Tra passato e presente. Nel cartellone della 17a Festa del Cinema di Roma campeggiano valore della memoria condivisa e istantanee della contemporaneità. Anzitutto, il restauro del film “La porta del cielo” (1945) di Vittorio De Sica presentato in anteprima alla Casa del cinema alla presenza di Christian De Sica e di mons. Dario E. Viganò. Un documento prezioso, che annoda i fili della Storia del Paese con l’incredibile impresa produttiva del film che accostò il mondo del cinema alla Chiesa: un’opera realizzata nella Capitale tra 1943-45, negli ultimi feroci anni della guerra, con una troupe alla quale si aggiunsero molte famiglie ebree, scampando così alla deportazione. Un restauro presentato domenica 16 ottobre, 79° anniversario dal rastrellamento del Ghetto di Roma. Ancora, alla Festa è di scena il cinema hollywoodiano con i divi Ewan McGregor ed Ethan Hawke protagonisti di “Raymond & Ray”, dramma familiare in salsa black comedy firmato Rodrigo Garcia e prodotto dal Premio Oscar Alfonso Cuarón. Un’anteprima targata Apple TV+. Punto Cnvf-Sir.
“La porta del cielo” e il doc “Argento puro”
Una pagina di storia del cinema, ma anche di impegno civile è andata in scena domenica 16 ottobre a Roma. L’occasione è stata fornita dalla presentazione in anteprima del restauro del film “La porta del cielo” (1945) di Vittorio De Sica, scritto a quattro mani con Cesare Zavattini; un’opera considerata per molto (troppo) tempo tra i titoli minori dell’autore neorealista, che a ben vedere sembra invece anticipare molte delle linee narrative e dello stile visivo proprie del neorealismo, mettendo in campo quel pedinamento del reale teorizzato da Zavattini.
La storia. Nei vagoni di un “treno bianco” in partenza da Roma alla volta di Loreto, si stipa un’umanità fragile e tragica, segnata da malattie incurabili. Malati e accompagnatori si stanno recando al Santuario per chiedere una grazia: la guarigione. Nel corso del viaggio si snodano dunque le storie di questi cercatori di speranza…
Messo in lavorazione durante la ferocia nazifascista nella Capitale, poco dopo l’8 settembre del 1943, il film “La porta del cielo” permise al regista De Sica, alla futura moglie, l’attrice María Mercader, e a una numerosa troupe (circa trecento persone), composta da addetti ai lavori, ma anche da molte famiglie ebree, di salvarsi dalla vertigine del Male. Una lavorazione portata per le lunghe, con la speranza dell’arrivo degli americani, tenendo la troupe stanziale presso la Basilica di San Paolo fuori le mura.Fece visita alla troupe anche mons. Giovanni Battista Montini, che raccomandò a De Sica di essere molto prudente in tempi così incendiari. La produzione era della Orbis film, legata all’Azione cattolica.
Il restauro de “La porta del cielo” ha assunto un grande rilievo, per i motivi sopraindicati e anche perché le condizioni della pellicola risultavano molto compromesse, con il rischio di smarrimento dell’integrità dell’opera tutta. Mons. Dario E. Viganò, accademico e studioso di cinema, presidente del Centro di ricerca Catholicism and audiovisual studies (Cast) presso l’Università UniNettuno, ha messo in piedi una cordata che intreccia pubblico e privato, di cui si è fatta capofila l’ateneo, la Cineteca nazionale – Centro sperimentale di cinematografia e la casa di produzione bergamasca Officina della comunicazione, in collaborazione con l’Azione cattolica. Obiettivo era ridare luce, visibilità, a un’opera a rischio oblio. Un film che racconta uno snodo della storia del Paese, sugli ultimi, spietati, anni della Seconda guerra mondiale, dove si unisce il retroscena salvifico di centinaia di vite umane, soprattutto di molte famiglie ebree, con il racconto di un pellegrinaggio catartico, un viaggio in treno in cui un’umanità piegata dalla malattia trova la grazia più nell’incontro solidale con l’altro che nel santuario.
“La porta del cielo” è una fonte storico-artistica di grande rilevanza, che apre alla comprensione della Storia condivisa, allargando il campo dello sguardo sugli snodi del cinema nazionale, sulle origini del neorealismo, così come sull’impegno della Chiesa nel farsi avamposto di sostegno non solo caritatevole e sociale, ma anche culturale.
