Occhi puntati sull’offerta streaming di fine ottobre. Anzitutto, dalla 17ª Festa del Cinema di Roma sbarca su Disney+ “Boris 4”, serie brillante e irriverente che racconta la produzione Tv oggi, le (dis)avventure di una troupe che ambisce a entrare nell’olimpo delle piattaforme. A firmare “Boris 4” sono sempre Giacomo Ciarrapico e Luca Vendruscolo, che ricordano con tenerezza anche il collega-amico scomparso Mattia Torre. Il cast (fantastici tutti!) vede capofila: Francesco Pannofino, Caterina Guzzanti, Pietro Sermonti, Carolina Crescentini e Alessandro Tiberi. Su Sky e Now questa settimana si è consumato il finale di stagione della serie “House of the Dragon” (Hbo), atteso prequel del cult “Trono di Spade” (“Game of Thrones”). Ne abbiamo tracciato un bilancio. Il punto Cnvf-Sir.
“Boris 4” (su Disney+, dal 26.10)
La troupe di “Boris” è tornata, finalmente! La serie Tv satirica che ha raccontato il mondo della produzione televisiva generalista in chiave frizzante e anche un po’ cialtrona, dopo tre fortunate stagioni tra il 2007 e il 2010 e un’incursione al cinema nel 2011, è tornata con 8 nuovi episodi per prendere di mira le piattaforme streaming. Prodotta da Lorenzo Mieli con The Apartment – Fremantle in collaborazione con Disney+, la serie “Boris 4” è firmata come sempre da Giacomo Ciarrapico e Luca Vendruscolo, che ricordano e omaggiano anche il collega Mattia Torre, compianto regista-sceneggiatore scomparso nel 2019.
La storia. La fiction in Italia, come nel resto del mondo, è cambiata. Per i finanziamenti si guarda soprattutto alle piattaforme, dal soldo forte ma anche sotto scacco dell’algoritmo. Alessandro (Alessandro Tiberi) ha fatto carriera proprio in una delle più influenti realtà e così si batte per far decollare la nuova serie ideata da Stanis (Pietro Sermonti) e Corinna (Carolina Crescentini), due rodati attori che ora hanno fondato la loro di casa di produzione, la Snip: So not italian production. La loro idea è girare “Vita di Gesù”, dove Stanis si intesta il ruolo, appunto, del Salvatore. A dirigere viene chiamato come sempre René Ferretti (Francesco Pannofino), che fa squadra con la sua fidata collaboratrice Arianna (Caterina Guzzanti) e il direttore della fotografia Duccio (Ninni Bruschetta). Perché il progetto decolli serve però il cosiddetto “lock” della Piattaforma, il raggiungimento della soglia di soddisfazione decretata dal temibile algoritmo…
Che “Boris” sia una serie acuta e graffiante è un fatto risaputo. Negli anni si è imposta come fenomeno cult quasi di matrice sociologica, venata di sfumature grottesche. La sua cifra caustica è il tratto distintivo dal quale non si può prescindere. E tale carica di provocazione non poteva mancare neanche in questa quarta stagione, come del resto fanno capire con schiettezza i due geniali autori Ciarrapico e Vendruscolo. “Boris – affermano – nel 2022 poteva ancora attaccare la buona vecchia tv per famiglie, tranquillizzante e intimamente ‘democristiana’? La risposta che ci siamo dati è che sarebbe stato come sparare sulla Croce Rossa. In qualche modo dovevamo far approdare i nostri improbabili protagonisti nel salotto buono della produzione internazionale di oggi: la Piattaforma”.
E così “Boris 4” si gioca tutta sulle (dis)avventure di un set sconclusionato di una serie Tv in cerca del grande salto internazionale: essere ammessa nella library di un colosso dello streaming. In verità, un colpaccio per la stessa Disney+, che sfrutta la carica comica del prodotto, lasciandosi anche prendere in giro. Una mossa di marketing di certo indovinata. Nella linea del racconto torna tutto il meglio del mondo di “Boris”, che declina il settore audiovisivo, il mondo di Cinecittà, con l’arte del vivacchiare, dove l’improvvisazione è sovrana e l’egocentrismo dilagante (i personaggi di Stanis, Corinna e Tatti Barletta ne sono la prova, che Sermonti, Crescentini ed Edoardo Pesce rendono alla perfezione, da applauso!).
