“Per far nascere vero sviluppo nei Paesi in cui operiamo bisogna sempre mettere al centro la persona con i tutti i suoi bisogni, non solo materiali: il bisogno di essere ascoltati, accolti, resi consapevoli del proprio valore e quindi speranzosi verso un futuro migliore”: ne è convinta Patrizia Savi, presidente dell’Avsi, organizzazione non governativa che opera per lo sviluppo e nelle emergenze in 39 Paesi del mondo. Nei giorni scorsi, il 27 settembre, Avsi ha celebrato i 50 anni di vita ed attività. Per l’occasione è stato realizzato un collegamento insieme a tutto lo staff in Italia e nel mondo (più di 2.150 persone), gli amici della rete sostenitori (più di 1.680), gli enti fondatori e i loro staff e gli ex colleghi. In questi 50 anni Avsi ha portato avanti 329 progetti, raggiungendo 10.644.624 beneficiari diretti; 22.212 i sostegni a distanza attivati. “Oggi le crisi a cui rispondere sono tante, emergenze che mettono alla prova i più fragili e chi come noi lavora nella cooperazione allo sviluppo”, dice al Sir. Ed elenca, oltre all’Ucraina, tante situazioni e conflitti dimenticati come Haiti, la Siria, il Libano, il Sud Sudan, la Repubblica democratica del Congo, il Mozambico, l’Uganda, il Kenya.
Mezzo secolo di vita e di interventi nel mondo. Cosa rappresenta per voi questa tappa così importante?
La celebrazione del cinquantenario di Avsi è l’occasione per fare memoria delle nostre origini, delle ragioni del nostro operare nel mondo e potere, con la consapevolezza della nostra identità, affrontare con più energia e convinzione le sfide del presente e del futuro. Nel ripercorrere la storia di questi cinquant’anni di presenza nei terreni più sfidanti Avsi ha maturato la consapevolezza che per far nascere vero sviluppo nei Paesi in cui opera bisogna sempre mettere al centro la persona con i tutti i suoi bisogni, non solo materiali: il bisogno di essere ascoltati, accolti, resi consapevoli del proprio valore e quindi speranzosi verso un futuro migliore, in qualsiasi circostanza si trovino.
Quanto conta l’ispirazione cristiana nel vostro lavoro e come viene declinata e attualizzata con i tempi?
Avsi trae forza dalla sua origine, che è legata ad alcune persone appartenenti a Comunione e liberazione che hanno dato vita a questa organizzazione impegnata per lo sviluppo. A loro poi nel tempo si sono aggiunte molte altre di diversa appartenenza, con in comune il desiderio di lavorare per un mondo in cui la persona possa essere protagonista dello sviluppo suo e della sua comunità. Per Avsi nel suo operare in terreni difficili resta sempre come guida il principio che Papa Francesco ha richiamato nella Fratelli Tutti: per costruire sviluppo servono amicizia sociale e fraternità universale, occorre cioè “rendersi conto di quanto vale un essere umano, quanto vale una persona, sempre e in qualunque circostanza”.
Lo scenario mondiale e il mondo della cooperazione sono molto cambiati dal 1972 ad oggi: quali sono oggi le vostre priorità e modalità di azione?
La cooperazione allo sviluppo è messa a dura prova dai contesti complessi e estremamente difficili in cui agisce. In questi cinquant’anni di “Boots on the ground”, come si dice in gergo per raccontare la prossimità con le popolazioni con cui si lavora, Avsi ha costruito un metodo di lavoro che vuole essere: partecipato, aderente al reale, fondato su partnership a più livelli e aperto all’innovazione. Lavorare insieme in modo sinergico coinvolgendo tutti i soggetti incontrati: dai singoli individui, alle associazioni locali fino alle istituzioni internazionali.
Solo insieme si può affrontare la complessità della realtà e quindi sperare di cambiare in meglio la vita delle persone.
Lavorate per lo sviluppo in 39 Paesi, in contesti molto diversi tra loro. Però spesso vi dovete confrontare con nuovi conflitti o crisi. Quali sono le emergenze che vi preoccupano di più?
I Paesi dove interveniamo sono molti, 39, e diversi tra loro, ma il nostro modo di operare è unico, noi diciamo sempre “Avsi as one” dall’Africa al Medio Oriente fino al Sud America. Oggi le crisi a cui rispondere sono tante, emergenze che mettono alla prova i più fragili e chi come noi lavora nella cooperazione allo sviluppo.
Haiti, Siria, Libano, Sud Sudan e la più recente tragedia in Ucraina. Ma anche Repubblica democratica del Congo, Mozambico, Uganda, Kenya…
Sappiamo di non poter “salvare” chi è nel bisogno, di non poter aiutare tutti, ma questa consapevolezza non è mai stata un alibi per rinunciare a intervenire in contesti di guerra o di estrema povertà. Avsi è da sempre interessata a guardare alla realtà in tutta la sua complessità e contraddizione, e da questa è spronata a tradurre in azioni concrete la propria missione.
Quali prospettive per il futuro e prossime iniziative importanti?
Avsi guarda avanti, ai prossimi 50 anni. Con i nostri programmi puntiamo a mettere le basi per uno sviluppo che duri nel tempo e che, paradossalmente, crei un contesto in cui non ci sia più bisogno del nostro intervento. Il contesto attuale segnato da guerre, carestie, alluvioni ci sfida, ci provoca, e noi vogliamo rispondere con uno sguardo che sia sempre volto al “dopo”.
Servono soluzioni nuove, che valorizzino la dignità delle persone più vulnerabili e le accompagnino a uno sviluppo equo.
Quello che abbiamo imparato nel nostro mezzo secolo di storia è proprio questo: cresciamo tutti o nessuno.