Stringono i tempi per la messa a punto della legge di bilancio e la materia fiscale è uno dei temi centrali del dibattito. Sulla tassazione, al momento, circolano molte ipotesi più o meno credibili e quindi bisognerà attendere ancora per avere elementi precisi. Intanto, come prescrive la legge, alla Nota di aggiornamento del documento di economia e finanza, licenziata dal Consiglio dei ministri il 7 novembre, è stata allegata la “Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva”, redatta da una commissione di esperti sulla base degli ultimi dati disponibili, quelli relativi al 2019, con proiezioni sull’anno successivo.
Dalla Relazione emerge che il tax gap, vale a dire la differenza tra il gettito teorico (imposte e contributi che dovrebbero essere versati in regime di perfetto adempimento) e il gettito effettivo, è pari a 99,2 miliardi di euro. Una cifra enorme se si tiene conto che l’intera manovra economica allo studio dovrebbe aggirarsi sui 30 miliardi. In pratica l’evasione fiscale e contributiva rappresenta il 4,1% di tutto il Prodotto interno lordo. Peraltro l’Osservatorio su conti pubblici italiani dell’Università Cattolica (Ocpi), in una nota di commento pubblicata in questi giorni, stima in 122 miliardi l’evasione complessiva, tenendo conto di alcuni fattori non considerati dalla Relazione, come i contributi sociali dei lavoratori autonomi. Il confronto con il resto d’Europa è illuminante. Per una comparazione con dati il più possibile omogenei, gli esperti si sono concentrati sull’evasione dell’Iva, che in Italia nel 2019 ammontava al 21,3%, contro l’8,8% della Germania, il 7,4% della Francia e il 6,9% della Spagna. Peggio di noi solo Romania, Lituania, Malta e Lettonia.
Tornando alla stima totale contenuta nella Relazione, il valore indicato è impressionante ma c’è da rilevare che per la prima volta si è scesi, sia pure di poco, sotto la soglia 100 miliardi, con un calo di 4 miliardi rispetto all’anno prima e di quasi 8 in confronto al 2016 e al 2017. Le stime preliminari per il 2020 (da valutare con particolare prudenza a causa dell’eccezionalità di quell’anno di pandemia) confermerebbero questa traiettoria, rafforzandola. A dimostrazione di come le diverse misure introdotte nel frattempo, per quanto ancora insufficienti, non siano state affatto irrilevanti, come invece talvolta si cerca di far credere per giustificare un’eventuale marcia indietro.
Basti pensare alla fatturazione elettronica: non è un caso che sia proprio l’evasione dell’Iva a registrare in questi anni la diminuzione più significativa, anche se essa resta una delle voci principali con il 32%, seconda solo all’evasione sull’Irpef da lavoro autonomo e d’impresa (37,1%).
La terza imposta più evasa è quella sui redditi delle società, l’Ires, con il 10,1%, seguita dall’Irap (imposta regionale sulle attività produttive) con il 5,8%. A differenza di quanto avviene per l’Iva, la propensione a evadere l’Irpef su lavoro autonomo e d’impresa continua a crescere. “Una misura che sembra aver favorito l’evasione – si legge nella nota dell’Ocpi – è stata l’ampliamento del regime forfetario nel 2019 con l’introduzione di una flat tax con un’aliquota base al 15% (5% per i primi cinque anni di attività) e l’esenzione da Irap e Iva destinata alle partite Iva che fatturano fino a 65 mila euro annui”. E’ il fenomeno dei cosiddetti “falsi minimi”, che scatta quando si sommano la generosità dell’agevolazione e il meccanismo di soglia, rendendo molto conveniente dichiarare fatturati inferiori a quelli reali. “La ricerca – sottolinea l’Osservatorio – mostra chiaramente come ci sia una riduzione anomala del numero di contribuenti subito dopo la soglia dei 65 mila euro, riduzione che si riscontra solo dopo l’introduzione della flat tax nel 2019 e non negli anni precedenti”.