“Così, il 25 dicembre del 1982, terminata l’ultima liturgia eucaristica del mattino, Santa Maria in Trastevere ospitò per la prima volta ‘il pranzo di Natale’”. Il consigliere spirituale della Comunità di Sant’Egidio, l’arcivescovo Vincenzo Paglia, ricorda l’inizio di tutto, se per tutto si intende quel giorno che ha cambiato le storie di Natale di tanta gente, dal volontario al comune cittadino, dall’immigrato al disoccupato, dal povero al dipendente da droghe e alcol. Lo fa nel libro edito dalla San Paolo, che non poteva non chiamarsi “Il pranzo di Natale” (122 pagine, 10 euro, prefazione del card. Matteo Zuppi) per la sua semplice, assertiva semplicità. Una semplicità che però ha risvegliato torpori abitudinari, aiutato a rimettersi in cammino sia nell’interiorità che nella pratica, reale, materiale vita di tutti i giorni, e soprattutto riportato all’autentico spirito del Natale perduto tra i miti consumistici. Quarant’anni fa furono 47 le persone che mangiarono insieme al tavolo natalizio preparato per questa rinascita, con intorno molti volontari e persone semplicemente venute a guardare il ritorno al senso di un evento che ha cambiato il mondo. Le storie lette, quelle di Dickens o di De Amicis, di Dostoevskij, di Philip van Doren Stern (che oggi non dirà un granché al lettore, ma che è l’autore di un racconto, “Il dono più bello”, alla base di uno dei film più famosi, “La vita è meravigliosa”), hanno lasciato il posto alla realtà. Fatta di bambini paralizzati, di reduci dalla prigione, di senza famiglia, di emarginati che si incontrano a Roma come in Mozambico, in Uganda come in El Salvador o a Hong-Kong e in molte parti del mondo. Nel Natale del 2007 il pranzo è avvenuto in oltre 400 città del pianeta, mentre oggi si calcola che si svolga in 770 realtà urbane. Una cospicua carrellata di foto presente nel libro ci porta lontano dai salotti d’occidente, verso distanze rese ancor più radicali dalla guerra, dai cambiamenti climatici, dalle crisi economiche, dalle violenze.
E non è un caso che in questo libro ritorni all’immaginario collettivo la figura di san Francesco con il suo incontro con l’altro, nonostante le antiche paure. Paglia ricorda come il mangiare insieme sia uno degli elementi-cardine dei Vangeli, perché la fractio panis, l’eucarestia, e il cibo comune avevano un profondo legame: avvenivano sia nei luoghi di culto che nelle case private, perfino nella basilica di san Pietro, dove, ricorda l’autore, il senatore Pammacchio nel IV secolo riunì i poveri, “i padroni delle nostre anime” come scrive Paolino da Nola in una sua lettera, aggiungendo un particolare che ci dice come il tempo sembri annullato dal miracolo dell’azione gratuita: “Né nella basilica, né davanti alle porte dell’atrio, né sui gradini della piazza c’è più un posto libero. Li vedo, una volta riuniti, divisi ordinatamente per tavoli e saziati subito di cibo copioso”.
Se però, come fanno le pagine di questo libro, si ricorda come anche chi non ha quasi nulla mette in comune con chi soffre di più quel quasi, dando, come scriveva sant’Agostino, “se non ciò che abbiamo ricevuto”. Via dalle sottili disquisizioni teoretiche, verso la tangibile sofferenza, fisica e interiore, dell’altro. Questo il senso profondo del pranzo di Natale: una tavola per tutti, come recita il sottotitolo.