Lolita Lobosco, come Imma Tataranni, segna la differenza nella serialità Rai: donne forti, acute, brillanti, in prima linea nell’abitare i sentieri della giustizia, capaci di forzare alcuni stereotipi narrativi ricorrenti. Anteprima stampa della seconda stagione della serie Rai “Le indagini di Lolita Lobosco” diretta da Luca Miniero e con protagonista una magnifica Luisa Ranieri. Su Rai Uno a partire dall’8 gennaio, sei prime serate. Ancora, al cinema con Lucky Red dal 4 gennaio il dramma “Close” di Lukas Dhont, Grand Prix speciale della Giuria al 75° Festival di Cannes. È l’istantanea di un’amicizia infantile in Belgio, un legame luminoso e tenero che viene travolto dalla meschinità di una società spesso feroce. Oscillando tra realismo e delicatezza, lo sguardo di Dhont sembra rifarsi al cinema dei fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne.
Il punto Cnvf-Sir
“Le indagini di Lolita Lobosco” (su Rai Uno, dall’8 gennaio)
La prima stagione ha fatto il pieno di ascolti, sfondando la soglia del 30% di share su Rai Uno (oggigiorno una vera rarità). Parliamo della serie Rai “Le indagini di Lolita Lobosco”, adattamento dei romanzi di Gabriella Genisi, una produzione targata Angelo Barbagallo (Bibi Film) e Luca Zingaretti (Zocotoco), con la regia di Luca Miniero, veterano della commedia cinematografica (suoi sono: “Benvenuti al Sud”, 2010; “Benvenuti al Nord”, 2012; “Un boss in salotto”, 2014; “Non c’è più religione”, 2016).
A vestire ancora una volta i panni del vicequestore barese Lolita Lobosco è una sempre brava Luisa Ranieri, che corona così un anno straordinario dopo la corsa agli Oscar con “È stata la mano di Dio” di Paolo Sorrentino, che le ha regalato anche il Nastro d’argento 2022 come migliore attrice non protagonista. Ranieri con grande fascino, acume e ironia torna a raccontare una donna quarantenne di oggi, capofila in Polizia in un commissariato ad alta densità maschile, che però non rinuncia alla propria libertà e femminilità.
La storia. In questa seconda stagione Lolita Lobosco si troverà davanti una serie di sfide, lavorative, familiari e sentimentali. Anzitutto parte ufficialmente l’indagine sulla morte del padre, l’ormai appurato omicidio per mano di un mandante sconosciuto connesso alla malavita; accanto a lei, come sempre granitici, i colleghi Antonio Forte (Giovanni Ludeno) e Lello Esposito (Jacopo Cullin), come pure l’amica pm Marietta Carrozza (Bianca Nappi). Sul fronte privato, Lolita è incalzata dal fidanzato Danilo (Filippo Scicchitano), più giovane di lei, che le chiede di andare a vivere insieme, nonostante la donna conservi ancora delle resistenze, mentre la madre Nunzia (Lunetta Savino, fantastica!) si lancia insieme all’altra figlia Carmela (Giulia Fiume) nell’attività di un B&B e al contempo (ri)sperimenta l’amore superati i sessanta.
Prendendo le mosse da tre romanzi della Genisi – “Mare nero” (2016), “Dopo tanta nebbia” (2017) e “Lo scammaro avvelenato e altre ricette” (2022) – e da tre soggetti originali, su sceneggiatura di Daniela Gambaro e Massimo Reale, la seconda stagione della serie “Le indagini di Lolita Lobosco” marcia spedita a cavallo di più generi: crime-poliziesco, commedia di matrice familiare così come sentimentale. “Un racconto popolare – ha sottolineato il regista Miniero – che mischia commedia, noir, azione ed esalta la natura inconsueta del personaggio che Luisa Ranieri ha saputo magistralmente interpretare. (…) L’ambientazione barese fa il resto, alla ricerca di un Sud cambiato, diverso (…). Un Sud fatto di donne coraggiose e moderne che uniscono l’anima e il calore a una dimensione molto diversa dal passato e dal cliché”.
