Da anni si rincorrono proposte e alcuni provvedimenti che consentano ai lavoratori di avere buste paga più “pesanti”. Anche nei programmi delle forze politiche che nelle ultime elezioni si sono confrontate per assumere il governo dell’Italia il taglio del cuneo fiscale in favore di imprese e lavoratori è stata una voce ricorrente. E anche se le ricette si differenziano è ormai opinione diffusa che le tasse sul lavoro vadano ridotte. A maggior ragione in un momento nel quale l’inflazione e i rincari delle bollette energetiche riducono il potere d’acquisto della maggioranza degli italiani. Che un provvedimento sia necessario lo confermano le voci secondo le quali il nuovo Governo pare intenzionato a varare con la Legge di bilancio 2023 un primo intervento, non ancora “shock” ma che comunque darebbe il segnale della direzione da seguire nei prossimi anni.
Prima di addentrarsi nei numeri e nella tecnicalità dell’argomento vale, la pena ricordare che
per cuneo fiscale facciamo riferimento a quella parte del costo del lavoro che non va nella paga netta dei lavoratori dipendenti. Si compone di tre parti: imposte sul reddito del lavoratore e contributi previdenziali a carico di dipendente e datore di lavoro.
Per quanto riguarda la situazione italiana, a differenza di ciò che accade in altri Paesi,
il cuneo fiscale è sostanzialmente per metà a carico dei lavoratori e per metà a carico delle imprese.
Considerando che il nostro sistema pensionistico – quello alimentato dai contributi previdenziali versati da lavoratori e datori di lavoro – è fragile, la parte di cuneo fiscale su cui si può intervenire è in sostanza quella relativa alle imposte sul reddito del lavoratore. “Una parte del cuneo fiscale per i redditi dei lavoratori dipendenti, quella riconducibile all’Irpef, è stata toccata dalla Legge di bilancio 2022 che lo ha un po’ ridotto”, ci spiega Cristina Orlando, junior economist presso l’Osservatorio sui conti pubblici italiani dell’Università cattolica. Come ha precisato a suo tempo il ministero dell’Economia e delle Finanze, per il 2022 le risorse disponibili per l’intervento sull’Irpef sono state stabilite in 7 miliardi. Dalle simulazioni eseguite nei mesi scorsi dall’Osservatorio sui conti pubblici italiani emerge che
nel 2022 “c’è stata una piccola riduzione del cuneo fiscale per tutti i gruppi di contribuenti tra i lavoratori dipendenti”.
“L’Irpef – precisa Orlando – è stata ritoccata, senza cambiarne l’essenza: si sono ridotte un po’ le aliquote medie e marginali in alcune fasce della base imponibile ma si è mantenuta un’Irpef fortemente progressiva, che cioè aumenta con l’aumentare del reddito, secondo il dettato costituzionale”. Numeri alla mano, le stime parlano di una diminuzione del cuneo fiscale dal 41,2% al 38,6% per i lavoratori con il reddito medio basso (67% del reddito medio); dal 37,9% al 35,4% per le famiglie con due figli e un solo reddito uguale al reddito medio; dal 40,9% al 39,2% per le famiglie con due figli e con due redditi, di cui uno uguale al reddito medio e l’altro medio basso. Più contenuto, invece, l’impatto per i lavoratori con redditi medi e alti, il cui cuneo fiscale era previsto in riduzione nel 2022 rispettivamente dello 0,2% e dell’1%. In sostanza, la variazione è al massimo di qualche punto percentuale.
Nonostante questo intervento, l’Italia rimane però un Paese con un elevato cuneo fiscale se messo a confronto con i partner europei. Una riduzione è dunque auspicabile e, rileva l’Osservatorio,
“ulteriori riduzioni dovrebbero quindi essere fra la priorità del Governo, man mano che si reperiscono nuove risorse dalla revisione della spesa, prevista dal Pnrr, e dal contrasto all’evasione”.
Considerato lo stato attuale dei conti pubblici italiani, un intervento sul cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti facilmente non potrebbe che essere graduale negli anni a venire. Su ciò che potrà avvenire nel prossimo futuro aleggia il disegno di legge di delega per la riforma del sistema fiscale approvato poco più di un anno fa dal Governo Draghi, la cui sorte è affidata al nuovo Parlamento. Il testo prevedeva, tra l’altro, una armonizzazione e semplificazione del sistema tributario – “che è molto complesso”, osserva Orlando, “fatto di detrazioni, bonus, assegno unico universale…” –, misure per ridurre l’evasione e l’elusione fiscale e per stimolare la crescita economica.
“L’Irpef – aggiunge la junior economist – è l’unica componente aggredibile se si vuole ridurre il cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti ma bisogna tener conto che costituisce annualmente metà delle entrare dello Stato. È l’entrata principale per i conti pubblici, su cui si regge tutto il nostro sistema di welfare.
Per questo è fondamentale combattere l’evasione; se tutti pagassero le tasse si potrebbe procedere con una loro riduzione, con benefici per le famiglie e le imprese”.
Per avere un’idea, stando ai dati diffusi dal Mef nel 2021 il gettito dell’Irpef è stato di 198.203 milioni di euro, in aumento di 10.679 milioni di euro (+5,7%) rispetto all’anno precedente. Nel periodo gennaio-luglio 2022 il gettito Irpef si è attestato a 115.730 milioni di euro, in crescita di 3.384 milioni di euro (+3,0%) rispetto allo scorso anno.
Qualunque sia la strada che il nuovo Governo e il nuovo Parlamento decideranno di intraprendere non potranno sfuggire a questi numeri e alla complessità del sistema. Anche per non eludere il problema che si verrebbe a creare riducendo a tal punto le imposte (in questo caso l’Irpef) senza pensare a come coprire le spese per sanità, scuola, servizi pubblici…