto ordinario possono essere attribuite “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” in tutta una serie di settori tra cui anche alcuni attualmente di competenza esclusiva dello Stato. La posta in gioco è molto alta per il Paese in quanto, se l’autonomia differenziata venisse richiesta per tutte o quasi le 23 materie (come finora è in sostanza avvenuto con le prima Regioni che si sono attivate: Veneto, Lombardia e, in misura minore, Emilia-Romagna) ci sarebbe un’oggettiva ricaduta sugli equilibri istituzionali, economici e sociali complessivi. Basterebbe pensare al caso di cui ultimamente si è più discusso, quello della scuola.
Ciò premesso, il testo varato dal Consiglio dei ministri rappresenta solo un primissimo passo. Innanzitutto dovrà ricevere il parere della Conferenza unificata (Stato-Regioni e Stato-autonomie locali); quindi, eventualmente corretto o integrato, sarà riapprovato dal Cdm e presentato in Parlamento, dove dovrà seguire il consueto iter tra Camera e Senato con tempi tutti da valutare, stante la forte contrarietà delle opposizioni. Superato anche lo snodo di alcune elezioni regionali che hanno spinto l’attuale maggioranza ad accelerare i tempi, e quindi in un contesto politico diverso, si vedrà quale sarà il testo definitivo in base al quale potranno essere stipulati gli accordi con le Regioni.
La procedura disegnata dal ddl uscito dal Consiglio dei ministri è molto complessa. Si calcola che in teoria ci vorranno almeno cinque mesi per ogni richiesta. Il percorso si snoda tra il Governo, la Conferenza unificata e le singole Regioni interessate. Per rispondere alla critica di un’emarginazione del ruolo delle Camere nella valutazione delle intese, nell’ultima versione del testo è stato previsto che i “competenti organi parlamentari” (le commissioni) esprimano non pareri ma “atti di indirizzo”. Alla fine del percorso, comunque, deputati e senatori potranno soltanto ratificare o respingere (a maggioranza assoluta, secondo Costituzione) le intese raggiunte tra Governo e Regioni, senza poterne modificare il testo.
Altro punto cruciale è quello dei Lep, i Livelli essenziali di prestazione che dovrebbero essere assicurati su tutto il territorio nazionale per la garanzia dei “diritti civili e sociali”.
Secondo il disegno di legge, l’individuazione dei Lep è una premessa necessaria per il trasferimento delle funzioni più delicate alle Regioni e il compito spetta a una “cabina di regia” istituita presso Palazzo Chigi – come stabilisce già la legge di bilancio approvata a dicembre – che ha un anno di tempo provvedere. Dopo una serie di pareri e delibere, saranno uno più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri a fissare queste soglie minime che dovrebbero consentire finalmente di superare il concetto della “spesa storica”. Fa discutere anche in questo caso che un’operazione così attesa e decisiva sia affidata ai Dpcm (noti per le misure emergenziali in tempo di pandemia) e non a una delibera del Parlamento. Ma soprattutto ci si interroga sulle implicazioni finanziarie potenzialmente molto rilevanti. Se ci sono dei livelli da assicurare a chi sta sotto la soglia, dove si reperiranno le risorse? Il ddl richiama il rispetto degli impegni finanziari ed esplicita che le intese con le Regioni non dovranno comportare nuovi oneri per i conti pubblici. Qualcosa non torna. Ci sono evidentemente dei profili da chiarire, se si vuole evitare che i Lep restino solo sulla carta. Com’è da chiarire anche il modo in cui l’attuazione dell’autonomia differenziata si possa coordinare con l’attuazione del Pnrr per la quale si sta procedendo in senso contrario, con un forte controllo centrale per raggiungere i target fissati negli accordi con l’Unione europea.