Linea tematica che si aggiunge in questa quarta stagione è il colossal storico-religioso, appunto la vita di Gesù, topos-genere ricorrente tra cinema e Tv. Ovviamente, questo avviene secondo la maniera di “Boris”, con la cifra dello sberleffo e dell’ironia a briglia sciolta. Non c’è però mancanza di rispetto verso le figure bibliche o la dimensione religiosa, perché quello che “Boris 4” ridicolizza è l’uomo di oggi e la troupe sul set, marcatamente sciatti, superficiali e incolti. Un campionario umano tragicomico e disgraziato, di cui si ride, ma che non si può fare a meno di amare a livello spettatoriale. Sono un’allegoria deformata del nostro presente, delle nostre piccolezze e superficialità diffuse.Nell’insieme possiamo affermare che “Boris 4”, a dieci anni dall’ultimo ciak, non ha perso né smalto né graffio, tutt’altro: una comicità che trova ancora senso e posto nel panorama Tv odierno. Serie consigliabile, problematica, per dibattiti.
“House of the Dragon” (su Sky e Now)
Lunedì 24 ottobre, in linea con gli Stati Uniti, su Sky e la piattaforma Now è calato il sipario sulla prima stagione di “House of the Dragon”, prequel targato Hbo dell’acclamata serie “Il Trono di Spade” (“Game of Thrones”, 2011-19, 8 stagioni), a firma dello scrittore George R.R. Martin. Partita lo scorso 22 agosto (rilanciando 1 episodio a settimana, 10 in tutto), “House of the Dragon” ci riporta nel Medioevo fantasy di Westeros, dove l’umanità è inghiottita dalla vertigine del potere e della violenza. Una metafora potente del nostro presente, di una società preda di ambizioni sfrenate e di un egocentrismo esasperato.
La storia. A circa 170 anni prima della nascita della principessa Daenerys Targaryen, sul Trono di Spade siede re Viserys Targaryen (Paddy Considine). Una reggenza che traballa per il poco mordente del sovrano, ma soprattutto perché manca un erede maschio: Viserys è costretto a nominare come erede la figlia Rhaenyra (Emma D’Arcy). Quando il re si sposa in seconde nozze con la giovane Alicent Hightower (Olivia Cooke), in casa Targaryen arrivano finalmente due maschi, Aegon II ed Aemond. Ed è lì che si (ri)apre la partita per la corona. Spietata.
Linea tematica in evidenza nel racconto è il protagonismo femminile: “House of the Dragon” ruota attorno al legame-contrapposizione tra due donne, la principessa Rhaenyra e la regina Alicent. Prima amiche, poi rivali, poi parenti, infine madri protettive e sanguinarie. Rispetto al “Trono di Spade”, va sottolineato che in questo prequel l’attenzione riservata ai personaggi femminili è decisamente superiore. Le figure maschili sbiadiscono all’orizzonte senza troppa consistenza, fatta eccezione per il principe ribelle Daemon (Matt Smith, sempre efficace, mettendo a segno un altro ruolo iconico dopo Doctor Who e il principe Filippo in “The Crown”).
La cornice visiva-stilistica è rimasta immutata: “House of the Dragon” somiglia infatti molto al “Trono di Spade”, marciando sullo stesso affascinante e magnetico binario. Scenografie, ambientazioni, costumi e musiche (bellissime, firmate sempre da Ramin Djawdi) conquistano per eleganza e accuratezza. Punto di fragilità della serie, firmata dagli showrunner Ryan Condal e Miguel Sapochnik (quest’ultimo ha rimesso però l’incarico), risiede invece nella linea narrativa: si sente troppo l’apparentamento con la serie originale, con il “Trono”, al punto da rimanere imbrigliata in un racconto che stenta a decollare, risultando di fatto di respiro corto. Nei 10 episodi sembra di essere in perenne attesa che qualcosa accada, che la situazione svolti o precipiti all’improvviso, un’attesa che non trova mai piena soddisfazione, risolvendosi in soluzioni sì acute e ricercate, ma senza troppo senso o pathos. A latitare sono incisività e originalità, preferendo la scialba comfort zone del “Trono”. Peccato, perché la confezione formale è pregevole ed elegante, superiore alla media di altre serie, frutto di un cospicuo investimento produttivo. Serie complessa, problematica, per dibattiti.