Il 2022 è stato un anno difficile per il mondo del carcere: record di suicidi, proteste e anche incendi ed evasioni, come dal Beccaria di Milano a Natale, che hanno interessato pure gli istituti penitenziari minorili. I problemi sono tanti e con l’arrivo del nuovo anno non si risolveranno con la bacchetta magica, come ci dice l’ispettore generale dei cappellani nelle carceri italiane, don Raffaele Grimaldi. Con lui facciamo il punto della situazione.
Cosa sta succedendo nelle carceri minorili?
Le carceri mai come in questo tempo sono diventate polveriere di rabbia:
questo l’ha detto nel 2019 anche Papa Francesco, quando ci ha accolto in udienza. Le polveriere di rabbia ormai non sono più appannaggio delle carceri con adulti, ma si stanno estendendo anche agli istituti penitenziari minorili. Quando parliamo di carceri minorili parliamo di strutture che accolgono ristretti fino a 25 anni: si tratta di ragazzi che hanno compiuto reati da minori che restano negli istituti minorili fino al 25° anno di età e, se la pena è più lunga, sono trasferiti nelle carceri per adulti, solo dopo il compimento dei 25 anni. La convivenza nelle carceri minorili è un po’ difficile per tanti motivi. Innanzitutto, perché ci sono continui spostamenti di questi ragazzi, che rischiano di perdere il contatto con le famiglie. Spesso questi detenuti sono trasferiti molto lontano e le famiglie non possono andarli a trovare per le loro condizioni di povertà. Molti ristretti sono stranieri, alcuni vivono con le famiglie nella città dove sono stati arrestati, altri sono soli. Anche i cappellani fanno fatica a creare dialogo. Molti di questi ragazzi hanno anche problemi psichici, quindi manifestano questa ulteriore fragilità. Gli incendi appiccati negli ultimi tempi sono una reazione, un segno di disagio e un modo per farsi sentire e alzare la voce. Noi non ci scandalizziamo per quello che può succedere perché le carceri sono diventate, come dicevo, polveriere di rabbia e soprattutto i ragazzi, anche per inesperienza, a volte sono irresponsabili. Non mi sorprende neppure la fuga dal Beccaria: molti giovani, anche tra i ristretti, desiderano la libertà e avendone avuto l’occasione ne hanno approfittato senza pensare magari alle conseguenze e senza sentire la responsabilità di vivere il tempo della prova in carcere. I problemi di disagio e di salute mentale sempre più diffusi tra i ragazzi si riflettono negli istituti penitenziari minorili e fanno anche da sfondo agli episodi che si registrano nell’ultimo periodo.
Cosa possono fare i cappellani?
Forse i cappellani avrebbero bisogno di inserirsi di più nel contesto del carcere, non perché non ci siano, ma perché tante volte nei percorsi riabilitativi dei ragazzi i cappellani non vengono inseriti e si riduce il loro ruolo solo al fatto religioso, mentre potrebbero fare molto di più accanto ai ragazzi, anche perché i cappellani degli istituti minorili sono giovani e si rapportano ai ragazzi in un modo più immediato, comprendendo ancora di più le loro problematiche.
Il 2022 è stato un anno molto difficile per le carceri con un record nel numero dei suicidi: che speranze e quali prospettive ci sono per il nuovo anno nel mondo carcerario?
Quando si inizia un nuovo anno la società stessa è alimentata dalla speranza che le cose possano cambiare in meglio, così avviene anche nel mondo carcerario, soprattutto rispetto ai problemi che conosciamo, l’elevato numero di suicidi, il sovraffollamento, la mancanza di personale. Con l’avvento del nuovo anno vorremmo che si risolvessero tali questioni, ma non c’è nessuna bacchetta magica per eliminare di colpo problemi così incancreniti:
c’è bisogno della responsabilità e dell’impegno di tutti, a partire dalla risposta della politica, del Governo, degli stessi Istituti
con una riorganizzazione degli spazi per il sovraffollamento e con l’offerta di prospettive nuove ai detenuti. Quando in un carcere ci sono le attività lavorative e trattamentali, il detenuto sa di dover scontare una pena, ma sa anche che c’è un ambiente pronto ad aiutarlo. Quando viene abbandonato a se stesso, i risultati li conosciamo già: suicidi, ribellioni, aggressioni. Quanto più i detenuti sono ristretti in “gabbia”, tanto più le reazioni violente sono forti. Sono già un passo avanti le celle aperte, le sezioni dove i detenuti possono circolare liberamente, ma non basta: occorre offrire anche prospettive lavorative, corsi di formazione, scuola. C’è tutto questo, ma è sempre poco rispetto alle esigenze di tante persone che vivono all’interno di un carcere. Se non c’è una forte risposta corale, c’è il rischio che anche nel 2023 si moltiplichino le situazioni difficili che non si riescono ad affrontare e superare.
Qual è il suo auspicio per il nuovo anno?
Come cappellani il nostro auspicio è di poter servire ancora meglio la realtà carceraria, stando ancora più vicini ai detenuti, incoraggiandoli a non disperare. La nostra presenza nelle carceri vuol essere un modo per annunciare il Vangelo della speranza. Ci auguriamo anche che nel 2023 chi, a fine pena, ha la possibilità di uscire dal carcere lo possa fare e che la burocrazia sia meno chiusa.
All’interno degli istituti, si deve lavorare affinché la detenzione sia vissuta con meno drammaticità. Ma fuori hanno bisogno di una speranza.
Alcuni si sono ammazzati proprio perché avevano paura di uscire dal carcere perché non avevano prospettive, casa, famiglia, lavoro. Di qui, l’augurio che i detenuti, una volta usciti, possano trovare fuori una comunità più accogliente, più misericordiosa, più aperta ad accogliere i più deboli e i più fragili. Tante volte, invece, fuori trovano una società chiusa e quindi non hanno possibilità lavorative né famiglie accoglienti. Si ritrovano abbandonati, soli e, presi dalla disperazione, rischiano di delinquere ancora.