La qualità narrativa della serie risiede, dunque, proprio in tali elementi. In primo luogo, nella forza del personaggio di Lolita Lobosco, trascinante, determinato e libero, che Ranieri fa brillare mettendosi in gioco in chiave espressiva e dialettale. Ancora, la serie beneficia di un cast rodato e compatto che anima la scena, sorreggendo il racconto anche quando inciampa, qua e là, in raccordi prevedibili. Infine, l’ambientazione paesaggistica pugliese e la città di Bari ammantano il racconto di un’atmosfera speciale, elegante, che la regia di Miniero e la fotografia di Federico Angelucci esaltano con originalità. Nell’insieme, “Le indagini di Lolita Lobosco” risulta una serie convincente e accattivante, dal vivace andamento tra linea gialla e lampi di ironia brillante. Serie consigliabile, brillante, per dibattiti.à
“Close” (al cinema, dal 4 gennaio)
“Il pettegolezzo ferisce e la calunnia può essere più tagliente di un coltello!”. È la suggestione di Papa Francesco (Angelus, 27 febbraio 2022), riflessione che sembra ben intercettare il senso del film “Close”, secondo lungometraggio del regista fiammingo Lukas Dhont (“Girl”, 2018), premiato con il Grand Prix speciale della Giuria al 75° Festival di Cannes e in cartellone ad Alice nelle Città, sezione educational – autonoma e parallela – della Festa del Cinema di Roma (2022). Con grande compostezza e realismo, “Close” ci accompagna nelle pieghe della preadolescenza, seguendo il cammino di due ragazzini di campagna cresciuti nella semplicità e nell’innocenza. Due amici che si imbattono nella durezza dell’età adulta, con un passaggio segnato dallo stigma del giudizio sociale, dal desiderio di appartenenza al gruppo e alla facilità di cadute in categorizzazioni asfittiche.
La storia. Campagna belga, oggi. Léo (Eden Dambrine) e Rémi (Gustav de Waele) sono due preadolescenti che frequentano le scuole medie. Sono cresciuti insieme, frequentandosi ogni giorno, tra giochi e studio; mangiano e dormono spesso a rotazione a casa dell’uno o dell’altro. Un’amicizia per la pelle, come tante, soprattutto negli anni puri dell’infanzia. Anche a scuola Léo e Rémi fanno tutto insieme, finché non finiscono nel mirino delle chiacchiere da corridoio dei compagni, che insinuano altro nel loro legame. Questo, la paura del giudizio altrui, metterà a dura prova la loro amicizia: Léo sentirà il bisogno di un maggiore cameratismo tra pari, allontanandosi dal suo storico amico, Rémi subirà con sofferenza questo cambiamento, non comprendendone le motivazioni e spingendosi fino a gesti drammatici.
Più che un film sulla ricerca dell’identità nei territori dell’adolescenza, “Close” mette bene a fuoco il passaggio dall’innocenza dell’infanzia alla malizia dell’età adulta, da uno sguardo scevro da giudizio, costellato da luminosa fiducia, a uno più asciutto, impastato di paure e condizionamenti. Il film sottolinea quanto la società odierna spesso scivoli nella violenza verbale incontrollata, parole che assumono le vesti di vere e proprie pietre, capaci di ferire gratuitamente, viziando legami e ambienti sociali. È quello che accade anche nelle rumorose stanze digitali, dove frequentemente si innesca un ostracismo disumano.
Il regista Lukas Dhont ci mostra l’incrinarsi del candore di un’amicizia tra due ragazzi di provincia, un legame che non sopravvive all’ingresso dell’età adulta. Un’amicizia che perde quella sua leggerezza fiabesca rimanendo schiacciata da una società ruvida e spietata. Servendosi di inquadrature dolci, prolungate, delle pennellate di realismo marcato da sentimento, Dhont ricorda non poco il cinema dei fratelli Dardenne, in particolare “Il ragazzo con la bicicletta” (2014) e “Tori e Lokita” (2022). Ancora, l’autore valorizza con grande efficacia la recitazione spontanea e densa di emozioni degli interpreti Eden Dambrine e Gustav de Waele, sorprendentemente bravi per la loro giovane età a tradurre in espressioni i diversi stati d’animo in campo, compresi i cambi di rotta emotivi dei loro personaggi.
“Close” è un film che conquista per il modo in cui delinea con delicatezza un dramma sfaccettato e problematico, un racconto che viaggia sempre a misura dello sguardo di bambino, scandagliandone le sfumature altalenanti tra gioco, spensieratezza, sogno e scoperta del primo dolore. “Close” convince e non poco commuove. Per i temi trattati, è complesso, problematico, per dibattiti.