Il Parlamento in seduta comune ha eletto 9 dei 10 membri del Consiglio superiore della magistratura che era chiamato a designare. Tornerà a riunirsi il 19 gennaio per eleggere il decimo consigliere che nella prima tornata non ha raggiunto il quorum necessario. Il Csm è espressamente previsto dalla Costituzione (artt. 104 e 105) come organo di amministrazione della giurisdizione e di garanzia dell’autonomia e dell’indipendenza dei magistrati ordinari. Un organo di particolare rilievo e delicatezza tanto che secondo la Costituzione a presiederlo è lo stesso capo dello Stato. Esso adotta tutti i provvedimenti che incidono sullo status dei magistrati (dall’assunzione mediante concorso pubblico, alle procedure di assegnazione e trasferimento, alle promozioni, fino alla cessazione dal servizio) e ha il compito di giudicare le condotte disciplinarmente rilevanti tenute dai magistrati.
All’oggettiva importanza dell’organo si aggiungevano stavolta anche altri motivi di speciale interesse. Non solo il voto si svolgeva a cavallo della relazione al Parlamento del neo-ministro della Giustizia, Carlo Nordio, e nell’imminenza dell’inaugurazione del nuovo anno giudiziario, in una prolungata fase di grandi tensioni intorno alla magistratura. Ma era anche la prima volta che si applicavano le norme della riforma Cartabia approvata lo scorso giugno.
Si trattava, inoltre, della prima riunione delle Camere congiunte da quando è stato ridotto il numero di deputati e senatori. Un formato solenne, quello del Parlamento in seduta comune, riservato a pochi, grandi appuntamenti fissati dalla Costituzione. I partiti, quindi, si trovavano di fronte a un test molto significativo della loro capacità di trovare intese istituzionali al di là della fisiologica dialettica tra maggioranza e opposizione. Il quorum di tre quinti richiesto per l’elezione dei consiglieri del Csm, del resto, è funzionale proprio a questa prospettiva.
La prova è stata superata ma solo in parte.
L’accordo tra i gruppi che fino all’ultimo era apparso molto difficile, così da far prevedere una serie di “fumate nere”, nella sostanza ha retto. Alla maggioranza dovevano andare 7 consiglieri (4 a Fdi, 2 alla Lega, 1 a Fi), 3 alle opposizioni (1 ciascuno per Pd, M5S e Azione). Il quorum è stato superato da 9 candidati su 10. Quando già le votazioni erano in corso, è scoppiato il caso relativo a uno dei nomi indicati da Fdi, Giuseppe Valentino, un penalista calabrese già sottosegretario alla Giustizia, che risulta ancora indagato in un’inchiesta di ‘ndrangheta. Tra le polemiche Valentino si è ritirato, ma molti avevano già provveduto a votarlo e il personaggio indicato in sostituzione, Felice Giuffrè, docente universitario a Catania, non ha materialmente potuto raggiungere il quorum anche se sul suo nome le opposizioni non hanno avuto problemi a convergere. Gli eletti, in ordine di voti conseguiti, sono Roberto Romboli, Isabella Bertolini, Daniela Bianchini, Claudia Eccher, Rosanna Natoli, Enrico Aimi, Fabio Pinelli, Michele Papa ed Ernesto Carbone. Tutti avvocati con almeno quindici anni di professione o docenti universitari di materie giuridiche, perché questi sono i requisiti richiesti ai 10 membri “laici”, eletti dal Parlamento.
I 20 membri eletti dagli stessi magistrati (lo hanno fatto nello scorso settembre) vengono correntemente definiti “togati”. Membri di diritto del Csm, oltre al capo dello Stato, sono il primo presidente e il procuratore generale della Corte di Cassazione. Quando il Consiglio sarà finalmente al completo, un altro passaggio decisivo sarà l’elezione del vicepresidente che – come spiega il sito del Quirinale – sostituisce il presidente della Repubblica in caso di assenza e impedimento ed esercita le funzioni che il presidente gli delega. Presiede poi il comitato di presidenza (composto dal primo presidente della Cassazione e dal procuratore generale presso la stessa), al quale è attribuito il compito di promuovere l’attività del Csm, dare attuazione alle sue delibere e provvedere alla gestione del bilancio. Il vicepresidente dev’essere scelto tra i “laici” ma con il voto di tutti, anche dei “togati”, e quindi non ci sono esiti scontati, almeno per ora.