Il giudizio degli altri, una minaccia da cui difendersi. Così Marco, Federica, Alessia, Giulio decidono di non uscire più di casa e di abbandonare la scuola, rinunciano ad incontrare i coetanei e ad avere rapporti sociali. Nel nostro Paese sono circa 120mila i ragazzi “ritirati sociali“- almeno 100mila secondo l’associazione Hikikomori Italia – in prevalenza maschi, anche se il numero delle ragazze è in aumento, età media tra i 15 e i 25 anni. Ma è difficile avere una stima precisa perché non esistono ad oggi fonti ufficiali di rilevazione. Secondo alcuni studi degli ultimi anni la durata media dell’isolamento sarebbe di circa tre anni; dati che andranno però rivisti quando si renderanno ancora più evidenti gli effetti negativi del Covid-19 e del conseguente stravolgimento delle abitudini dei ragazzi.
Un disagio sommerso. Ad analizzare il fenomeno sono Stefano Vicari e Maria Pontillo nel volume “Adolescenti che non escono di casa. Non solo Hikikomori” (Il Mulino 2022). Il primo è docente di Neuropsichiatria infantile all’Università Cattolica e responsabile Uoc Neuropsichiatria dell’infanzia dell’adolescenza dell’ ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma; la seconda è psicoterapeuta e dirigente presso la stessa Uoc. Partendo dalla propria esperienza sul campo, i due autori sottolineano come la richiesta di aiuto per problemi legati all’ansia e al ritiro sociale sia progressivamente aumentata:
dal 15% delle richieste nel 2017 al 19% nel 2019 fino al 25% nel settembre 2021.
Raramente questi ragazzi chiedono aiuto quando esplosioni di rabbia o un generale comportamento dirompente può richiamare l’attenzione di chi sta con loro. Si tratta perlopiù di un disagio sommerso, di ragazzi chiusi, inibiti, che cercano il loro spazio all’interno dell’ambiente familiare. Per questo i dati disponibili probabilmente sottostimano l’ampiezza del fenomeno.
La punta di un iceberg. Se durante l’infanzia i bambini possono rifiutarsi di uscire di casa per paura di separarsi dai genitori, gli adolescenti possono scegliere la chiusura in risposta ad una sofferenza soggettiva come la rottura di una relazione amicale/sentimentale, un periodo di intenso carico scolastico, uno stress familiare determinato dalla malattia di un genitore o da conflitti intrafamiliari. Se il rifiuto di uscire non è transitorio ma persiste, spiegano gli esperti, “possiamo trovarci di fronte a un vero e proprio disturbo psicopatologico sottostante: ansia, depressione, psicosi”.
Un viaggio nelle emozioni. Si apre con la storia del sedicenne Marco, uno dei ragazzi seguiti dal Bambino Gesù, il volume di Vicari e Pontillo, un viaggio nelle loro emozioni, nei loro pensieri e timori. Da Claudia, sei anni, che fino dai tre ha manifestato angoscia e timore al momento di uscire da casa e recarsi a scuola non volendosi separare dai genitori a Giulia, nove anni, per la quale il ritiro sociale è la punta dell’iceberg di un disturbo dello spettro autistico. Per Federica invece, 16 anni, il rifiuto delle interazioni prima con i compagni di scuola poi anche con i genitori, e il pensiero che sia meglio morire, rivelano un disturbo depressivo maggiore. Maria ha invece 14 anni, frequenta il primo liceo e ha molte preoccupazioni sulla sua salute fisica e incolumità. Dopo l’incidente che ne interrompe la pratica della scherma livello agonistico, inizia ad interrompere bruscamente tutti i suoi contatti con amici di scuola e di scherma per chiudersi in se stessa con il pensiero fisso di essere spiata e possibile vittima di qualche complotto.
I fattori di rischio. Sono tre:
genetici e neurobiologici, temperamentali, ambientali e sociali.
Alcuni studi, spiegano Vicari e Pontillo, hanno messo in evidenza come i figli di genitori che tendono ad avere pochi contatti sociali e temono il giudizio degli altri abbiano un rischio almeno sei volte maggiore di manifestare difficoltà psicologiche e ritiro sociale rispetto ai coetanei che hanno genitori con una rete sociale ampia. I tratti del temperamento alla base dei comportamenti “ritirati” sono essenzialmente due: timidezza e tendenza all’evitamento sociale. I fattori di rischio ambientali sono eventi di vita stressanti come crescere in una famiglia conflittuale, essere vittima di maltrattamenti o episodi di bullismo e cyberbullismo da parte del gruppo dei pari.
Campanelli d’allarme. Quali i segnali predittivi della possibile comparsa di ritiro sociale? Nei bambini tra i 6 e gli 11 anni la predilezione costante e persistente per giochi individuali e isolamento anziché gioco con i coetanei, l’evitamento di recite, la richiesta di costante presenza dei genitori, il pianto e l’aggressività se obbligati a situazioni sociali prolungate. Anche negli adolescenti possono emergere comportamento di fuga da occasioni sociali, tristezza e ansia nei giorni che precedono una recita o un’uscita di gruppo, isolamento nella propria camera. Se questo avviene in modo ripetuto e prolungato nel tempo, e non spiegato da eventi stressanti come la separazione dei genitori o un lutto, occorre chiedere aiuto prima di arrivare all’estremo dell’abbandono scolastico. Per gli esperti
“intervenire precocemente è importante per ridurre il rischio di insorgenza di disturbi dell’umore o stati mentali a rischio di psicosi”.
L’impresa di stare con gli altri. Ma l’intervento deve essere multidisciplinare e coinvolgere diverse figure: psicologo, logopedista, neuropsichiatra infantile, genitori e insegnanti. Tra gli interventi più efficaci la psicoterapia cognitivo comportamentale. In estrema sintesi, si tratta di aiutare il ragazzo a individuare e modificare i propri pensieri negativi legati agli eventi temuti, di esporlo ad essi gradualmente, di rinforzarlo premiando ogni comportamento che si avvicini all’obiettivo prefissato, anche se minimo. Utile il role playing per simulare situazioni sociali positive e negative per le quali lo psicoterapeuta fornirà al ragazzo strategie di autocontrollo e gestione dell’ansia. Ma anche tecniche di rilassamento e prevenzione delle recidive:
non bisogna spaventarsi ma essere attrezzati con quanto appreso durante il percorso di psicoterapia,
spiegano gli esperti.
Tra le strategie di intervento il progetto MèTa, ideato dagli autori del volume con gli specialisti dell’Istituto di Neuropschiatria ricerca e terapia in età evolutiva ReTe di Roma in collaborazione con l’associazione teatrale Dynamis, che ha l’obiettivo, attraverso viaggi collettivi alla scoperta della natura, di allenare l’abilità di stare insieme. ”Mi sono sempre sentito imbranato – racconta Lucio, 17 anni -. Grazie a MèTa ho capito che non è così. Durante le escursioni ho individuato i punti in cui si poteva camminare in sicurezza supportando i compagni che avevano paura.
Tutti si affidavano a me. Non avrei mai pensato potesse succedere”.