Il progetto del restauro è stato raccontato nella stessa sera dal bel documentario “Argento puro” diretto da Matteo Ceccarelli, una produzione targata sempre Officina della comunicazione. Il doc è un appassionante viaggio nelle operazioni di recupero della pellicola, del passaggio da analogico a digitale, arricchito da interviste a storici, tecnici, esperti e protagonisti: da Alberto Anile (Conservatore della Cineteca nazionale) a mons. Dario Viganò, da Christian De Sica a Gianluca Della Maggiore (direttore del Cast) e Giuseppe Notarstefano (presidente Aci).
“Argento puro” è la cronaca di un salvataggio culturale, raccontata in maniera puntuale e avvolgente, impreziosita anche da una riuscita sfumatura emozionale. A ben vedere, sarebbe auspicabile che “La porta del cielo” così restaurata circolasse tra cinema, scuole e istituzioni insieme al bel documentario di Ceccarelli: un’operazione di sensibilizzazione storico-culturale a favore della memoria comune. Per non dimenticare.
“Raymond & Ray” (dal 21.10, AppleTV+)
Oscilla tra dramma familiare e commedia intessuta di black humor “Raymond & Ray”, film della piattaforma AppleTV+ in anteprima alla Festa di Roma. La regia e la scrittura sono di Rodrigo Garcia (figlio del Premio Nobel Gabriel García Márquez), autore che si è fatto conoscere con titoli come “Le cose che so di lei” (2000), “Six Feet Under” (2001-05) e “In Treatment” (2008-10); tra i produttori di “Raymond & Ray” figura il Premio Oscar Alfonso Cuarón. Ad accendere la curiosità verso il progetto sono senz’altro i due protagonisti, gli attori Ewan McGregor e Ethan Hawke, nel ruolo di due fratellastri dal rapporto a corrente alternata.
La storia. Raymond (Ewan McGregor) e Ray (Ethan Hawke) sono due uomini sulla cinquantina non del tutto risolti. Raymond ha due matrimoni falliti alle spalle e un lavoro grigio, di cui va poco orgoglioso. Ray è un musicista Jazz, un trombettista, caduto per un certo tempo nella dipendenza da droga, da poco rimasto vedovo e segnato ora da irrequietezza sentimentale. I due portano le cicatrici di un’infanzia infelice, con un padre ingombrante ed egocentrico. All’improvviso i fratellastri sono chiamati a fare i conti con il proprio passato e con il loro rapporto, mettendosi in viaggio per seppellire il padre deceduto. Un viaggio fisico-esistenziale dalle non poche sorprese.
Sintetizza così il regista Garcia: “Due fratellastri, che per decenni sono stati incatenati al passato dalle ferite inflitte da un pessimo padre, sperano che la sua morte offra loro finalmente l’occasione per fuggire. Ma nulla è mai così semplice. La vita stravolge tutti i piani umani, a volte impietosamente, a volte misericordiosamente”. Il film “Raymond & Ray” è una bella sorpresa nel cartellone della Festa di Roma. Si tratta di un romanzo familiare a stelle e strisce, fortemente marcato dallo sfondo socio-culturale americano, in cui due fratelli si amano-odiano, incapaci di elaborare un’infanzia dolorosa che li ha segnati. L’andamento del racconto pende soprattutto su cifre comico-brillanti, con qualche scivolata nel grottesco. Dove la sceneggiatura sembra un po’ scappare di mano con situazioni che inciampano nel gratuito, l’esperienza di lungo corso dei protagonisti McGregor e Hawke permette di portare a casa in maniera convincente il tutto. I due attori sono abili e generosi nel governare le molte sfumature in campo, giocando spesso in sottrazione.
All’interno del film molti i temi che si affastellano: il rapporto genitore-figlio, la dinamica solidale tra fratelli, gli irrisolti della vita, la fragilità esistenziale, il potere salvifico della musica e dell’arte, come pure il valore del perdono e l’importanza del concedersi una seconda possibilità. Film grintoso, dinamico, non sempre a fuoco, che conquista comunque per una prova interpretativa che lascia il segno. Complesso, problematico, per dibattiti.