“Nelle ‘ripartenze’ di Giorgio Paolucci troverete tutto quello che l’uomo incontra nella sua vita, le vicende liete e quelle tragiche, quelle personali e quelle che riguardano famiglie, popoli interi. In ognuna di queste Polaroid, citata o meno, si scorge sempre una presenza. La presenza della dismisura. Della mancanza di cui a un certo punto ci sentiamo pieni, per parafrasare Mario Luzi. Dio non si lascia prendere, ma in queste ripartenze esiste un fatto, un dato incontrovertibile. Nella vita di ognuno di noi, almeno per un secondo, compare non il volto, ma la mano che ci prende e ci mette su una via fatta di salvezza. Sta a noi, poi, percorrerla o meno. Il Suo amore si compie nella nostra libertà”. Lo scrive Daniele Mencarelli, nella prefazione al libro di Giorgio Paolucci, “Cento ripartenze. Quando la vita ricomincia”, edito da “Itaca” e disponibile in libreria.
“Non siamo infrangibili – scrive l’autore nell’introduzione al testo -. Ognuno, scorrendo il film della propria vita, può rintracciare momenti più o meno grandi di difficoltà: una malattia, la perdita del lavoro, una disavventura finanziaria, la detenzione in carcere, il buco nero di una dipendenza, una crisi affettiva, l’emigrazione, la morte di una persona cara… Di fronte all’evidenza della fragilità umana possiamo rassegnarci o ribellarci, ma per reagire non bastano gli slogan rassicuranti (‘andrà tutto bene’), abbiamo bisogno di qualcosa di solido che dia significato e vigore all’esistenza”.
Hannah Arendt ha scritto che
“gli uomini, anche se devono morire, non sono nati per morire ma per ricominciare”.
L’uomo ha dentro di sé un inesausto desiderio di rialzarsi dopo ogni caduta e di ripartire, ma ci vuole un punto di luce a cui guardare perché il buio non abbia l’ultima parola.
In queste pagine incontriamo volti e storie di persone che hanno vissuto la loro “ripartenza” grazie all’incontro con testimoni di speranza che li hanno aiutati a scoprire uno sguardo positivo sull’esistenza, a maturare la consapevolezza che tutti abbiamo un valore che non dipende dalle nostre performance. Sono stati momenti di crisi generativi, che hanno fatto crescere.
“È accaduto a me – prosegue Paolucci – e il lettore troverà alcuni riferimenti personali che ho deciso di raccontare. È accaduto ad amici che me ne hanno parlato, a persone incontrate nella professione giornalistica e che hanno lasciato una traccia indelebile nel mio cuore, ai protagonisti di alcuni libri che mi è capitato di leggere. Probabilmente, è accaduto a tutti. Per questo alla fine del libro c’è una pagina in bianco nella quale il lettore può scrivere la propria ‘ripartenza’ e un indirizzo e-mail per poterla condividere.
Cosa ho imparato da questi incontri?
Anzitutto a maturare uno sguardo curioso e attento sulla realtà, a cogliere i segni che rimandano ad ‘altro’. A un Altro. A Dio che si rende presente nelle circostanze della vita. Generalmente nell’ordinarietà, talvolta in maniera straordinaria. Ci raggiunge passando attraverso persone e fatti che diventano le Sue braccia. Siamo spesso distratti, non ce ne accorgiamo, ma Lui ci parla, dobbiamo solo essere attenti ai segni della Sua presenza.
Come scrive Miguel De Cervantes: ‘Raccomandati a Dio con tutto il cuore, giacché molto spesso Lui fa piovere la sua misericordia proprio nel periodo in cui sono più aride le speranze’”.
Il libro raccoglie i racconti pubblicati su “Avvenire”, di cui Paolucci è stato vice direttore e ora editorialista, oltre ad altri scritti successivamente. Testi molto brevi, che “mi hanno educato alla virtù della sintesi e a cogliere ciò che conta davvero nella vita. Un esercizio che mi è stato molto utile e che spero risulti utile ai lettori per ridare il giusto peso alla parola. Specie in questi tempi in cui è molto facile riempirci di parole vuote”.
“Cosa cercate?”, si è chiesto l’autore nella redazione del volume. “Nell’era dei social possiamo esplorare il mondo, collezionare migliaia di amici su Facebook e vantare una valanga di followers su Instagram senza averne mai incontrato uno in presenza, come usa dire ora – confessa -. Possiamo incrociare virtualmente le vite degli altri senza che la nostra vita cambi di una virgola. Ci sono, invece, incontri che cambiano la vita. Il Vangelo ne racconta tanti, ma uno è il più emblematico. Quel giorno di duemila anni fa, quando Giovanni e Andrea sulle rive del Giordano incontrano un uomo mai visto prima, ascoltano le sue parole, incrociano il suo sguardo, la loro esistenza viene terremotata. Si sentono rivolgere una domanda: ‘Cosa cercate?’, cosa desiderate dalla vita? I due ribattono con un’altra domanda: ‘Dove abiti?’. La risposta è un invito che va dritto al cuore: ‘Venite e vedete’. E loro lo seguono, perché sono davanti a una umanità affascinante che ha calamitato la loro persona”.
“È un’attrattiva che nel tempo si confermerà come la cosa più importante – conclude Paolucci -. Affascinata da quell’avvenimento eccezionale e inatteso, la loro vita sarebbe ripartita in una direzione nuova. È la stessa esperienza che da allora è accaduta a milioni di uomini, grazie all’incontro con i testimoni di Gesù nel loro tempo. Per duemila anni, fino a oggi, fino a me”.