Nella Giornata internazionale per i diritti dei migranti, proclamata dalle Nazioni Unite, scorrono davanti ai miei occhi i volti e le storie delle persone che ho incontrato come insegnante di lettere in tanti anni di lavoro, prima negli istituti professionali, poi alla Città dei Ragazzi di Roma, quindi nelle scuole Penny Wirton diffuse ormai in ogni parte d’Italia: Hafiz, che aveva rifatto a piedi il percorso di Marco Polo, ma all’incontrario, da un villaggio nei pressi di Kabul sino a Venezia; Ibrahim, nascosto nella stiva di un aereo in partenza da Lagos, atterrato alla Malpensa mezzo assiderato ma ancora vivo; Mohamed e Kaliq, marocchino e gambiano, i quali mi chiesero di riaccompagnarli a casa per farmi conoscere i genitori e mostrarmi in concreto le ragioni per cui erano stati costretti ad abbandonare le terre in cui vivevano; Favour e Kevin, il suo bambino piccolo, capaci di attraversare il deserto del Sahara e salire su un gommone strapieno pur di raggiungere il nostro Paese; Igor, a fianco della mamma Irina, appena sfuggito ai bombardamenti di Kharkov…
Ognuno di questi minorenni non accompagnati, uomini maturi e giovani madri, se avesse una lingua in grado di farlo, potrebbe raccontare al mondo il trauma e la guarigione, la caduta e la rinascita, il dolore e la speranza, le lacrime e il sorriso: purtroppo il fondamentale cammino di ricomposizione dei tasselli perduti o dispersi è ostacolato dalla condizione di drammatica invalidità spirituale nella quale i reduci versano. Nella mia memoria le loro fisionomie s’intrecciano con quelle di chi li ha accolti, professionisti e volontari, spesso non soddisfatti del mansionario che pure sono chiamati ad eseguire e pronti a scendere in campo con tutta la forza e i limiti che hanno: i marinai del soccorso in mare, gli agenti di polizia del centro di identificazione, gli educatori delle casefamiglia, gli psicologi, gli assistenti sociali, i docenti, fino al semplice passante che, quando esce dal supermercato e incrocia lo sguardo di chi gli sta chiedendo una monetina, decide di non procedere oltre indifferente.
Ecco, proprio in tale prospettiva, se riuscissimo a considerare il giorno dedicato ai migranti come una festa anche nostra, allora avremmo compiuto un passo importante verso la civiltà giuridica:
nel momento in cui decidi di far rispettare il diritto della persona più fragile, stai proteggendo, insieme alla sua, anche la tua esistenza, ripristinando il principio di umanità che tutti incarniamo.