“L’alta professionalità, l’empatia, l’umanità, il senso di prossimità, lo spirito di sacrificio e di abnegazione sono le vere armi vincenti dei nostri militari in servizio. Il loro stile è per questo molto apprezzato nei teatri operativi dove sono chiamati ad agire e dalle popolazioni che li abitano”: non ha dubbi
don Marco Minin, cappellano militare del Contingente italiano in Libano nel presentare così i circa 1000 caschi blu italiani (Brigata Aosta) di stanza nel Paese dei Cedri, facenti parte dell’Unifil (United Nations interim Force in Lebanon), di cui l’Italia ha la leadership nel Comando del settore Ovest. Tra i loro compiti quello di monitorare la cessazione delle ostilità tra Libano e Israele, sostenere le ‘Lebanese Armed Forces’ (Laf), aiutare ad assicurare un corridoio umanitario alla popolazione civile ed ai volontari nonché assicurare il rientro in sicurezza degli sfollati.
“Sono un esempio di militari che – dice il cappellano – hanno fatto propri princìpi come dialogo, difesa dei diritti, cooperazione, uguaglianza, idee che sono alla base dell’ordinamento internazionale e delle Nazioni Unite, sotto il cui ombrello operiamo”. Nel Paese dei Cedri il nostro contingente, racconta il cappellano, “aiuta e sostiene la popolazione locale con progetti di sviluppo avviati da anni, condivisi con le autorità locali e con i contingenti militari che semestralmente si avvicendano. In questi progetti di cooperazione, nelle scuole come nelle municipalità rientriamo anche noi cappellani militari. Particolarmente apprezzato è il nostro impegno nel dialogo interreligioso che in un Paese come questo, dove convivono diverse fedi, è molto significativo e utile alla convivenza”. È dei giorni scorsi la campagna, a supporto della popolazione locale, di visite mediche a domicilio nei villaggi e di donazione del sangue organizzata in collaborazione con la Croce Rossa libanese di Tiro, su richiesta delle autorità del posto.
“Nella nostra base ‘Millevoi’, sede del comando del settore ovest della missione Unifil – afferma don Minin – abbiamo raccolto oltre 100 sacche di sangue grazie ai nostri caschi blu. In via di realizzazione ci sono anche progetti per impianti fotovoltaici e di accumulo di energia, necessari perché il Libano vive una crisi economica, politica e sociale drammatica. Abbiamo donato, inoltre, sussidi didattici, come Pc, alle scuole locali”.
Il Libano, per dirla con parole del Presidente Mattarella è una delle “pagine che le nostre Forze Armate hanno scritto, nelle missioni a cui Governo e Parlamento le hanno chiamate e che ci parlano di spirito di sacrificio, di professionalità, di umanità”. Pagine che don Minin sfoglia oggi 4 Novembre, quando l’Italia celebra la festa delle Forze armate e dell’Unità nazionale. I mille caschi blu italiani in Libano sono così lo specchio degli uomini e delle donne con le stellette che fanno parte del nostro Esercito. “Il 4 novembre – dice il cappellano – è un ‘fil rouge’ unisce idealmente in questo giorno volti, storie, caratteri lontani nel tempo e nello spazio ma prossimi nella geografia dell’anima. Le nostre comuni radici raccontano vite di uomini e donne che, con i fatti, hanno dimostrato che si può e si deve sempre scegliere da che parte stare… in una linea di coerenza e forza morale. Uomini e donne che hanno scelto una professione peculiare, che ai crocevia della vita e della storia hanno conosciuto e riconosciuto il valore: hanno deciso le proprie azioni basandosi sull’ispirazione e la fedeltà all’ideale, hanno scelto di combattere la ‘buona battaglia’: hanno saputo vincere e hanno saputo perdere, senza mai trattare con indifferenza la sconfitta”.
Celebrare il 4 novembre non significa soltanto riconoscere questo impegno ma anche rievocare le gesta di chi si è speso fino alla morte per difendere il Paese e il bene nazionale. Afferma don Minin: “Nel ricordare i nostri Caduti, quanti hanno patito il dolore delle ferite, la solitudine della perdita, della lontananza, a volte l’incomprensione, ne ammiriamo il coraggio: non mero istinto ma il risultato di un faticoso addestramento perché è proprio la fragilità umana che dà valore al gesto eroico ed è il pensiero e la fede che gli dà un senso”.